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Vibo Valentia, non accettava la fine della storia e fece uccidere l’ex dal figlio: condannato a 30 anni

A quattro anni dall’omicidio di Giuseppe Damiano Cricrí, Alfonsino Ciancio, figlio di Liberata Gallace, all’epoca fidanzata dell’uomo, è stato condannato a 30 anni di reclusione.
A cura di C. M.
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Non accettava la fine della storia con l'ex fidanzato cosí, con la complicità del figlio Alfonsino e dell'amante Fiore, la vibonese Liberata Gallace ha pianificato una vera e propria trappola mortale che ha portato alla morte dell'uomo, l'organista 48enne Giuseppe Damiano Cricrí. L'omicidio risale all'ottobre 2013 e creò forte scalpore all'interno della comunità vibonese a causa della cruenta efferatezza dell'atto. L'uomo, attirato in trappola da Liberata, la quale lo chiamò per chiedere un incontro per chiarire le motivazioni della fine della relazione, venne ucciso nelle campagne di Gerocarne con un corpo contundente dal figlio della donna, Alfonsino Ciancio, 28 anni, e dall'amante Fiore D'Elia. Il suo cadavere, infine, venne dato alle fiamme e occultato.

Quattro anni dopo l'omicidio, il gup di Vibo Valentia, al termine del processo con rito abbreviato, ha condannato Ciancio a 30 anni di reclusione per l'omicidio dell'organista, accogliendo le richieste del pm Benedetta Callea e della parte civile rappresentata dall'avvocato Giovanni Vecchio. I difensori, Rosario Lopreiato e Bruno Ganino, avevano invece chiesto l'assoluzione. Il giudice ha anche accolto l'aggravamento del reato contestato a Ciancio, che inizialmente era distruzione di cadavere. Al momento, invece, Liberata Gallace, madre di Ciancio, è imputata, insieme all'amante Fiore d'Elia, nel processo con rito ordinario che si sta celebrando davanti la Corte d'Assise di Catanzaro.

"È stata un'indagine lunga, delicata e laboriosa, caratterizzata da non poche difficoltà dettate anche dalla particolare situazione affettiva della vittima. Si è trattato di un omicidio brutale che siamo riusciti a risolvere grazie alla professionalità dei carabinieri e dei sostituti procuratori Alessandro Pesce e Barbara Buonanno", commentò all'epoca dei fatti il procuratore facente funzioni di Vibo Valentia, Michele Sirgiovanni.

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