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La pensione arriva più tardi dal 2016: 4 mesi per gli uomini, 22 per le donne

La legge di Stabilità 2016 non ha apportato modifiche alla riforma pensionistica della Fornero varata all’epoca del governo Monti. Ciò vuol dire che dal prossimo anno scatterà il gradino per la pensione di vecchiaia delle donne, l’aumento di 4 mesi per tutti legato alla speranza di vita e la revisione dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo.
A cura di Biagio Chiariello
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Dall’anno prossimo ci saranno nuove importanti modifiche per quanto riguarda l'età di accesso alla pensione e l'importo dell'assegno calcolato con il metodo contributivo. Gli uomini usciranno dal mercato del lavoro a 66 anni e 7 mesi, prima erano 66 anni e 3 mesi. Per le donne dipendenti del settore privato l’età pensionabile passerà dai 63 anni e 9 mesi del 2015 a 65 anni e 7 mesi. Le autonome potranno prendere l’assegno solo dopo aver compito 66 anni e un mese.

La legge di stabilità, infatti, non è intervenuta per apporre modifiche alla riforma previdenziale Monti-Fornero del 2011 e l’anno prossimo quindi scatterà sia il gradino previsto dalla legge per le pensioni di vecchiaia delle donne, sia l’aumento di 4 mesi per tutti legato alla speranza di vita, sia la revisione dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo. Va però detto l’opzione-donna in manovra prevede la possibilità per le donne che entro il 2015 compiono 57 anni e tre mesi di età (58 le autonome) e 35 di contributi di andare in pensione anche l’anno prossimo una volta atteso il periodo previsto dalla finestra mobile (un anno per le lavoratrici dipendenti, un anno e mezzo per le autonome).

Insomma, quello che comincia fra tre giorni è un anno di novità non proprio piacevoli per quanto riguarda il ritiro dal lavoro, come spiega La Stampa:

Per tradurre in esempi la fredda contabilità delle leggi, lo scalino in più che, in base alla legge Fornero, scatterà dal 2016 per le donne lavoratrici del privato, fa sì che potranno lasciare il lavoro per vecchiaia a 65 anni e sette mesi (63 anni e nove mesi sono stati sufficienti nel 2015); per le autonome non prima di 66 anni e un mese, mentre sono già equiparate agli uomini le dipendenti pubbliche. Cioè all’età di 66 anni e sette mesi: gli uomini potranno altrimenti andare in pensione anticipata se hanno versato 42 anni e dieci mesi di contributi; 41 anni e dieci mesi le donne.

Chi sarà particolarmente penalizzato dal meccanismo messo in piedi dalla legge sono le signore nate nel 1953: nel 2018, quando avranno raggiunto il traguardo dei 65 anni e sette mesi, sarà scattato un nuovo scaglione per spostare in avanti l’età pensionabile (salvo revisioni della legge) e nel 2019 l’asticella dell’età sarà spostata ancora più in alto da un nuovo adeguamento alle aspettative di vita. Morale, queste lavoratrici rischiano di potersi mettere a riposo solo nel 2020.

Nel 2016 inoltre scattano i nuovi coefficienti di trasformazione per i contributi versati in assegno: tra 2009 e 2016 l’importo calcolato col contributivo, prendendo a riferimento come età di uscita i 65 anni, è diminuito del 13 per cento. Secondo i calcoli di Antonietta Mundo, già coordinatore generale statistico attuariale dell’Inps, riportati dall’Ansa e dalla Stampa, per gli uomini, la riduzione sarà dello 0,99% (tra il coefficiente relativo a 66 anni e 3 mesi del 2013 e quello relativo alla nuova età 66 anni e 7 mesi del 2016). Per le donne del settore privato invece la quota contributiva della pensione di vecchiaia sale del 4,09%, perché i 22 mesi di lavoro in più e quindi l’uscita con un coefficiente di età più elevato è più che sufficiente a compensare la generale riduzione dei coefficienti.

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