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80 euro al mese ai pensionati: quanto costerebbe e chi riguarderebbe

Durante la diretta social su Facebook, il presidente del Consiglio ha parlato di pensioni e annunciato tre proposte di riforma: l’aumento delle pensioni minime attraverso l’erogazione di un contributo da 80 euro al mese, la flessibilità in uscita e il ricalcolo contributivo. Chi potrebbe beneficiare di questi cambiamenti e quali sarebbero i costi per lo Stato?
A cura di Charlotte Matteini
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La proposta è di ieri, annunciata durante la prima diretta social su Facebook di Matteo Renzi. Rispondendo alle domande dei vari spettatori, il presidente del Consiglio si è soffermato sulla questione "pensioni", ultimamente al centro del dibattito pubblico, tra le proteste di Salvini che chiede l'abrogazione della legge Fornero e le proposte di riforma avanzate dal presidente dell'Inps, Tito Boeri. Sono state sostanzialmente tre le modifiche annunciate ieri: l’aumento delle pensioni minime, la flessibilità in uscita e il ricalcolo contributivo.

Proprio sul fronte dell'aumento delle pensioni minime, Matteo Renzi ha avanzato una proposta leggermente più concreta, rivelando in che modo intenderebbe procedere. Una delle ipotesi attualmente allo studio sarebbe l'erogazione di 80 euro mensili ai pensionati, anche e soprattutto a chi è titolare di un trattamento pensionistico "al minimo", ovvero di una pensione integrata dai contributi statali perché i versamenti effettivamente contabilizzati nel corso della propria vita lavorativa risultano essere inferiori rispetto al limite di legge. Per l'anno 2016, la cosiddetta "pensione minima" corrisponde a 501,89 euro al mese. A conti fatti, come spiega Enrico Marro sul Corriere della Sera, l'integrazione proposta da Renzi costerebbe all'incirca 3 miliardi e mezzo di euro l'anno e coprirebbe una platea totale di 3,5 milioni di pensionati.

Nel caso in cui la platea degli aventi diritto fosse ristretta ai soli pensionati al minimo – escludendo quindi tutti quelli che beneficiano di altri trattamenti pensionistici come la reversibilità – il totale dei potenziali titolari scenderebbe a 2,3 milioni, per un costo di 2,3 miliardi l'anno. La Ragioneria di Stato, però, ha fatto sapere che trattasi di un'ipotesi allo studio e che per quanto riguarda l'anno corrente nulla potrebbe essere modificato, bisognerebbe comunque attendere la prossima legge di stabilità per inserire questa piccola riforma a partire dal 2017.

Sostenendo, in parte, la proposta avanzata poche settimana fa dal presidente dell'Inps Tito Boeri, anche Matteo Renzi ha parlato di flessibilità in uscita, ovvero della possibilità di usufruire di uno sconto sull'ammontare degli anni contributivi da versare – quindi scegliere di poter effettivamente anticipare l'entrata in pensione di uno, due o tre anni rispetto a quanto sarebbe invece stabilito dall'attuale legge Fornero – in cambio però di un taglio proporzionale all'ammontare dell'assegno previdenziale del pensionando. Secondo i calcoli effettuati dagli esperti del settore, la riforma per l'applicazione della flessibilità in uscita potrebbe addirittura essere varata a costo zero, quindi senza impatto sui conti pubblici dello Stato, tenendo conto però che durante i primi anni dall'entrata in vigore, sicuramente la spesa pensionistica salirebbe perché si erogherebbero più trattamenti previdenziali, ma questo aumento verrebbe via via ridimensionato e coperto dal taglio proporzionale degli assegni pensionistici.

Parlando invece dell'annosa questione della riforma del metodo retributivo in favore di una completo passaggio al contributivo già proposto nel 1995 con la riforma Dini, Renzi scherzando ha detto "non si possono ammazzare quelli che stanno per andare in pensione col retributivo". Secondo i calcoli effettuati dall'istituto previdenziale, infatti, il ricalcolo delle prestazioni pensionistiche con il nuovo metodo contributivo sarebbe "tecnicamente infattibile", a meno che non si riuscisse ad applicare la proposta di Boeri, ovvero la rimodulazione del montante contributivo in funzione della durata dell'erogazione pensionistica. La riforma Boeri, però, costerebbe all'incirca 1,5 miliardi di euro per il solo 2017, che salirebbero a 3,3 nel 2017.

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