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Metà dello stipendio degli italiani finisce in tasse e contributi

L’allarme della Corte dei Conti: in Italia cuneo fiscale di dieci punti sopra la soglia europea. E per le imprese è anche peggio, con il total tax rate stimato al 64,8%.
A cura di Redazione
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Il cuneo fiscale italiano è di oltre 10 punti superiore alla media europea, il total tax rate stimato per le imprese è addirittura di 25 punti superiore a quello degli altri Paesi Ue: è questo l’allarme lanciato dalla Corte dei Conti nel Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica.

Stando all’analisi dei magistrati contabili, il cuneo fiscale (che, in poche parole, rappresenta la differenza fra quanto un dipendente costa al datore di lavoro e quanto il dipendente trova come netto in busta paga) “eccede di ben 10 punti l'onere che si registra mediamente nel resto d’Europa”, rappresentando circa il 49% del totale, che viene prelevato dall’erario a titolo di contributi e di imposte vere e proprie. Per le aziende la situazione è anche peggiore, dal momento che il “total tax rate stimato per un'impresa di medie dimensioni, testimonia di un carico fiscale complessivo (societario, contributivo, per tasse e imposte indirette) che penalizza l'operatore italiano in misura (64,8%) eccedente quasi 25 punti l'onere per l'omologo imprenditore dell'area Ue/Efta”.

Un allarme che peraltro si inserisce in un report ricco di “raccomandazioni e preoccupazioni”, diffuso in un momento di grande incertezza per lo stato di salute dei conti pubblici italiani e alla vigilia del varo di una mini manovra necessaria per rientrare nei parametri Ue. Per i magistrati innanzitutto bisogna usare cautela nel considerare a bilancio i proventi della lotta all’evasione fiscale che sono “incerti per loro natura”, dunque non possono essere usati per “finanziare maggiori spese o riduzioni d’entrata certe”. Una situazione complessa, evidente anche dall’utilizzo sistematico che si è fatto negli anni precedenti dello strumento delle clausole di salvaguardia.

Il Governo, del resto, opera in una situazione di grande difficoltà, stretto tra la necessità di migliorare subito lo stato dei conti e quella di non impoverire “nel complesso” il sistema pubblico. Nel caso delle privatizzazioni, per esempio, i magistrati spiegano: “Il contributo delle dismissioni, certamente necessario, potrà difficilmente risultare determinante nel breve-medio periodo. E d'altra parte in un contesto di crescita moderata, riduzioni rapide del debito potrebbero essere eccessivamente costose […] Occorre prima porre il debito su un sentiero discendente, non troppo ripido ma costante, procedendo speditamente alle azioni di riforme strutturali per sostenere la crescita e migliorare, anche sotto questo profilo, le condizioni di sostenibilità della finanza pubblica”.

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