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Opinioni

Anche Pirelli parla sempre più russo

Pirelli finisce nel mirino di Mosca, con l’ingresso di Rosfneft nel capitale come primo socio col 13,1%. Prima di lei era capitato alla Saras e al gruppo Lucchini, ma l’abbraccio tra Roma e Mosca è di portata molto più ampia…
A cura di Luca Spoldi
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Milano chiama,  Mosca risponde: mentre in Crimea il referendum secessionista ottiene una maggioranza plebiscitaria a favore del “ritorno alla madre Russia” nonostante gli strali di Ue e Stati Uniti che non riconoscono la validità del referendum stesso e minacciano nuove sanzioni (ma una telefonata diretta tra Vladimir Putin e Barack Obama sembra aver per ora stemperato la tensione, tanto che stamane i mercati finanziari europei recuperano ampiamente terreno rispetto a venerdì), Marco Tronchetti Provera e soci aprono le braccia a Rosneft, divenuta a inizio secolo la maggiore compagnia petrolifera russa dopo aver acquistato asta le attività della Yukos nel 2004, dopo l’arresto dell’oligarca (vicino a Boris Eltsin ed avversario di Vladimir Putin) Boris Chodorkovskij, nel 2003, per frode (nel 2005 Chodorkovskij venne poi condannato a nove anni di carcere, da cui è uscito in seguito ad amnistia nel dicembre dello scorso anno per trasferirsi in Germania).

Nel dettaglio Unicredit, Intesa Sanpaolo, Clessidra e Nuove Partecipazioni (veicolo finanziario che fa capo a Marco Tronchetti Provera e soci) hanno comunicato in una nota di aver raggiunto un accordo di massima con Rosneft “per la realizzazione di un'operazione che prevede da un lato l’uscita da parte di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Clessidra dalla partnership esistente in Lauro61/Camfin e il ontestuale parziale reinvestimento da parte di Unicredit e Intesa Sanpaolo” (ma non del fondo di private equity guidato da Claudio Sposito) in una nuova partnership, “anche tramite costituzione di un apposito veicolo, in cui Rosneft avrà il 50% e il restante 50% sarà detenuto da una “newco” composta da Nuove Partecipazioni all’80% e, con una quota del 10% ciascuna, da Unicredit e Intesa Sanpaolo. Questa nuova partnership deterrà la partecipazione Pirelli oggi posseduta da Lauro61/Camfin” (pari al 26,193%, ndr).

Il disinvestimento di Unicredit, Intesa Sanpaolo e Clessidra, precisa la nota, “avverrebbe valorizzando a 12 euro per azione la partecipazione Pirelli” ovvero appena sopra gli attuali livelli di borsa (il titolo ha chiuso la giornata a 11,77 euro in ribasso del 2,24%), il che toglie quasi ogni appeal speculativo al titolo che infatti oggi cala a Piazza Affari. Che poi i soci venditori definiscano “obiettivo dell’accordo” lo sviluppo delle “attività e il business di Pirelli, anche rafforzando la rete commerciale in Russia grazie alla capillare presenza sul territorio di Rosneft” sembrerebbe più che altro una coperta pudica ad una verità che si preferisce non gridare troppo ma che è sempre più evidente: l’Italia ha molto più bisogno della Russia di quanto la Russia non abbia bisogno dell’Italia e per questo i nostri gruppi industriali parlano e parleranno sempre più russo. Il che sembra inevitabile se si pensa dove la ricchezza si sia creata negli ultimi anni e dove sia stata distrutta (o se ne sia creata di meno).

Se vi appassiona il tema dell’italianità delle nostre grandi aziende, sappiate che l’ammainabandiera in Pirelli è rinviato, ma di fatto Rosneft, che ha accettato che la governance di Pirelli “rimanga invariata e incentrata sul ruolo fondamentale di guida del board”, prevedendo “che tutte le materie strategiche, la definizione del business plan e il budget di Pirelli siano sottoposte al board dal Presidente e Ceo e siano approvate a maggioranza, come avviene già oggi”, Presidente e Ceo che sarà “indicato da Nuove Partecipazioni”, dunque da Tronchetti Provera, e “avrà pieni poteri relativamente alla gestione ordinaria della società” (non so a voi ma a me tutte queste rassicurazioni ricordano quelle date da Telefonica quando rilevò la maggioranza di Telco divenendo indirettamente il principale azionista di Telecom Italia), è ormai il primo socio di Pirelli visto che avrà indirettamente il 13,1% circa del capitale contro un 10,4% di Nuova Partecipazioni, un 6,98% del gruppo Malacalza, un 4,6% dei Benetton, il 3,95% di Mediobanca e poco più dell’1,3% di Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Che l’Italia si stia sempre più legando alla Russia (con quel che ne consegue circa la posizione che Roma potrà mai assumere rispetto alle vicende in Ucraina e Crimea) è evidente se solo si ricorda che prima di Pirelli a finire nel mirino di Rosneft era stata Saras, lo scorso anno. In quel caso i russi si sono accontentati di mettere le mani su poco meno del 21% del capitale, con i due fratelli Massimo e Gian Marco Moratti che restano primi azionisti ciascuno col 25,011% a testa e dunque tuttora azionisti di maggioranza assoluta e padroni in casa propria. Certo, Tronchetti Provera incassa 500 milioni (su oltre 5,8 miliardi di euro di capitalizzazione, dopo essere salita di un 45% abbondante nell’ultimo anno), mentre i Moratti si sono accontentati di meno di 180 milioni di euro, con Saras che dopo aver guadagnato poco meno del 23% negli ultimi 12 mesi vale poco più di un miliardo in borsa.

Prima ancora erano stati i Lucchini a passare la mano cedendo, gradualmente, il 100% del loro gruppo siderurgico alla Severstal di Alexei Mordashov (il primo 61%  passò di mano nel 2005 dopo una ricapitalizzazione da 450 milioni di euro al termine di un salvataggio industriale avviato due anni prima da Mediobanca, un altro 9% passò di mano nel 2007 per 85,2 milioni, l’ultimo 20% fu rilevato nel 2010 per 160 milioni di euro). Se poi non ci si limita a osservare i casi in cui capitali russi abbiano rilevato quote di aziende italiane, ma si osserva lo sviluppo delle relazioni industriali, è evidente la crescente importanza delle relazioni tra Roma e Mosca per gruppi come Eni ed Enel.

Il cane a sei zampe solo a novembre ha siglato, proprio con Rosneft, un accordo per forniture di greggio e investimenti congiunti in attività di logistica e commerciali nel settore degli idrocarburi e che con Saipem ha appena vinto una commessa da 2 miliardi di euro per iniziare i lavori su un primo tratto del gasdotto SouthStream, destinato proprio a far arrivare il petrolio russo in Europa senza passare dall’Ucraina, mentre il gruppo guidato da Fulvio Conti, entrato in Russia nel 2004, si è parzialmente disimpegnata cedendo pochi mesi fa sempre a Rosneft il 40% di Artic Russia, la joint venture tra Eni ed Enel che controlla il 49% di SeverEnergia, ma detiene ancora il 59,8% di Ogk-5, una delle principali società elettriche russe.

Sempre in Russia Fiat sta cercando da tempo di tornare ai fasti degli anni Settanta, quando a Togliattigrad si producevano duemila Zigulì (la copia locale della Fiat 124) al giorno, anche se Sergio Marchionne dopo un primo accordo di massima raggiunto già nel 2010 per produrre macchinari agricoli e vicoli militari di Fiat Industrial e un ulteriore accordo con Renault e MosavtoZil raggiunto lo scorso anno per produrre entro marzo i primi Ducato proprio a Togliattigrad, non sembra essere ancora riuscito a centrare il bersaglio di far sbarcare la produzione di 120 mila Jeep Grand Cherokee a Taganrog per la quale una prima intesa era stata raggiunta in joint venture con la banca russa Sberbank già nel 2010.

In compenso Finmeccanica attraverso la controllata Alenia produce e commercializza assieme alla russa Sukhoi il velivolo Super jet 100, operano da tempo tanto Intesa Sanpaolo quanto Unicredit (che con la controllata Unicredit Zao è l’ottava banca del paese, primo istituto di credito straniero), mentre Generali, presente in 10 paesi dell’Est Europa con una raccolta premi pari complessivamente a 4,136 miliardi nel 2013, possiede il 38,5% di Ingosstrakh, la terza maggiore compagnia assicuratrice russa, e uno 0,89% di Vtb, la seconda maggiore banca russa, acquisita nel 2012 per 300 milioni di dollari.

Insomma: può non piacere, ma i legami tra Italia e Russia si sono sempre più andati rafforzando in questi ultimi due decenni, generando un flusso di investimenti crescenti dalla Russia verso l’Italia (anche senza contare i cospicui flussi di denaro investiti in Italia nel settore immobiliare da privati russi o i crescenti flussi turistici e il relativo contributo agli acquisti nel Bel Paese) e in minor misura dall’Italia verso la Russia. Secondo il ministero degli Esteri a fine 2011 l’interscambio commerciale tra i due paesi superava i 27 miliardi di euro, con una crescita del 22% abbondante rispetto all’anno prima, mentre sul suolo russo erano attive oltre 500 imprese italiane.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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