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Banche, lobby agricole e aziende del fossile: “Ecco chi getta benzina sul mondo che brucia”

Venerdì 24 settembre gli studenti e le studentesse scenderanno in piazza anche in Italia per lo sciopero globale per la giustizia climatica. Abbiamo incontrato alcuni dei rappresentati di Fridays For Future Italia nella sede romana di Fanpage che hanno fatto nomi e cognomi di chi, nonostante le campagne di green whasing si oppone al cambiamento e a una reale transizione ecologica.
A cura di Valerio Renzi
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Venerdì 24 settembre tornano in piazza gli studenti e le studentesse di Fridays For Future. Li abbiamo incontrati alla vigilia dello sciopero globale per il clima nella redazione romana di Fanpage, per sapere come il movimento ha attraversato la fase più acuta della pandemia, cosa pensano della transizione ecologica immaginata dal governo Draghi e delle prospettive delle prossime mobilitazioni. Ma gli abbiamo anche chiesto chi sono gli avversari del movimento per la giustizia climatica. Perché in tempi di green washing, dove tutti (governi, aziende, sindacati, tutti ma proprio tutti) sono apparentemente a favore della transizione ecologica  – formula delle più generiche dietro alla quale si possono trovare provvedimenti sostanziali o solo di facciata – è bene rendere chiaro quali sono gli schieramenti in campo in una battaglia che vale tutto il nostro futuro: “There’s not a planet b”.

I giovani attivisti e attiviste per la giustizia climatica, lungi dall'essere degli ingenui idealisti, dei simpatici ragazzi a cui dare le pacche sulle spalle per poi dire "ora delle cose dei grandi se ne occupano i grandi", sono determinati e preparati, ma soprattutto non hanno nessuna intenzione di vedere il mondo che dovranno abitare bruciare. A differenza dello sciovinismo del benessere di chi è venuto prima di loro, immaginano una società radicalmente diverso a partire da una consapevolezza: viviamo già dentro i cambiamenti climatici, possiamo limitare i danni contenendo l'aumento di temperatura a 1,5°, ma servirà uno sforzo enorme ora e non domani. Se questo non accade le conseguenze sono difficilmente prevedibile, per questo Friday For Future, assieme alla politica non in grado di prendere decisioni credibili e radicali, punta il dito contro chi ostacola una reale transizione ecologica.

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Prima di tutto ci sta quella che viene indicata come la "finanza fossile". "Sono banche e assicurazioni che continuano a finanziare impianti di combustibili fossili, impianti inquinanti, che ritarderanno la transizione. – spiega Filippo Sotgiu – Tra queste in Italia abbiamo alcuni tra i più grandi gruppi bancari come Unicredit, Intesa Sanpaolo e tra le assicurazioni Generali. E anche se stanno facendo qualche passetto indietro rispetto al carbone. Mantengono questa posizione esattamente controversa, per cui di fatto buttano benzina sul fuoco sull'incendio dei cambiamenti climatici". Il ragionamento è semplice: le scorte di fossili sono già sufficienti a coprire l'arco temporale indicato dai trattati internazionali azzerare le emissioni, perché continuare a investire e finanziare impianti di estrazione invece? La risposta è altrettanto drammaticamente semplice: le aziende e chi le finanzia non crede minimante che quegli obiettivi saranno mai raggiunti.

E tra queste aziende c'è anche il colosso dell'energia di casa nostra Eni, al trentesimo posto nella classifica dei gruppi più inquinanti al mondo.  "Eni controllata al 30% dallo Stato italiano, che essendo azionista di maggioranza ha un forte potere decisionale. – argomenta Sara Sessa –  Eppure Eni nei prossimi anni ha in programma di aumentare la produzione di oil e gas, e i suoi obiettivi di aumento delle rinnovabili sono davvero miseri. Se pensiamo che progetta di raggiungere solo i 15 gigawatt per la produzione di rinnovabili nel 2030, e per di più dal retail ovvero dalla produzione da parte dei clienti che viene poi reimmessa nella rete dal fornitore". Proprio per queste ragioni Friday For Future Italia ha protestato, assieme ad associazioni e sindacati, quando è stato reso noto che Eni sarebbe entrata nelle scuole per dei corsi di "educazione ambientale" rivolti ai docenti chiamati poi a spiegare ai loro alunni lo "sviluppo sostenibile".

Quando pensiamo ai cambiamenti climatici pensiamo prima di tutto all'industria del petrolio, ma anche il settore agricolo è responsabile – in particolare a causa degli allevamenti intensivi – di quantità importanti di emissioni. Un aspetto di cui si è occupato in questi anni Emanuele Genovese: "Le lobby agricole come la Copa Cogeca che, con l'aiuto dei singoli governi hanno ottenuto di togliere dalla Pac (la Politica agricola comune dell'UE) ogni riferimento alla grandissima quota di emissioni inquinanti di cui è responsabile il settore zootecnico, la distribuzione ineguale dei fondi, la necessità di diminuire drasticamente l'utilizzo dei pesticidi".

Non è vero che tutti sono a favore della giustizia climatica e che tutti lavorano per ridurre i danni dei cambiamenti climatici, dicono gli studenti e le studentesse che domani scenderanno in piazza scioperando assieme ai loro coetanei di tutto il mondo. In troppi, ancora, continuano ad andare avanti nel riprodurre un modello di sviluppo insostenibile come se niente fosse mentre spendono milioni per farsi un'immagine eco-friendly. Gettano letteralmente benzina sul fuoco. Fridays For Future e tutto il movimento per la giustizia climatica ha deciso di fare ancora una volta i nomi, di indicare responsabilità precise per una lotta efficace. Gli studenti e le studentesse di Fridays For Future non sono durati una stagione, come pensava chi li prendeva in giro o guardava con sufficienza con le loro borracce e cartelli fatti in casa, ma sono qua per restare, e per fare paura a chi vuole fermare il cambiamento.

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