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Ora solo Napolitano può “salvare” Berlusconi

Dopo la decisione della Giunta ora la palla passa all’Aula del Senato chiamata a ratificare la decadenza di Berlusconi da senatore. E al Cavaliere non resta che sperare in un atto di clemenza del Colle…
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Al netto delle complicazioni di carattere politico (su cui torneremo in seguito), la prima considerazione da fare resta legata al passo forse decisivo verso la fine della carriera parlamentare di Silvio Berlusconi. Non convalidando la sua elezione, infatti, la Giunta per le Elezioni del Senato ha posto basi solide per la decadenza del Cavaliere dalla carica di senatore della Repubblica. Ora in effetti toccherà all'aula del Senato chiudere la questione, con un voto che teoricamente dovrebbe essere scontato: non ci sono casi accertati infatti di un sovvertimento di decisioni della Giunta in presenza di una condanna in via definitiva (e probabilmente non ci sono nemmeno i numeri, anche se questo è un altro discorso).

Così, si restringono davvero i margini di manovra del Cavaliere anche considerando lo scarto che esiste fra i tempi comunque ridotti dell'analisi del Senato e quelli molto più ampi di un eventuale ricorso alla Corte di Giustizia europea (che comunque dovrebbe essere presentato). Insomma, al netto di clamorosi colpi di scena, la strada verso la decadenza di Berlusconi sembra segnata. E al leader del Popolo della Libertà, che entro il 15 ottobre dovrà decidere se chiedere l'affidamento in prova ai servizi sociali (l'alternativa sono i domiciliari), secondo autorevoli analisti non resta che sperare in un atto di clemenza del Quirinale che, a determinate condizioni (e probabilmente di fronte ad un chiaro disimpegno dalla politica) potrebbe anche portare alla grazia.

Come vi abbiamo raccontato qualche settimana fa, la disciplina di tale istituto è chiara:

L’art. 87 della Costituzione prevede, al comma undicesimo, che il Presidente della Repubblica può, con proprio decreto, concedere grazia e commutare le pene. Si tratta di un istituto clemenziale di antichissima origine che estingue, in tutto o in parte, la pena inflitta con la sentenza irrevocabile o la trasforma in un'altra specie di pena prevista dalla legge (ad esempio la reclusione temporanea al posto dell’ergastolo o la multa al posto della reclusione). La grazia estingue anche le pene accessorie, se il decreto lo dispone espressamente; non estingue invece gli altri effetti penali della condanna (art. 174 c.p.). Ai sensi dell’art. 681 del codice di procedura penale può essere sottoposta a condizioni.

Il procedimento di concessione della grazia è disciplinato dall’art. 681 del codice di procedura penale. La domanda di grazia è diretta al Presidente della Repubblica e va presentata al Ministro della Giustizia. È sottoscritta dal condannato, da un suo prossimo congiunto, dal convivente, dal tutore o curatore, oppure da un avvocato. Se il condannato è detenuto o internato, la domanda può essere però direttamente presentata anche al magistrato di sorveglianza. Il presidente del consiglio di disciplina dell’istituto penitenziario può proporre, a titolo di ricompensa, la grazia a favore del detenuto che si è distinto per comportamenti particolarmente meritevoli.

Sulla domanda o sulla proposta di grazia esprime il proprio parere il Procuratore generale presso la Corte di Appello o, se il condannato è detenuto, il Magistrato di sorveglianza. A tal fine, essi acquisiscono ogni utile informazione relativa, tra l’altro, alla posizione giuridica del condannato, all’intervenuto perdono delle persone danneggiate dal reato, ai dati conoscitivi forniti dalle Forze di Polizia, alle valutazioni dei responsabili degli Istituti penitenziari. Acquisiti i pareri, il Ministro trasmette la domanda o la proposta di grazia, corredata dagli atti dell’istruttoria, al Capo dello Stato, accompagnandola con il proprio “avviso”, favorevole o contrario alla concessione del beneficio. Come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 200 del 2006, al Capo dello Stato compete la decisione finale. L’art. 681 del codice di procedura penale prevede anche che la grazia possa essere concessa di ufficio e cioè  in assenza di domanda e proposta, ma sempre dopo che è stata compiuta l’istruttoria.

Se il Presidente della Repubblica concede la grazia, il pubblico ministero competente ne cura l’esecuzione, ordinando, se del caso, la liberazione del condannato.

Ma attenzione, perché tale ipotesi potrebbe anche saltare, dal momento che non si capisce fino a che punto nel caso di Berlusconi sarebbero rintracciabili quelle "eccezionali esigenze di carattere umanitario" che, come sottolineato dalla Cassazione, sono la condizione per un intervento autonomo del Capo dello Stato nella concessione della grazia (dal momento che Berlusconi ha sempre negato di voler chiedere la clemenza del Colle). Resta ovviamente la strada della "commutazione della pena", atto che però avrebbe implicazioni decisamente maggior dal punto di vista politico. Come Napolitano sa bene.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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