Asl gli nega il fine vita: “Non mi piango addosso”, 79enne va in Svizzera e muore col suicidio assistito

È morto in Svizzera lunedì 22 settembre 2025 "Fabrizio" — nome di fantasia con cui viene identificato — un uomo di 79 anni originario della Liguria che ha scelto il suicidio medicalmente assistito dopo che la richiesta di accesso alla morte volontaria assistita in Italia era stata respinta dalla Asl locale. La vicenda riaccende il dibattito sul confine tra diritti individuali, interpretazione giuridica e tempi della macchina sanitaria.
Affetto da una patologia neurodegenerativa progressiva e irreversibile, l'anziano aveva perso del tutto la capacità di parlare; comunicava a fatica attraverso gesti e, sporadicamente, con un tablet. La malattia gli aveva provocato gravi disturbi motori e una totale dipendenza dall’assistenza quotidiana; a complicare il quadro clinico si era aggiunta una tromboembolia polmonare che lo aveva costretto all'ossigenoterapia notturna. Nonostante la sua condizione, il Servizio sanitario della Regione Liguria aveva stabilito che "non dipendeva da alcun trattamento di sostegno vitale", un requisito decisivo secondo l’interpretazione seguita per l’accesso all'aiuto medico alla morte in Italia, basata sulla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 (Cappato-Antoniani).
Dopo la prima verifica delle condizioni, richiesta a febbraio 2025, la commissione medica si era pronunciata a maggio con un diniego. Assistito dal gruppo legale dell'Associazione Luca Coscioni, coordinato dall’avvocata Filomena Gallo, l'uomo aveva presentato opposizione chiedendo la rivalutazione del requisito relativo al "trattamento di sostegno vitale", alla luce della giurisprudenza costituzionale che offre definizioni e interpretazioni spesso complesse. Nuove visite erano state effettuate a luglio, ma non era mai pervenuta una decisione definitiva; stanco dell'attesa e della sofferenza ritenuta insostenibile, ha scelto di recarsi in Svizzera per porre fine alla propria vita.
Ad accompagnarlo nella procedura sono state due operatrici di Soccorso Civile — Roberta Pelletta e Cinzia Fornero — l'associazione che assiste persone malate nella scelta di porre fine alle sofferenze all’estero, presieduta e rappresentata legalmente da Marco Cappato. Soccorso Civile ha diffuso una nota in cui denuncia la discrepanza tra la situazione clinica dell'uomo e il rigore interpretativo applicato dalla Asl. "Nonostante tutto questo", recita la comunicazione dell'associazione, il riconoscimento del diritto in Italia gli è stato negato.
Poche ore prima della procedura, Fabrizio aveva affidato a parole registrate e a gesti il senso della sua scelta: "Per me la vita è solo una sofferenza, bado solo a non soffrire troppo. Non mi piango addosso. Sono determinato ad andare in Svizzera per finire questa vita". Quelle frasi sintetizzano il nucleo etico e umano della vicenda: la richiesta di autodeterminazione di una persona gravemente compromessa e la frattura tra legge, prassi amministrativa e tempi clinici.
Il caso riporta al centro la questione di come lo Stato definisca i limiti dell'accesso al fine vita, chi vagli le condizioni di "sostegno vitale" e con quale tempestività vengano date risposte a chi chiede di esercitare un diritto fondamentale. Per molte associazioni e legali interpellati, la vicenda di "Fabrizio" è un segnale della necessità di chiarimenti normativi e di procedure più celeri, per evitare che chi soffre sia costretto a cercare fuori dai confini ciò che percepisce negato a casa propria.