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Altro che crescita: anche a febbraio sempre meno soldi a imprese e famiglie

Anche a febbraio calano ancora i prestiti a imprese e famiglie italiane. Mentre la politica monetaria di Mario Draghi consente alle imprese americane di finanziarsi a basso costo e alla Svizzera di emettere titoli di stato a 10 anni a tassi negativi…
A cura di Luca Spoldi
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Altro che crescita: secondo i dati diffusi oggi dalla Banca d’Italia a febbraio i prestiti alle imprese private sono calati su base annua del 3%, peggiorando il dato (-2,7%) di gennaio, mentre i prestiti alle famiglie restano a loro volta flebili con un -0,4% che segue il -0,5% di gennaio. Il dato complessivo peggiora così passando dal -1,8% del primo mese dell’anno a -2%, il che non è certo sintomo di una grande vitalità dell’economia italiana, nonostante le rassicurazioni giunte dalla stessa Banca d’Italia ancora di recente e nonostante gli sforzi della Banca centrale europea che col suo programma di acquisto di bond sul mercato (“quantitative easing”) un effetto l’ha effettivamente ottenuto, ma probabilmente non quello voluto: ha portato sotto zero i tassi anche a lungo termine della Svizzera, che ieri ha collocato in asta una tranche da 232,5 milioni di franchi svizzeri del bond scadenza luglio 2025 ad un prezzo sopra la pari così che nonostante una cedola nominale dell’1,5% annuo il tasso effettivo è risultato pari a -0,055% annuo.

Si tratta di un record storico, visto che finora tassi negativi erano stati segnati da titoli di stato della Germania e di altri paesi del Nord Europa ma solo su scadenze a breve, anche se più di un esperto ormai si attende un rendimento negativo per il Bund decennale entro la prossima estate (e per quel periodo un tasso sui titoli di stato decennali italiani sotto l’1% contro l’1,3%-1,4% attuale). Se i tassi scendono, soprattutto ma non solo in Svizzera o nel Nord Europa, perché le aziende non ne approfittano? In realtà lo fanno, ma non quelle europee e certamente non quelle italiane. Secondo un report di Bank of America, il 65% dei 60 miliardi di euro di bond “investment grade” collocati sul mercato in marzo sono stati emessi da soggetti d’oltre oceano, in gran parte statunitensi. Tra i bassi tassi ed euro debole per una corporation americana indebitarsi nella valuta unica europea conviene dato che può risparmiare anche un 2% all’anno rispetto ad un’emissione in dollari.

Così la politica monetaria di Mario Draghi mostra tutti i suoi limiti: non è di fatto efficace per disinnescare il “rischio deflazione” e non riesce a finanziari la ripresa dell’economia reale (europea). Perché ciò avvenga è noto ormai anche alle mosche sulla carta moschicida: la “cura letale” di matrice tedesca che ha “virtuosamente” adottato Eurolandia ormai da cinque anni, a seguito dell’esplodere della crisi del debito sovrano dei paesi del Sud Europa dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008 che partita dagli Usa ha rischiato di spazzar via l’intero modello di sviluppo occidentale, fortemente banco-centrico (e in Italia anche debito sovrano-centrico), potrà forse, molto forse, servire a ridurre col tempo il peso del debito stesso sul Pil, almeno quando il Pil inizierà a crescere ad un tasso nominale (tasso reale più inflazione) pari al costo medio del debito stesso, ma questo risultato potrà essere raggiunto solo a medio-lungo termine dopo una sostanziale contrazione della domanda interna, un riorientamento della produzione verso i mercati esteri, un sostanziale crollo del costo del lavoro e in generale un impoverimento del paese che attraverso questa “cura” vorrà (o dovrà, come la Grecia) “rinnovarsi”.

E siccome le banche tendono a seguire l’andamento della domanda e non a precederlo (perché concedono credito solo dopo che le aziende hanno deciso di chiederlo, non riuscendo col solo autofinanziamento a far fronte a investimenti resi necessarie da un incremento della domanda o dalla necessità di rinnovare attrezzature, macchinari e “intangibili”), tanto più quando come nel caso italiano stanno ancora registrando un incremento delle sofferenze nette e lorde che non si riescono ancora a collocare sul mercato per importi significativi, si può sperare che quest’anno vada un poco meglio dell’anno scorso ma sarebbe da illusi credere che vivremo a breve un nuovo boom economico, per il quale, tra l’altro, non esistono neppure le condizioni basilari, ossia a livello di andamento demografico.

Siamo ottimisti e fiduciosi che le aziende italiane, che continuano a piacere assai in tutto il mondo a giudicare dalla frequenza con cui vengono rilevate dai loro concorrenti esteri, potranno trovare nuovi sbocchi, sapranno inventarsi nuovi prodotti e servizi, guadagneranno (o conserveranno) il favore dei loro potenziali clienti. Ma intanto il presente è fatto di ulteriori trimestri che passeranno con un’Italia al piccolo trotto, con riforme che avanzano lentamente in Parlamento e nel paese, con imprenditori sempre più sfiduciati e in qualche caso pronti anche ad atti estremi, per disperazione o follia. Martin Luther King disse una volta: “We must learn to live together as brothers or perish together as fools”. Sarebbe ora di dare concretezza a questa intuizione o di trovare una strada alternative per riprendere un percorso di crescita sostenibile che non sia solo attendere che un numero sufficientemente elevato di aziende siano fallite, di lavoratori siano stati licenziati, di cittadini siano emigrati altrove. Non credete?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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