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Opinioni

Lo strano nervosismo della destra a pochi giorni dai referendum

C’è uno strano nervosismo a destra, a pochi giorni dal voto referendario, che contrasta con la sicurezza ostentata pubblicamente da Giorgia Meloni. Come dovremmo interpretarlo?
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Tutto considerato, il nervosismo della destra è inspiegabile. Il modo aggressivo, rancoroso e inutilmente polemico con cui i partiti e i giornali della destra stanno gestendo questi ultimi giorni di campagna elettorale per i cinque referendum e per i pochi ballottaggi delle amministrative, evidentemente, nasconde qualche preoccupazione che non siamo in grado di cogliere. Ragionando freddamente, infatti, sono poche le insidie che sembrano attendere al varco Giorgia Meloni e i suoi sostenitori, alla vigilia della tornata elettorale dell'8 e 9 giugno.

Partiamo da una considerazione banale: il raggiungimento del quorum sarebbe un’impresa clamorosa, non soltanto data la tendenza a disertare le urne che ormai affligge il nostro Paese da anni. Peraltro, le opposizioni si sono divise in mille rivoli sull’appuntamento elettorale, con distinguo non sempre comprensibilissimi agli occhi dell’opinione pubblica. La scelta, per la verità non di tutti i sostenitori del referendum, di trasformarlo in un test sull’operato del governo, in tal senso, potrebbe essere un clamoroso regalo alla compagine guidata da Giorgia Meloni. Il formidabile atto di sabotaggio messo in campo da gran parte della galassia informativa, in particolare da quello che teoricamente sarebbe il servizio pubblico, ha già garantito che i cittadini conoscessero il minimo indispensabile del merito dei quesiti, aiutando il centrodestra a nascondere le proprie contraddizioni in merito. Nella sostanza, non solo non si è aperto un dibattito su temi centrali come la sicurezza sul lavoro, ma è emersa una visione distorta delle richieste dei promotori dei referendum (il caso della sovrapposizione tra concetti diversi come cittadinanza e immigrazione è emblematico).

Contestualmente, i sondaggi continuano a segnalare l’ottimo stato di salute dei partiti di maggioranza, con Fratelli d’Italia che galleggia intorno al 30% e rappresenta un caso pressoché unico di gradimento dopo due anni e mezzo al governo. Meloni, inoltre, sembra essere riuscita a recuperare un minimo di credibilità internazionale, o meglio a riprendere il controllo della narrazione sul tema, dopo clamorose figuracce e scelte azzardate di posizionamento (a proposito, chissà cosa pensa della rottura Trump / Musk).

Tutto o quasi, sembra andare nella direzione giusta per la causa meloniana. E allora, come si spiega questa scelta di alzare i toni sul referendum? Come va interpretata la posizione tra il ridicolo e il provocatorio della presidente del Consiglio rispetto al suo recarsi alle urne senza ritirare le schede? Perché l’ordine consegnato ai giornali di riferimento è quello di attaccare a testa bassa “la sinistra e le divisioni interne”, se la partita del referendum sembra semplicissima?

Non sarà che dal Paese stiano arrivando segnali contraddittori?

Leggere i giornali della destra forse può aiutarci a chiarire l’arcano. Su La Verità, alla cui festa Meloni è stata “intervistata” (si fa per dire) da Maurizio Belpietro, l’ex ideologo della destra Marcello Veneziani tradisce una certa preoccupazione sulle intenzioni degli italiani:

Se chiedi a un italiano se va a votare al referendum si arrampica sugli specchi per non dirtelo: nell'attesa che capisca come la pensi tu o se c'è nei paraggi qualche mili-tante referendario, cominciano le contorsioni verbali, la danza dei verbi condizionali, la vaghezza di propositi, come se si trattasse di un impegno tra sei anni. Oppure dichiarazioni reticenti del tipo: di solito vado a votare, se non ci sono imprevisti… O peggio, ci si barrica dietro impegni improrogabili quanto improbabili, ragioni climatiche, si scarica l'eventuale latitanza dai seggi sulla famiglia, il nonno da assistere, i figli da accompagnare alla recita o la moglie che esige dopo una settimana stressante che si vada al mare o a sistemare la casa di campagna. Magari addolcendo l'annuncio con una mezza promessa, ma se riuscirò a sbrigarmi in tempo, magari… Meglio non scoprirsi. È un'indole antica di noi italosauri, che esercitiamo d'istinto, per autodifesa, per paura del nemico, come se fosse pericoloso esporsi con un sì o con un no, o nel caso dei referendum con un vado o non vado. Non ti compromettere, dicevano un tempo le mogli prudenti. E noi stiamo sempre nel mezzo, tra il liscio e il gassato…

Ma come, non era tutto in discesa? Nel dubbio, Veneziani ci dice cosa farà: “Visti i reali obiettivi non vado a votare. Preferisco lasciare le cose co-me stanno e non perdere una mezza giornata a tornare in città, fingere di votare, e quando lo scrutatore mi offre la scheda, rispondere grazie ma ho già fatto colazione di schede a casa, oppure non desidero, sono astemio, sono vegano, non ho appetito referendario. Se non ci andrò se ne faranno una ragione, anche perché non sarò certo il solo…

Ma è convincente un appello di questo tipo, che punta sulla poca rilevanza o sulla problematicità dei quesiti e sul contestare la tesi del voto come dovere civico? Non saprei, ma a giudicare dalle strategie degli altri giornali di area direi di no. Tant’è che, ad esempio, Libero preferisce puntare sulla caratterizzazione politica dei referendum, parlando di partita interna alla sinistra e ipotizzando traumi sul governo. Fausto Carioti spiega:

Vendono i referendum come lo strumento per migliorare le condizioni dei lavoratori e «rendere il Paese più giusto», come dice Elly Schlein. E con queste motivazioni spingono sugli elettori di centrodestra, affinché pure loro vadano ai seggi. «Ci rivolgiamo a tutti», ripete da settimane Maurizio Landini. “Chiediamo a tutte e tutti di andare a votare”, predica la segretaria del Pd. E si capisce perché: si rivolgessero solo agli iscritti della Cgil e agli elettori di Pd, M5S e Avs, le possibilità di farcela sarebbero zero; così, invece, possono sperare di giocarsela. Ma è una bugia, una trappola, e tra loro c'è chi lo ammette. Tipo Francesco Boccia, il capogruppo del Pd al Senato. Parole sue di ieri, testuali, rilasciate a Radio Cusano: “La premier Meloni ha preso alle elezioni 12 milioni e 300 mila voti, se al referendum andassero a votare 12 milioni e 400mila persone, sarebbe un avviso di sfratto alla presidente del consiglio. Significherebbe che un pezzo di Paese sul lavoro e sulla cittadinanza le sta dicendo "non ci piace come stai governando"

[…] Le vere poste in gioco sono altre, ambedue politiche. Una riguarda i rapporti interni alla sinistra. Se la partecipazione sarà alta, Schlein potrà dire di aver chiuso i conti col "vecchio" Pd, al quale si deve il Jobs Act. […] La seconda partita è quella che Boccia, bontà sua, ha illustra-to in termini tanto chiari: l'obiettivo del referendum è «dare un avviso di sfratto» a Meloni.

È chiaro che un elettore di centrodestra, in questo senso, non avrebbe interesse ad andare a votare. Una linea che piace molto anche a Il Tempo e al Giornale, che spingono molto sulle divisioni interne al Partito democratico. Ma è sempre il quotidiano di Sechi a picchiare più forte: Libero infatti rispolvera Gianluigi Paragone, che scrive un duro pamphlet sul “Popolo che ha scaricato la sinistra e i sindacati”. Nella lettura dell’ex leader di Italexit, infatti, “la gente non sa perché non ne vuole sapere di essere informata nel senso che ha scelto di chiudersi per non sapere. In poche parole, è una questione che non interessa”. Questo perché si tratta di una contesa interna alla sinistra, utile solo a Schlein e Landini per rafforzare le loro posizioni, secondo il giornalista: “La Schlein sta chiedendo il voto agli italiani contro una legge approvata dal suo stesso partito; è un regolamento di conti contro quel pezzo di partito che ancora oggi non vuole uno scivolamento a sinistra. Landini invece fa di più, cerca di coprire il suo fallimento in questi anni di segreteria e proporsi come politico più che come sindacalista”.

Insomma, un fuoco di fila teso a coprire tutte le basi, dal merito dei quesiti al pericolo di rafforzare Schlein e Landini, con annessa paura di contraccolpi sulla stabilità del governo. E meno male che sono tranquilli.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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