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Opinioni

Londra insegna: la crescita non dipende dalle borse ma da capitali, idee e giovani

Mercati finanziari sempre più timorosi di una nuova frenata economica mondiale che potrebbe partire dai mercati emergenti. Ma se andate a Londra scoprirete che non sono questi i fattori che fanno crescere (o no) l’economia di una grande metropoli o di un intero paese…
A cura di Luca Spoldi
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Mercati sempre più nervosi, in parallelo all’ulteriore indebolimento del petrolio (anche oggi sotto i 41 dollari al barile nel caso del Wti texano e sotto i 47 dollari al barile nel caso del Brent del Mare del Nord), del collegato calo dell’inflazione (e del dollaro, perché gli investitori non sono ancora certi che la Federal Reserve alzerà davvero i tassi a metà settembre) e nonostante la possibilità che, complici proprio le attese sull’inflazione (oggi il tasso swap sull’inflazione a 12 mesi in Europa sono tornati a oscillare appena sotto lo zero, come fece l’ultima volta lo scorso febbraio, indicando che il mercato si attende che la deflazione rimanga presente nel vecchio continente almeno ancora per un anno), la Banca centrale europea possa finire col prolungare il proprio programma di acquisto di titoli obbligazionari sul mercato, che come ha più volte ribadito Mario Draghi andrà avanti certamente fino al settembre del prossimo anno e in ogni caso fino a che l’inflazione non sarà vicino, anche se sotto, al 2% annuo.

Eppure tornando da Londra l’impressione che si ha è che il problema non sia (solo) legato ai mercati e ai dati macroeconomici, ma vada ben oltre. La capitale inglese, dove ormai vivono 14 milioni di abitanti, è contemporaneamente un immenso cantiere (non esiste in pratica una singola via che non veda all’opera operai, i cui caschetti sono ormai il copricapo più visibile della città), un ristorante che lavora almeno 12 ore al giorno senza interruzioni e un enorme mercato, di beni e servizi. La miscela di attività immobiliari e commerciali attira ogni anno centinaia di migliaia di nuovi residenti e se da una parte gli Inglesi iniziano a mostrare segni di nervosismo per alcuni eccessi dell’immigrazione irregolare (e da più parti si propone di irrigidire la relativa legislazione), dall’altra molti fanno notare come più che bloccare l’immigrazione sarebbe opportuno regolarizzarla.

Nella capitale inglese si stima infatti siano presenti non meno di 300 mila immigrati clandestini che lavorano completamente “in nero”: farli emergere consentirebbe di assicurare alla città e alla Gran Bretagna un importante flusso di entrate fiscali. Al contrario irrigidire le norme sull’immigrazione, commentano in questi giorni alcuni analisti finanziari su giornali popolari come l’Evening Standard, rischia di lasciare vacanti non meno di 40 mila posti di lavoro nei prossimi 12 mesi. Tenete presente che a Londra in questo momento dagli uffici finanziari, agli ospedali, sino ai negozietti di Candem Town tutti o quasi stanno cercando di ampliare i propri staff e lo staff e i cartelli “we are hiring” o “we are recruiting” sono abbondanti come in Italia le scadenze fiscali.

La vivacità della capitale inglese è evidente anche nel modo in cui gli affari vengono condotti: sia che frequentiate un mercatino di quartiere o che andiate da Hamleys (la più famosa catena di giocattolai inglese), i commessi cercheranno in tutti i modi di attirare la vostra attenzione per poter chiudere una vendita. Commessi (ma anche operai, poliziotti e guidatori di bus e taxi) che appartengono invariabilmente a un crogiuolo di etnie e culture diverse, dai ragazzi di colore agli autentici britannici, dalle ragazze musulmane velate a quelle indiane elegantemente truccate, tutti impegnati a dare il massimo (non è infrequente, specie nel caso di startup o società finanziarie, vedere ragazzi e ragazze che lavorano fino a sera tardi, anche di venerdì, magari mentre i colleghi che hanno già completato il proprio lavoro si stanno prendendo una birra nel pub di fronte all’ufficio), convivendo pacificamente.

Londra è un paradiso in terra? No di certo, ci sono problemi anche lì: qualche giorno fa la figlia di un deputato, coinvolta in un incidente tra ciclisti, è rimasta due ore stesa a terra in attesa di un’ambulanza che non è arrivata ed il padre ha (giustamente) fatto fuoco e fiamme sui giornali popolari il giorno successivo dichiarando che un simile episodio è “da terzo mondo”. I prezzi delle case, già così elevati che per rimborsare un mutuo servono ormai in media 40 anni, a causa della esuberanza del mercato salgono così tanto che spesso superano l’accumulo di risparmio (lo scorso anno i prezzi degli appartamenti a Londra sono saliti mediamente di 6 mila sterline, circa 8 mila euro, mentre i risparmi dei londinesi sono aumentati, sempre in media, di 2.200 sterline, meno di 3 mila euro).

La città, che vede nel turismo un volano economico importantissimo, resta essenzialmente una città d’affari e dunque vive dalle 8 del mattino alle 10 di sera (dopo tale orario chiudono tutte le attrazioni e la maggior parte dei locali pubblici), salvo il fine settimana. I grattacieli, che sempre più caratterizzano la skyline londinese, sono spesso dei flop nel breve periodo, con molti uffici e negozi che restano sfitti a volte anche qualche anno prima di essere occupati (ma anche così il progressivo aumento dei prezzi rende l’investimento quasi sempre vincente: Blackstone Group sta in queste settimane valutando di mettere sul mercato il complesso di uffici di Devonshire Square, comprato nel 2012 per circa 330 milioni di sterline, ad un prezzo che dovrebbe essere non inferiore ai 550 milioni).

Insomma: anche Londra ha i suoi difetti e i suoi problemi, ma anche solo dopo qualche giorno se l’osservate attentamente è evidente come rispetto alle metropoli italiane sia non solo una città cosmopolita dove gli immigrati non spaventano i residenti e si integrano con essi con minori problemi che in altri paesi europei, ma abbia una capacità progettuale, una vivacità e una giovinezza invidiabile. Il giorno in cui anche Milano, Roma o Napoli sapranno fare leva sulle proprie eccellenze, trovare capitali per progetti trainanti e attrarre (e impiegare) nuovi addetti e competenze, forse la ripresa italiana avrà una chance di risultare qualcosa di più che un effetto meramente statistico. E forse anche i ragazzi italiani potranno trovare opportunità in casa propria anziché dover emigrare per riuscire a lavorare e fare quelle esperienze che né la politica né l’industria né la finanza al momento sembrano in grado di offrire loro.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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