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Covid 19

Andreoni a Fanpage.it: “Stop a tamponi di fine isolamento. Le mascherine le useremo ancora per anni”

Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), a Fanpage.it: “Dobbiamo semplificare perché abbiamo regole troppo cervellotiche, ma ciò non vuol dire riaprire tutto. Ok a stop tamponi di fine isolamento. Non vado dietro a colleghi che dicono che è tutto finito”.
A cura di Ida Artiaco
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"Semplificare va bene perché abbiamo regole cervellotiche, come nel caso dei tamponi di fine quarantena o isolamento, che potrebbero essere eliminati, ma questo non vuol dire riaprire tutto e togliere le mascherine". Così Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), ha commentato a Fanpage.it le nuove misure anti Covid al vaglio del Governo, che oggi saranno discusse in Cdm, con un occhio anche a quanto sta succedendo in Europa, dove alcuni Paesi, come Danimarca e Francia, stanno allentando le restrizioni nonostante un numero ancora alto di casi Omicron.

Professor Andreoni, come giudica la decisione di alcuni Paesi europei di dire addio alle misure anti contagio?

"Sono decisioni prevalentemente politiche più che di tipo sanitario. E la dimostrazione di questo è che nella maggior parte di questi Paesi la numerosità dei casi è ancora assolutamente rilevante. È una scelta sociale e politica, perché l'attuale quadro epidemiologico non ci fa stare tranquilli. Comunque il virus sta circolando e non è vero che Omicron non determina casi gravi. La realtà sanitaria, credo inconfutabile, è questa: più contagi abbiamo e più è probabile che ci possano essere casi gravi, anche se ora ci troviamo di fronte ad una variante che è sicuramente meno aggressiva delle precedenti. Continuiamo ad avere anche un alto numero di decessi, che non sono collegati a Delta, ma una buona parte sono dovuti a Omicron e su questo si devono trarre conclusioni. I paesi che hanno liberalizzato lo hanno fatto non in base a dati sanitari. Non è che in Francia o Danimarca non muore più nessuno o nessuno si ricovera, ma accettano questi morti e ricoveri in funzione di una esigenza diversa".

Molti chiedono anche in Italia una semplificazione delle misure. È d'accordo?

"Dobbiamo semplificare perché abbiamo regole troppo cervellotiche, ma ciò non vuol dire riaprire tutto. Se semplificare vuol dire dire addio alla mascherina, riaprire le discoteche, andare a scuola senza isolamento, sono contrario. Far circolare troppo il virus provoca morti e dà la possibilità al virus stesso di sviluppare altre nuove varianti che possono creare enormi problemi. Non a caso parliamo già di Omicron 2. Il mio è un giudizio sanitario. Tuttavia, alcune cose si possono semplificare, come il tempo di isolamento e quarantena".

Per esempio?

"Un soggetto malato dopo 10 giorni dall'inizio dell'infezione difficilmente continua ad essere un diffusore del virus, soprattutto se diventa asintomatico o paucisintomatico da due o tre giorni. Questo dato esiste dal 2020, tanto è vero che alcuni paesi come gli Usa in modo pragmantico alla decima giornata mandano la gente fuori casa. Si potrebbe ad esempio prevedere di non eseguire il tampone con regole che siano controllate. Anche perché non è il tampone che ci dice se una persona è infettiva o meno. Per questo dico che alla fine non serve più. Il tampone può dare esito positivo anche per 100 giorni però non indica l'infettività. Su alcune cose si può diventare più pragmatici con meno rischio, mentre sono perplesso nel dire che non serve più la mascherina all'aperto se ci sono rischi di assembramento e difficili da gestire".

Ora che abbiamo superato il picco di Omicron cosa ci aspetta nelle prossime settimane? 

"Io credo, sulla base anche dei dati che arrivano dagli altri Paesi, che dovremmo aspettarci una progressiva diminuzione del numero dei casi e una più lenta riduzione del numero dei morti. Avremmo potuto aspettarci un calo più rapido dei contagi, ma l'importante è aver imboccato la discesa".

Possiamo sperare in una primavera più tranquilla?

"Sicuramente avremo una primavera più tranquilla. Purtroppo però dobbiamo rimanere con i piedi per terra sapendo che questa battaglia non è ancora vinta. L'emergenza di varianti è un reale problema che continua ad esserci, anche se quest'ultime si confronteranno con una popolazione maggiormente immune e questo rappresenta un elemento di tranquillità. Non ci sarà una variante di tale entità da sfuggire in maniera completa all'immunità generata sia dal vaccino che dalla malattia naturale, ma si confronterà con una popolazione più preparata e non avrà un impatto così devastante. Il rischio oggettivamente però c'è, così come ci sono profonde differenze tra i vari paesi del mondo per quanto riguarda le campagne di vaccinazione, il che ci deve far mantenere alta l'attenzione. Le persone, seppure stanche, devono cominciare a pensare che alcune misure, come la mascherina al chiuso, forse dovremmo imparare ad utilizzarle per qualche anno in condizioni ad alto rischio, senza troppa ossessione. Non vado dietro a colleghi che dicono che è tutto finito, anche se mi farebbe piacere".

Dire che il virus con Omicron si avvia a diventare endemico è un bene o un male?

"Se per endemicità si intende che la numerosità dei casi gravi si riduce, direi che è un bene. Ma dire endemia non vuol die che il discorso è chiuso. Questo virus continuerà a fare morti all'anno per i prossimi anni, per questo dovremo continuare a studiare vaccini e nuovi farmaci perché avremo ciclicamente persone che avranno il Covid perché non hanno risposto ai vaccini o sono fragili. Diventerà una malattia discretamente seria presente nel nostro paese e nel resto del mondo, così come abbiamo la polmonite o la meningite meningococcica, malattie gravi ma che in una numerosità limitata fa i suoi morti. Abbiamo imparato ad accettarla, abbiamo il vaccino che funziona bene. La strada è questa".

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