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Opinioni

“Voto di cambiamento, non di protesta”, la supercazzola che mette d’accordo Grillo e Renzi

Renzi e Grillo leggono allo stesso modo il risultato delle Elezioni Comunali: “Non è stato un voto di protesta, ma di cambiamento”. Ma, esattamente, cosa vuol dire?
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“Non è stato un voto di protesta, ma di cambiamento”. L’analisi, incredibile a dirsi, è condivisa tanto dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi quanto dal fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. Per ragioni diverse, ovviamente, i due leader scelgono la linea del rispetto della volontà degli elettori e ripercorrono il canovaccio più usato nella storia della politica: la litania del “cambiamento”.

Il problema è che una frase di questo tipo non significa nulla, se non contestualizzata, ovvero inserita in un ragionamento che abbia chiari i punti di partenza e di arrivo. Peccato che per l’analisi completa Renzi abbia rimandato alla direzione del PD, mentre Grillo per il momento se ne sia astenuto.

Al momento, semplicemente, si tratta di una supercazzola, utile a entrambi nella sua superficialità.

Per Grillo si tratta della legittimazione di un progetto coltivato da tempo: quello del M5S come forza di Governo, che si impone perché i cittadini hanno scelto di cambiare e di affidarsi ai suoi “meravigliosi ragazzi”. È l’antipolitica che diventa politica, la protesta che si trasforma in progetto, il vaffanculo che diventa “ti spiego come voglio cambiare la tua città”. Il "cambiamento" diventa feticcio in nome del quale sacrificare tutto, ambizioni personali e riferimenti ideologici.

L’operazione di Renzi è diversa, ma ugualmente strategica. Prima di tutto si mostra rispettoso della volontà popolare e corretto nei confronti degli avversari, che non guasta mai. Poi, come giustamente notato da alcuni analisti, toglie alibi a candidati, dirigenti ed esponenti di partito, sancendo un punto chiaro e netto: “È colpa nostra, non siamo stati in grado di interpretare la voglia di cambiamento del Paese”. Allo stesso tempo, però, Renzi comincia a preparare la campagna elettorale per il referendum confermativo, quando davvero si porrà come unico interprete del cambiamento contro il quale si muove la santa alleanza della conservazione del sistema del passato e del pantano.

Infine, ma non meno rilevante, l’eliminazione del concetto di “protesta” ha un che di deresponsabilizzante, perché gli consente di evitare la discussione sugli errori del suo Governo e degli amministratori del PD. In questa chiave il PD non perde perché il Governo o i Sindaci hanno amministrato male, i cittadini non hanno ragioni per protestare, i lavoratori non hanno motivo per essere incazzati, non è la protesta contro la sua gestione ad aver spinto migliaia di militanti storici ad abbandonarlo, non è la critica a una sinistra che non c'è più ad aver determinato uno spostamento di consensi verso i 5 Stelle. Niente protesta, solo cambiamento.

È un modo per non voler vedere il conflitto sociale, la rabbia, l’emarginazione di tante persone (che poi, basterebbe guardare come si è votato nelle periferie per smontare tale lettura…). È uno stratagemma per evitare di affrontare il vero nodo gordiano: a chi parla il PD?

La verità è che non c’è una distinzione così netta, semplicemente perché in molti casi le due istanze coincidono: la protesta, la rabbia e la disillusione possono produrre un “voto” di cambiamento. O l’astensione, chiaro.

E che, soprattutto, ancora una volta ci si trincera dietro uno slogan per eludere ogni discussione di senso.

La chiosa migliore è di Gianni Cuperlo: “Ormai ci sono parole, come cambiamento, innovazione, riformismo, che sono come dei caciocavalli appesi: non si capisce più che cosa vogliano dire”.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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