Assolto in primo grado dall’accusa di stupro a Macerata, sentenza ribaltata in appello: condannato a 3 anni

La Corte d’Appello di Ancona ha condannato a tre anni di reclusione un uomo di 31 anni, ritenuto colpevole di aver violentato una ragazza di 17 anni di origine straniera nel Maceratese. La sentenza di secondo grado ribalta l’assoluzione pronunciata nel novembre 2022 dal Tribunale di Macerata, che aveva suscitato forti polemiche per le motivazioni con cui l’imputato era stato scagionato.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, i fatti risalgono al 2019. All’epoca dei fatti l’uomo aveva 25 anni e la ragazza 17. I due erano usciti insieme ad un’altra coppia, ma una volta rimasti soli in auto, in una zona appartata, lui l’avrebbe bloccata e costretta a subire un rapporto sessuale contro la sua volontà. La giovane ha raccontato di aver provato a respingerlo “con un pugno” e di non essere riuscita a muoversi.
Nel primo processo, i giudici avevano assolto l’imputato sostenendo che la vittima “non aveva opposto resistenza né chiesto aiuto” e che “non aveva cercato di sottrarsi aprendo la portiera posteriore, pur potendolo fare tranquillamente”. Una lettura che aveva indignato l’opinione pubblica e spinto il Forum delle Donne di Ancona a organizzare un sit-in di protesta davanti al tribunale durante l’udienza d’appello, con lo slogan: “Hanno creduto a lui e non a lei”.
La sostituta procuratrice generale Cristina Polenzani ha invece insistito sulla credibilità della testimonianza della ragazza, definendola “precisa e puntuale”. Secondo l’accusa, la giovane aveva acconsentito solo a semplici effusioni, ma aveva chiaramente rifiutato di proseguire oltre. “Il consenso deve esserci dall’inizio alla fine di un rapporto – ha sottolineato la pm – e lei disse no, un no che l’imputato ha scelto di non percepire”.
Argomentazioni che hanno convinto i giudici d’appello, i quali hanno riconosciuto la sussistenza del reato di violenza sessuale, pur qualificandolo come di minore gravità. La decisione è arrivata dopo quattro anni di indagini e udienze, durante i quali la giovane vittima ha sempre mantenuto una versione coerente dei fatti, confermata anche dalle testimonianze delle amiche e dell’insegnante che la accompagnò in ospedale e poi a sporgere denuncia.
Gli avvocati della difesa, Mauro Riccioni e Bruno Mandrelli, hanno parlato di “processo indiziario”, sostenendo che nel racconto della ragazza fossero emerse contraddizioni e sottolineando l’assenza di lesioni fisiche compatibili con una violenza. Ma la Corte ha ritenuto che la mancanza di segni non escluda la costrizione, riconoscendo la piena validità della testimonianza della vittima e pronunciando la condanna.
Le motivazioni della sentenza saranno depositate nelle prossime settimane.