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Non una di meno: le donne si riprendono le strade, contro la violenza di genere

Un corteo condiviso fatto da associazioni, centri antiviolenza, collettivi, famiglie, gruppi lgbt, bambini, famiglie contro la violenza sulle donne. Non una rivendicazione, non una protesta, ma un’affermazione chiara e forte di consapevolezza.
A cura di Claudia Torrisi
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La signora Caterina ha preso il bus con altre due amiche, sulla sessantina come lei. Ha appuntamento a Porta Pia con "le altre" per raggiungere tutte insieme piazza Esedra e partecipare alla manifestazione. Sotto il braccio ha arrotolato un piccolo cartellone viola. "Non una di meno", c'è scritto sopra con un pennarello. Lo stesso slogan si trova su striscioni, cartelli, magliette, fogli in mano alle decine di migliaia di persone che ieri hanno partecipato alla manifestazione contro la violenza sulle donne che ha sfilato fino a San Giovanni. Duecentomila secondo i comitati organizzatori, con una forte prevalenza femminile ma anche tanti uomini. Come Marco, venuto con la moglie e il figlio di cinque anni: "Sono qui per lei. Ma anche per lui". A marciare per le strade di Roma si sono unite associazioni, centri antiviolenza, collettivi, famiglie, gruppi lgbt, bambini, famiglie, in un corteo condiviso. Non una rivendicazione, né una protesta, ma un'affermazione chiara e forte di consapevolezza.

"Decidiamo noi"

Il corteo è stato aperto per volontà degli organizzatori da una rappresentanza dei centri anti violenza, presidi sempre più in difficoltà e a rischio chiusura. Eppure ineliminabili. "Non sappiamo cosa succede veramente riguardo la violenza sulle donne. Non abbiamo dati dei pronto soccorso, delle forze dell’ordine, i dati sui processi e sulle condanne, quelli dei servizi territoriali, dalle assistenti sociali e dei comuni. Abbiamo solo i dati, non completi, dei centri antiviolenza, e due indagini Istat in quasi dieci anni", ha spiegato Vittoria Tola dell’Udi, tra le organizzatrici del corteo.

La manifestazione ha portato in piazza le storie delle centinaia di donne vittime di violenza nel nostro paese. E ha esposto le ragioni profonde di quanto continua ad accadere. "L'uomo violento non è malato, è figlio sano del patriarcato", ha urlato il corteo, che ha sfilato portando un cartellone con i volti e i nomi delle donne uccise per lo più tra le mura di casa. Centosedici dal primo gennaio al 31 ottobre di quest'anno, una ogni due giorni. Serve un approccio diverso, contro quella deformazione che vede nella violenza sulle donne un'emergenza e non un fenomeno strutturale della società: il modello fatto di "pacchetti sicurezza" non ha funzionato e non funziona, bisogna partire dal basso, cambiare le radici. Questo significa finanziare i centri antiviolenza, costruire percorsi educativi, portare la discussione a un livello culturale più che di cronaca.

E in questo senso va smontata la narrazione che di questi casi di violenza danno i media e la politica: i "raptus di gelosia", i "non accettava la fine della relazione", le foto insieme al carnefice sbattute in prima pagina, i neanche troppo velati "se l'è cercata".

Alla luce di tutto questo, la manifestazione di ieri è stata un'affermazione di consapevolezza delle proprie esistenze. "Libere", come recitavano la maggior parte dei cori, cartelli e striscioni presenti.

Libere di interrompere una relazione, di essere quello che si vuole, di decidere se e quando diventare madri, di lavorare, di guadagnare – "non un euro di meno"-, di denunciare una violenza senza timore, di scegliere. Anche, banalmente, libere di tornare a casa la sera da sole senza dover pensare a come si è vestite, se ci sarà qualcuno per strada, sperando che i metri che separano dal portone siano più brevi che mai. "The way I dress doesn't mean Yes", diceva un cartello.

Quella di ieri è stata una manifestazione politica, che alla politica non ha fatto neanche mezzo riferimento: il Sì, il No, Renzi e partiti sono stati assenti dalle voci che hanno animato il corteo – ignorati in favore di un "ci siamo" che è risuonato forte e chiaro. E che non è che una tappa del percorso, che non è iniziato con la giornata di ieri e con questa non si conclude. Già oggi è partito il lavoro per un piano nazionale antiviolenza alternativo a quello del governo. Secondo Titti Carrano responsabile di Dire (Donne in rete contro la violenza), "siamo di fronte ad una assoluta novità che riafferma che siamo il soggetto imprevisto della storia. Questa è una manifestazione per dire basta alla violenza maschile contro le donne. Non accetteremo più condanne solo a parole".

Nonostante la portata numerica e significativa del corteo di ieri, tg e giornali hanno relegato "Non una di meno" in spazi marginali delle loro programmazioni. Difficile che non si siano accorti, miope che abbiano classificato quello che si è verificato ieri come non importante. Ma se è vero che "le strade libere le fanno le donne che le attraversano", allora non finisce qui.

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