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Beni confiscati, la mappa del business della criminalità organizzata in Italia

Un nuovo sito opendata del ministero dell’Interno riporta tutte le imprese confiscate definitivamente alla criminalità organizzata, da Nord a Sud sono 2321. Un terzo sono in Sicilia, la Lombardia ne ha 102 solo nel comune di Milano. Gli immobili sono la categoria preferita dalle mafie, dalla costruzione alla vendita. Il vicepresidente di Libera intervistato da Fanpage.it: “Bisogna puntare sulla possibilità che i lavoratori stessi possano rilevare le aziende”.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Duemilatrecentoventuno imprese italiane sono state confiscate definitivamente alla criminalità organizzata. Qualche giorno fa è nato un portale che le registra, le monitora e aiuta a ridurre i tempi per riassegnarle, evitando la loro chiusura. Il sito contiene dati e percentuali in grado di mappare per categoria gli affari di mafia, camorra e tutte le altre associazioni criminali. Le confische delle imprese si concentrano al Centro Sud e provengono da vari settori, dalla ristorazione all’edilizia, dalle attività artistiche e sportive ai trasporti, dall’agricoltura all’istruzione. Il 47% delle aziende, secondo i dati forniti dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, sono attive. Un’impresa su due non ha chiuso e continua a lavorare, gestita dall’Agenzia o destinata ad altri operatori. Davide Pati, vicepresidente di Libera, racconta a Fanpage.it di alcune aziende che ce l’hanno fatta, con l’aiuto dell’associazione contro le mafie e dei sindacati, imprese che sono riuscite a non chiudere e ad andare avanti: “Tra i primi a cogliere l’opportunità di costituirsi in cooperativa ci sono stati una parte dei lavoratori della Calcestruzzi Ericina – un’azienda di produzione per edilizia e ingegneria confiscata al boss trapanese Vincenzo Virga – un gruppo di lavoratori ha costituito una cooperativa che ha rilevato la gestione dell’azienda”. Confiscata nel 2000 e riaperta nel 2008, oggi la Calcestruzzi Ericina Libera non solo è ancora attiva, ma è diventata un punto di riferimento nel settore a livello europeo.

La mappa della criminalità organizzata

Una cartina dell’Italia divisa regione per regione con la Sicilia in testa: 742 aziende confiscate, il 32% del totale, una su tre. Poi la Campania con 407 (17,6%), il Lazio con 311 (13,4%), la Calabria con 303 (13,1%) e la Lombardia con 195 (8,4%). È curioso e paradossale il fatto che la Calabria, che ha il record di amministrazioni locali sciolte per infiltrazioni mafiose (118 negli ultimi trent’anni), abbia meno imprese confiscate rispetto alla Campania (109), alla Sicilia (81) o anche rispetto al Lazio (2).

Il discorso è differente in alcune regioni, soprattutto le più piccole. In Valle d’Aosta nessuna confisca, una sola in Molise: un’impresa di produzione di energia elettrica, attualmente gestita dall’ANBSC. In Basilicata c’è una sola azienda confiscata: è il motel Santa Domenica, a Calciano, mai entrato in funzione e fermo da dieci anni. In Trentino due aziende: un ristorante a San Michele all’Adige, destinato e attivo, e un albergo a Riva Del Garda, fermo e in gestione all’ANBSC. Nelle Marche c’è una gelateria confiscata a Grottammare, un ristorante a San Benedetto del Tronto e un’impresa edile a Cagli.

In generale, analizzando i dati nazionali, le confische si concentrano nel settore delle costruzioni di edifici, residenziali e non. Sono 536 in tutta Italia, poco meno di un quarto del totale. Un’azienda su cinque era attiva nel commercio al dettaglio, 498 in totale. Poi 196 tra alberghi e ristoranti, 169 attività immobiliari e 167 imprese manifatturiere. Ma anche tre società provenienti dal settore dell’istruzione: due autoscuole, a Cerignola (Foggia) e a Itri (Latina), e un centro di formazione a Taranto.

Recentemente una sala giochi confiscata al clan Spada a Ostia è diventata un centro di educazione contro il gioco d'azzardo per i giovani – racconta il vicepresidente di Libera – con il coinvolgimento delle scuole. Penso alla recente riapertura del ristorante La Tela a Rescaldina, in provincia di Milano, che ora si chiama Osteria sociale del buon essere è un segnale molto importante su un territorio con una forte presenza di beni confiscati alla ndrangheta”.

Sicilia e Campania: i beni confiscati a mafia e camorra

Quando si tratta di criminalità organizzata vengono subito in mente (banalmente) due regioni: Sicilia e Campania. L’isola, come abbiamo visto, è ampiamente prima nella classifica delle confische ma, scendendo nel dettaglio, è interessante analizzare i picchi in alcuni comuni e in alcuni settori. A Barcellona Pozzo di Gotto, comune in provincia di Messina che fa 40mila abitanti, ci sono 14 aziende confiscate alla mafia. Una ogni duemilaottocento abitanti. Di queste, 9 sono riconducibili allo stesso giro: l’edilizia. Sei sono imprese di costruzione, quattro di edifici residenziali e non, una di impiantistica e una specializzata, due invece sono aziende manifatturiere, una produce calcestruzzo, l’altra cemento, mentre un’altra azienda si occupa di commercio all’ingrosso di materiali da costruzione.

In provincia di Caserta, in Campania, sono state confiscate definitivamente alla criminalità organizzata 96 imprese. Ben 19 nel comune di Casal di Principe, che fa poco più di ventimila abitanti, quasi una confisca ogni mille residenti. Anche qui il giro prediletto è quello dell’edilizia: 9 si occupano di costruzioni e 3 di demolizioni, una invece produce porte e finestre in legno. Restiamo nel casertano. A Casapesenna le aziende confiscate sono 3, due di costruzioni. A San Cipriano d’Aversa invece sono 7, quattro di edilizia e una di preparazione del cantiere edile e sistemazione del terreno.

Le infiltrazioni al Nord: tra Lombardia e Piemonte

Le mafie colpiscono anche il Nord, dove si può parlare di infiltrazioni che ormai sono diventate vere e proprie radici. In Lombardia sono state confiscate quasi duecento aziende, anche qui con dei picchi locali. A Lissone ad esempio, in Brianza, sono state sequestrate 4 imprese che potrebbero essere parzialmente collegate: una si occupava di costruzioni, due di compravendita di beni immobili. Se si allarga il raggio e si prende in considerazione un comune grande e importante come Milano, la situazione non è poi così diversa: 102 aziende confiscate alla criminalità organizzata, di queste 18 nel ramo edile (dallo sviluppo dei progetti alla costruzione), 26 nel settore immobiliare (vendita, affitto) e poi attività di ogni tipo. Un albergo, una gelateria, una gioielleria, un panificio, un money transfer, un call center, un centro bellezza, un’agenzia di viaggi e una lavanderia. Poi ancora 3 discoteche, 3 aziende di produzione di metalli, 7 bar e 4 imprese di trasporti.

In Piemonte le 35 confische sono concentrate soprattutto nel capoluogo di regione: Torino. Nella città della Mole sono 23 le imprese sequestrate: 5 attive nel settore edilizio e 5 in quello immobiliare, poi un bar, un centro scommesse, un editore di periodici, un venditore di infissi e un ristorante. Ma anche tre aziende legate al metallo: una si occupava di commercio all’ingrosso di rottami, un’altra di ferro e minerali e la terza del riciclo degli stessi materiali.

Libera ha censito 800 realtà sociali in Italia che gestiscono beni confiscati alle mafie. Da questo studio “emerge un dato importante – spiega il vicepresidente – 150 di queste realtà sociali sono in Lombardia. 150 associazioni, cooperative, realtà associative che hanno saputo cogliere quest’opportunità”. Per Libera “questo è un dato sociale importante, perché significa che nel corso degli anni c’è stata anche una maturazione da parte del mondo del terzo settore nell’intervenire fuori dalle regioni meridionali”. Parliamo dell’Italia del Centro-Nord, dove le mafie non hanno una tradizione storica. "Poi nel corso degli anni – continua Pati – c’è stata una lettura del territorio molto importante con le indagini giudiziarie, penso al processo Minotauro nel torinese, al processo Aemilia e non solo”.

Le richieste di Libera e i fondi alle aziende del governo Renzi

Sul tema delle aziende Libera lavora a stretto contatto con Cgil, Cisl e Uil. Insieme hanno proposto una campagna: “Io riattivo il lavoro”. Questa iniziativa, cominciata nel 2012, “voleva prestare maggiore attenzione alla gestione delle aziende e alla tutela del lavoro”, spiega il vicepresidente. In sostanza preoccuparsi di quelli che, confiscata l’impresa, perdevano il posto di lavoro. "Tra le proposte della campagna c’era anche quella di prevedere un rafforzamento dell’agenzia nazionale con risorse e strumenti di personale – spiega Pati – l’agenzia oggi è ancora sotto organico e quindi è necessaria l’integrazione di almeno 200 unità”.

Fra gli strumenti che sono stati attivati negli ultimi anni va ricordato che nella legge di bilancio per il 2016, approvata a dicembre 2015 – dal governo Renzi – sono stati stanziati dieci milioni all’anno fino al 2019 – dal 2016 – divisi in questo modo: 7 milioni in quota al fondo specifico per la crescita sostenibile, per dare agevolazioni a tasso zero alle imprese e assicurare la continuità aziendale, e 3 milioni in quota parte al fondo nazionale per la garanzia delle piccole e medie imprese”. Secondo il vicepresidente di Libera “una della criticità della gestione delle aziende è proprio quella dell’accesso al credito”. Per questo è importante puntare sulla “possibilità che i lavoratori stessi possano rilevare la gestione di un’azienda, cioè fare una cooperativa di lavoratori secondo gli strumenti della legge Marcora, è importante – conclude Pati – perché così sono gli stessi lavoratori a garantire la continuità di dignità nel lavoro”.

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