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Opinioni

Telecom Italia: dopo l’addio a Metroweb la fibra ha ancora senso?

Dopo aver perso la gara per Metroweb, finita all’Enel, molti analisti di borsa pensano che Telecom Italia dovrà cedere la rete in fibra ottica, per evitare dolorose svalutazioni o ingenti investimenti per fare concorrenza al gruppo elettrico italiano…
A cura di Luca Spoldi
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L’esito ultimo dell’aver assegnato Metroweb (finora controllata da Cassa depositi e prestiti) ad Enel (ex monopolista elettrico italiano di cui il Tesoro, azionista di CdP all’80,1% in procinto di salire all’85% tramite il conferimento del 35% di Poste Italiane, resta l’azionista di maggioranza relativa col 23,585%) potrebbe essere quello di portare ad un ulteriore scorporo di asset di Telecom Italia, in particolare della rete in fibra ottica che in questi ultimi anni l’ex monopolista telefonico aveva iniziato a stendere e che contava di rafforzare proprio grazie a Metroweb.

Non essendo ritenuto conveniente far convivere, tra loro in concorrenza, due reti a livello nazionale(entro il 2020 Enel intende coprire il 50% del territorio nazionale con la propria fibra), si ragiona a Piazza Affari, Telecom Italia potrebbe cedere la propria rete, evitando di doverla svalutare. L’idea sembra riprendere un vecchio tema di borsa, quello dello scorporo della rete, con la variante che a essere ceduta non sarebbe la vecchia rete tlc in rame (attraverso la quale è transitato sinora il traffico voce e dati) ma la nuova rete in fibra, che consentirebbe grazie alle migliori valutazioni (legate all’interesse di investitori di medio e lungo periodo come fondi di private equity e fondi sovrani) di ottenere una maggiore contropartita.

Col ricavato il gruppo telefonico potrebbe poi procedere a ridurre il debito, che dai tempi dell’Opa di Colaninno-Gnutti in poi continua ad essere la vera zavorra che grava sulle prospettive di un gruppo un tempo ai vertici del proprio settore come capacità industriale e finanziaria e ormai ridotto a una frazione di sé stesso. Nata formalmente nel 1994 con la fusione di Sip e Stet, già nel 1996 il gruppo (che nel frattempo aveva scorporato e quotato Telecom Italia Mobile) procedeva allo scorporo di Seat Pagine Gialle, privatizzata a favore di una cordata (Ottobi) composta dal gruppo De Agostini, dalla stessa Telecom Italia, dalla Banca commerciale italiana (Comit, destinata poi a dare vita a Banca Intesa, a sua volta fusasi con l’Istituto Sanpaolo di Torino per dare vita a Intesa Sanpaolo) e dal gruppo di private equity Investitori Associati.

Proprio quell’anno Telecom Italia lanciava il suo primo programma di cablatura in fibra ottica dell’Italia, il “Progetto Socrate”. L’anno dopo Telecom Italia veniva privatizzata, per qualche tempo venendo guidata dal “nocciolino duro” formato dal gruppo Agnelli e da alcuni altri investitori privati. Ma già nel 1999 Roberto Colaninno lanciava un’Offerta pubblica di scambio riuscendo a ottenere il 51,02% del capitale grazie alla posizione “neutrale” del Tesoro che pur azionista con un residuo 3,5% e una “golden share” che gli conferiva potere di veto contro eventuali operazioni non gradite, non si presentò in assemblea né esercitò alcuno dei suoi poteri.  L’Opas era costata 61 mila miliardi di vecchie lire, ossia 31,5 miliardi di euro.

Guarda caso a distanza di quasi 20 anni l’indebitamento finanziario netto di Telecom Italia è tuttora di poco inferiore ai 28,5 miliardi di euro, ma il patrimonio netto è di molto calato in questi anni, a causa di continue cessioni, col gruppo costretto a giocare un ruolo di comprimario in un settore in rapida concentrazione dove chi aveva più debiti ha dovuto giocare una battaglia di retroguardia. Usciti di scena Colaninno e Gnutti, Telecom Italia sperimenta anche la gestione di Macro Tronchetti Provera (azionista di riferimento di Pirelli), che nel 2003 accorcia la catena di controllo del gruppo riversando i debiti degli azionisti che avevano fino a quel momento comprato e venduto Telecom Italia utilizzando leve finanziarie (ossia debiti).

Il debito di Telecom Italia vola così da 18,1 a 33,3 miliardi e per iniziare a farvi fronte la società inizia la campagna di dismissioni, a partire da una cospicua dismissione di immobili (già avviata da Colaninno e Gnutti), girate a fondi di Pirelli Real Estate (controllata dalla stessa Pirelli) e partecipate estere. La decisione, del 2005, di riacquistare anche le quote di minoranza di Tim e Tin.it farà lievitare attorno ai 40 miliardi di euro il debito: a quel punto con un mercato, quello della telefonia fissa e mobile, sempre meno redditizio a causa dell’elevata concorrenza e senza essere mai riusciti a fare veramente leva sulla prevista convergenza tecnologica fisso-mobile-dati-contenuti, nonostante intese con Rupert Murdoch, si succedono una serie di cambiamenti a livello di azionariato e controllo, mentre, dal 2008, si inizia con Open Access a parlare di possibile scorporo della rete d’accesso di Telecom Italia dal resto del gruppo.

Passano gli anni, a Telefonica, che era nel frattempo divenuta l’azionista di riferimento del gruppo italiano, si sostituisce Vivendi e si inizia a puntare nuovamente sulla banda larga, anzi sull’ultraband a fibra ottica e sul 4G, due reti per le quali si stima un investimento di 3,4 miliardi di euro. Insoddisfatto dei risultati sin lì ottenuti Vivendi deciderà, ed è storia di ieri (ottobre 2015) di salire sino al 24,9%, appena sotto il 25% che farebbe scattare l’obbligo di Opa, dimissionando l’amministratore delegato  Marco Patuano, sostituito infine con l’ex numero uno di Terna (ed ex direttore generale Rai), nonché amministratore delegato di Nuovo Trasporto Viaggiatori (società fondata da Luca Cordero di Montezemolo a cui fa capo il servizio di  alta velocità ferroviaria Italo), Flavio Cattaneo.

Neanche il tempo di insediarsi e Cattaneo dovrà già decidere cosa fare del sogno della banda larga: concentrarsi sul 4G e cedere la fibra o provare a rilanciare? La borsa non sembra avere molti dubbi su quella che sarà la decisione finale e visto che dal bilancio Telecom Italia al 31 dicembre 2015 il debt ratio (Indebitamento finanziario netto rettificato /Capitale investito netto rettificato) risultava ancora pari al 56,1% contro il 53,3% segnato a fine 2011, molto spazio per sogni e dubbi vari non sembra in effetti esservi. Così probabilmente la cura dimagrante dell’ex campione telefonico italiano è destinata a proseguire.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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