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Cosa c’entra la crisi di Credit Suisse con Silicon Valley Bank e quali rischi corrono le banche italiane

L’intervista di Fanpage.it a Marcello Messori, professore di Economia al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Luiss di Roma su rimbalzo Credit Suisse e possibile contagio nel resto d’Europa, Italia inclusa: “Il rischio c’è sempre, perché la caratteristica dei sistemi finanziari, in particolare di quelli bancari, è che il contagio passa anche attraverso aspettative e instabilità”.
Intervista a Marcello Messori
professore di Economia internazionale presso il Dipartimento di Economia e Finanza dell'Università Luiss di Roma.
A cura di Ida Artiaco
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"Anche se non ci sono apparenti ragioni oggettive per parlare di contagio, sappiamo che la caratteristica dei sistemi finanziari, in particolare di quelli bancari, è che il contagio passa anche attraverso aspettative e rischi di instabilità, proprio come quello che ha colpito un gruppo che da tempo mostrava debolezze in Europa, come Credit Suisse. Per cui, anche per l'Italia, il pericolo c'è sempre".

A parlare è Marcello Messori, professore di Economia internazionale presso il Dipartimento di Economia e Finanza dell'Università Luiss di Roma, che a Fanpage.it ha spiegato cosa è successo nelle ultime ore, con il crollo e poi il rimbalzo di Credit Suisse, avvenuto subito dopo il fallimento della Silicon Valley Bank negli Usa lo scorso 10 marzo, e quali possono essere le eventuali ricadute sul sistema bancario europeo ed italiano.

Professor Messori, può spiegarci cosa è successo nelle ultime ore?

"Credo che per spiegare cosa è successo nelle ultime ore bisogna fare un passo indietro e partire dalla instabilità dei mercati innescata dalla difficoltà della banca di Silicon Valley e di quel modello di attività che riguarda un piccolo sottoinsieme di banche statunitensi legate alle attività più tecnologiche.

È un modello molto particolare, caratterizzato da estrema concentrazione sia dal lato dell'attivo che del passivo del bilancio, nel senso che queste banche avevano al passivo ingenti depositi di un numero relativamente ristretto di clienti che richiedevano remunerazione allineata a quella del mercato. Dal lato dell'attivo, queste banche investivano in titoli di debito pubblico statunitense a lungo termine. La chiave è proprio qui: il lungo termine. Con i tassi d'interesse attuali, queste banche hanno dovuto liquidare una parte dei propri titoli per far fronte ai servizi finanziari del passivo, su questo hanno fatto perdite e ciò ha innescato nervosismo sui depositanti che hanno cominciato a ritirare i depositi. Il che ha dato vita alla situazione che conosciamo e che ha portato al fallimento della Silicon Valley Bank, che è comunque tra le prime 20 degli Usa".

Cosa c'entra in tutto questo la Credit Suisse? 

"Quanto successo negli Stati Uniti ha creato forte instabilità. Non credo che ci siano business model paragonabili a livello europeo, per cui non ci sono apparentemente ragioni oggettive per parlare di un contagio, ma sappiamo che la caratteristica dei sistemi finanziari, in particolare di quelli bancari, è che il contagio passa anche attraverso aspettative e rischi di instabilità, che ha colpito un gruppo bancario che da tempo mostrava debolezze in Europa, come Credit Suisse. Dunque, in apparenza non ci sono connessioni tra i due fenomeni, ma in realtà uno ce ne è e deriva proprio da questo effetto contagio".

Come mai il titolo è crollato e poi c'è stato un rimbalzo questa mattina? 

"Credit Suisse aveva accumulato nel tempo una serie di problemi. Si era presa molti rischi derivanti anche da carenze manageriali, era in difficoltà, aveva accumulato bilanci in perdita tanto da portare ad una riallocazione della struttura proprietaria recente. Di fronte all'instabilità, che come sempre colpisce i sistemi fragili, Credit Suisse ha ritenuto di avere l'esigenza di una ricapitalizzazione.

I proprietari recenti, che avevano già investito ingenti somme per acquisirne il controllo, non hanno ritenuto di sottoscrivere questa ricapitalizzazione e questo è un segnale di crisi come lo è stato negli Usa. Anche la banca di Silicon Valley aveva cercato di arginare la fuga dei depositi e le perdite accumulate liquidando titoli di stato e richiedendo una ricapitalizzazione.

Nel momento in cui questa viene rifiutata la banca manifesta la sua debolezza e va sull'orlo del fallimento. È quello che accaduto anche a Credit Suisse, tanto che il rimbalzo di oggi deriva dal fatto che una fonte di ricapitalizzazione è stata ottenuta, anche se in una forma estrema, cioè con l'intervento della Banca Centrale Svizzera.

Si deve sottolineare che la Svizzera non appartiene all'Ue ed anche se ci sono legami con l'Eurozona è caratterizzata da un controllo della Banca Centrale peculiare. Quest'ultima ha deciso di intervenire per evitare la bancarotta disordinata di Credit Suisse. Ricapitalizzando, ha dato un segnale molto rassicurante ai mercati e da ciò deriva il rimbalzo di oggi".

Quanto durerà, secondo lei, questo effetto?

"Non possiamo dirlo, così come non possiamo sapere se è sufficiente l'intervento della Banca Centrale Svizzera per interrompere il contagio. Teniamo conto che Credit Suisse è il secondo gruppo bancario svizzero per importanza con profondi legami col sistema bancario europeo.

Gli elementi di contagio ci sono e rischiano di esserci. È molto difficile dire se questo intervento della Banca Centrale Svizzera sarà sufficiente o meno per invertire la tendenza dei mercati. Dobbiamo capire meglio quale sarà la reazione di Credit Suisse, se questa ricapitalizzazione sarà finalizzata a una ristrutturazione della banca stessa. L'altro problema è capire poi cosa farà la banca centrale europea".

In che senso?

"Nell'area dell'Euro la Bce ha responsabilità di politiche monetarie quindi ha un obiettivo di stabilità dei prezzi. Da questo punto di vista, visto che il tasso di inflazione rimane al di sopra del 2%, implica che se lasciata da sola la Bce non può che avere una politica monetaria restrittiva.

Ma la Bce ha anche responsabilità di supervisione del settore bancario e quindi, come meccanismo unico di supervisione, ha come obiettivo la stabilità del settore tutto. La difficoltà della Bce in questo momento sta nel contemperare queste due responsabilità.

In linea di principio le due attività sono indipendenti ma io credo che ci siano strette interconnessioni. Io mi sarei aspettato una pausa di riflessione moderata da parte della Bce, un segnale in cui si sottolinea la necessità di tenere sotto controllo il tasso di inflazione, e quindi un aumento dei tassi, ma non della portata di 50 punti base perché questo implicherebbe disattenzione per la stabilità dei mercati finanziari".

Quali potrebbero essere le conseguenze per l'Italia?

"Paradossalmente i mercati italiani hanno reagito negativamente rispetto alla media europea, e credo che ciò derivi da due fattori. Il primo è un fattore meramente statistico. Se analizziamo le società quotate in Italia rispetto alla media europea vedremo che le banche pesano molto di più e siccome gli effetti di instabilità hanno riguardato più che altro il settore bancario è quasi un fatto meccanico che la borsa di Milano abbia avuto performance più negative del resto d'Europa.

L'altro fattore è più legato al caso Usa: le banche italiane hanno un'altra caratteristica peculiare rispetto al resto dell'Ue e cioè hanno una incidenza di titoli del debito pubblico più elevata. C'è stato un riflesso meccanico sull'Italia. Ma devo dire che i due casi sono radicalmente diversi. Prima di tutto la contabilizzazione dei titoli del debito pubblico nel settore bancario italiano è tale da attenuare molto le oscillazioni di mercato dei prestiti dei titoli del debito pubblico perché buona parte di questi sono contabilizzati per essere detenuti. Inoltre, le scadenze dei titoli di debito pubblico sono molto meno concentrate sul lungo termine. Non vedo, come dicevo all'inizio, ragioni oggettive per pensare che ci siano fragilità estreme nel settore bancario italiano, ma c'è comunque un rischio di contagio che molto spesso è emotivo".

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