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Perché dopo Raisi l’Iran potrebbe avere un presidente moderato: l’analisi del politologo Vali Nasr

L’intervista di Fanpage.it all’accademico iraniano dopo la morte di Raisi: “Ci sarà una lotta nella élite al potere, che non ha candidati credibili. Probabile la scelta di un moderato, per dare più legittimità al regime”. E torna d’attualità il nome di Hassan Rouhani, favorevole a negoziati con l’Occidente.
A cura di Riccardo Amati
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I colloqui recentemente ripresi con gli Usa sul programma nucleare iraniano e sulla de-escalation in Medio Oriente “avrebbero un ulteriore slancio” se la Guida suprema Khamenei indicasse un moderato alla presidenza, dopo la morte di Ebrahim Raisi. Una scelta “probabile” per risolvere la crisi di successione, secondo Vali Nasr, professore di Affari internazionali e Studi mediorientali alla Johns Hopkins University. Ma non sarà facile metter d’accordo una leadership politica estremista che aveva messo in conto di controllare pienamente il potere per altri decenni. Lo scontro al vertice sarà feroce.

Vali Nasr
Vali Nasr

Professor Nasr, la morte di Raisi apre a una doppia crisi: sulla presidenza e sulla successione alla Guida suprema. L’ayatollah Khamenei ha 85 anni. E Raisi era il delfino… 

Era uno dei due nomi di cui tutti parlavano ed era il favorito dell’estrema destra più conservatrice. Che non ha altri candidati, per la successione a Khamenei.

Quindi resta in corsa solo il secondo figlio dell’Ayatollah, Mojtaba?

Il suo nome è sempre stato indicato. In pratica, c’erano due possibili successori, entrambi espressione della più profonda conservazione. Era una situazione perfetta per l’estrema destra, che tra i due sosteneva Raisi. Una successione familiare era infatti improbabile, perché sarebbe stata difficile da spiegare al Paese. Mica si può trasformare così da un giorno all’altro la repubblica islamica in una monarchia ereditaria di fatto. Le conseguenze politiche sarebbero state molto negative. Raisi, quindi, avrebbe con ogni probabilità prevalso su Mojtaba. E adesso invece l’estrema destra è nei guai. Proprio perché non ha altri nomi da proporre. Dovrà forse ripiegare su qualche leader del passato. E si tratta generalmente di leader più moderati rispetto alle attuali politiche del regime.

E per la presidenza? Quali sono i possibili candidati dell’estrema destra dominante in Iran?

Anche in questo caso, non ce ne sono. Non ci hanno nemmeno pensato. Tutti gli esponenti dell’area politica di cui parliamo si aspettavano che Raisi finisse il suo mandato nel giugno del 2025 e poi si candidasse nuovamente alle elezioni e le vincesse. Per restare in carica altri sei anni. Per questo non hanno nessuno di livello da proporre. E non possono candidare semi-sconosciuti che andrebbero incontro a una sconfitta elettorale certa. La posizione dell’estrema destra è diventata difficile. Certo, potrebbero presentare chiunque e forzare il voto nella sua direzione. Ma tra i loro, solo Raisi avrebbe potuto vincere le elezioni in maniera leale.

Brogli in vista, quindi?

Forzare le elezioni però sarebbe destabilizzante. La pressione sull’estrema destra, che è la leadership del Paese, è davvero pesante.

Perché? Cosa rischia l’attuale leadership iraniana?

Il progetto che aveva di controllare l’Iran attraverso il consolidamento del potere a tutti i livelli, dal parlamento alla presidenza e dalla carica di Guida suprema al Corpo delle guardie della rivoluzione islamica (i pasdaran, ndr)  è ora interrotto. Perché il controllo sulla presidenza è stato interrotto. E anche quello sulla successione dell’ayatollah Khamenei.

La élite al potere come può uscire da questa situazione?

Con un compromesso. Non avendo nessuno dei loro da proporre al posto di Raisi, potrebbero decidere di far correre un candidato più moderato. O meglio, meno estremista. Qualche persona senior, conosciuta e benvoluta nel Paese. Una persona credibile. Che potrebbe assicurarsi la vittoria con la benedizione dell’estrema destra pur non facendone parte.

Sarà la Guida suprema a scegliere i candidati?

La Costituzione prevede che sia il Consiglio dei guardiani (una sorta di Corte costituzionale islamica, composta da sei teologi nominati dalla Guida suprema e sei giuristi proposti dal potere giudiziario, ndr). Ma il Consiglio ascolta le direttive del leader supremo. Che di fatto incoraggia o scoraggia i candidati a presentarsi. In pratica, se un moderato come l’ex presidente Rouhani (Hassan Rouhani, in carica dal 2013 al 20121: trattò l’accordo sul nucleare iraniano ed è favorevole al dialogo con gli Usa e l’Occidente, ndr) fosse preso in considerazione, sarebbe Khamenei in persona a parlargli in privato per dirgli di farsi avanti. Alla fine di queste consultazioni, la Guida può indicare un nome. Sta poi al consiglio approvarlo o meno. Ma certo l’indicazione viene dalla persona più autorevole in Iran. Quindi, tutto dipenderà da cosa pensa Khamenei. Vuole vere elezioni, con un candidato non di estrema destra ma accettabile per la popolazione? Una figura conosciuta che possa portare stabilità al Paese? Oppure vuole un governo estremista a basso tasso di legittimità, con un presidente senza qualità e carisma?

Quindi, anche Rouhani potrebbe tornare d’attualità. E che succederebbe se invece Khamenei e il Consiglio optassero per la soluzione più estremista, a costo di dover manovrare le elezioni? Ci sarebbe caos nel Paese? Nuove proteste come quelle del 2022 e del 2023?

Anche se non ci fossero nuove proteste, la crisi di legittimità si acuirebbe. I regimi possono perder legittimità anche senza che la gente scenda in piazza. E questo Khamenei lo sa bene. Penso che considererà troppo rischioso insistere per una figura di estrema destra sconosciuta e senza credibilità. La popolazione come minimo non parteciperebbe al voto. Boicotterebbe le elezioni. Credo che Khamenei vorrà un candidato moderato che possa piacere agli iraniani.

Uno come Rouhani?  

Potrebbe tornare Rouhani, con qualcuno della sua vecchia squadra. Più probabile, una candidatura del presidente del Majlis (il parlamento iraniano, ndr) Mohammad Bagher Ghalibaf: è un ex comandante della Guardia rivoluzionaria ed è considerato un conservatore tradizionale, non un estremista. Un po’ come Mitt Romney nel Partito repubblicano degli Usa, per fare un esempio. Oppure, potrebbe essere il turno di Ali Larijani, capo dell’assemblea consultiva islamica.

Soprattuto nel caso di Larijani, non parliamo certo di oppositori del regime…

Non si tratta di un’alternativa al regime ma di persone su posizioni moderate rispetto alla leadership attuale. Posizioni che potrebbero essere comparate a quelle del Pd in Italia. Non certo rivoluzionarie. Fondamentalmente centriste ma più “a sinistra” della fazione da cui proveniva Raisi.

Che affluenza si aspetta alle urne? Gli iraniani sono sempre più delusi: alle elezioni parlamentari del marzo scorso ha votato solo il 40 per cento degli aventi diritto. A Teheran, solo il 7 per cento…

Dipenderà dai candidati. Se la scelta è tra estremisti di destra, ovvero tra il male e il peggio, allora ci sarà un boicottaggio del voto. E una bassa affluenza minerebbe il sistema. Se la Guida Suprema si sentirà costretta a indicare un candidato credibile e moderato, allora gli iraniani andranno alle urne. Perché la leadership ultra reazionaria apparirà in difficoltà e si potrà sperare in un cambiamento.

Allora si può sperare in un Iran più moderato?

Sì ma non è cosi semplice. In Occidente si sottovaluta la vivacità dello scontro politico in Iran. Sarà una lotta tra gli ayatollah. È vero che alla fine le decisioni le prende la Guida suprema. Ma non è facile per Khamenei imporre un moderato come presidente. Deve convincere l’ala estrema che contava su una sopravvivenza al potere per i prossimi decenni. Deve vedersela con i più radicali e potenti rappresentanti della fazione finora vincente.

Chi è Mohammed Mokhber, il vicepresidente che ha assunto ad interim i poteri del defunto Raisi?

Un signor Nessuno. Parte della fazione di estrema destra. Non è un politico di alto livello. Quando l’hanno messo lì, nessuno si aspettava che potesse un giorno detenere — seppur temporaneamente — il potere.

Molti analisti sostengono che, comunque venga risolta questa crisi di successione, la politica estera dell’Iran non cambierà, perché a deciderla è la Guida suprema. Ma è davvero così? Il nuovo presidente avrà il compito di gestire i negoziati ripresi con gli Usa sul programma nucleare iraniano era de-escalation della crisi mediorientale…

I nuovi negoziati continueranno perché comunque è stato il governo estremista di Raisi a iniziarli. Il recente incontro in Oman non è nemmeno una novità: anche prima del 7 ottobre rappresentanti di Usa e Iran si erano incontrati almeno due volte. E durante la crisi missilistica di aprile, tra il 1° e il 14 aprile, Teheran e Washington hanno comunicato intensamente attraverso canali indiretti (Iran e Usa non intrattengono relazioni diplomatiche, ndr). Anche se il nuovo presidente fosse un estremista alla Raisi, i colloqui andranno avanti. Il problema è che cambieranno le persone. Il vice ministro degli Esteri Ali Bagheri Kani — finora delegato a incontrare gli americani — dopo la morte del suo capo Hossein Amirabdollahian nel disastro dell’elicottero cambierà lavoro. Si dovranno instaurare nuovi rapporti personali. Sempre un problema, in diplomazia. Ma la politica di dialogo, e di allentamento della tensione a livello regionale e sulla questione nucleare, continuerà.

E se il nuovo presidente fosse un moderato?

Allora questa tendenza alla distensione potrebbe espandersi. Con un conservatore — perché di questo comunque si tratterebbe — più moderato, tali contatti prenderebbero slancio.

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