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La crisi del berlusconismo e quel mondo che “si è fermato ad Arcore”

Il 27 marzo 1994 Berlusconi vinceva le elezioni con Forza Italia. 17 anni dopo nel Paese imperversa un presunto antiberlusconismo. I motivi dell’opposizione al Cavaliere, però, sono molto più complessi.
A cura di Biagio Chiariello
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Ha fatto molto discutere il pezzo sul Giornale di Marcello Veneziani, dal titolo "Il mondo non finisce ad Arcore". "Ma siete davvero convinti che tutto il malessere (o il benessere) degli italiani dipenda da Berlusconi e dalle sue comparsate alluvionali in tv?" chiede all'Italia il dott. Veneziani. "Vi siete troppo infognati nella vicenda italiana e non riuscite più a vedere gli scenari più grandi di noi e le ragioni profonde e strutturali del presente."

Vuoi vedere che siamo davvero un popolo di provinciali? Che non riusciamo proprio a mettere il naso fuori dal nostro Paese? Che ci siamo così "infognati" nelle vicende di Silvio da innalzare quasi Arcore a moderne Colonne D'Ercole? La risposta è "no". Anche perché stando alle argomentazioni esposte nell'editoriale viene anche fuori un po' di superficialità con cui viene trattato il caso italiano.

Veneziani cita la caduta del "mito di Zapatero" in Spagna, con gli Indignados che non contestano la destra di "Silvio Berluscones", bensì la sinistra, che perde consensi in Germania, negli Stati Uniti, in Francia e in Austria, coi partiti di estrema destra sempre più forti (come aveva scritto anche Fanpage il mese scorso). Poi Veneziani scrive:

"La percezione della crisi è globale ed epocale, non può essere casereccia o televi­siva. Il precariato, il rincaro della benzina, la diffusa sensazione di un impoverimento, la difficile integrazione dei flussi migratori, l'insicurezza sociale, l'incapacità di uscire dalla crisi dei consumi, gli abusi di sesso e di potere (vedi il caso Strauss-Kahn o la tempe­­sta pedofila sulla Chiesa), colpiscono l'Occi­dente e i suoi santuari religiosi, laici e finan­ziari. E noi ci crogioliamo nella nostra dome­stica anomalìa, pensando che tutto dipen­da dai prodotti locali e dai vizi del berlusco­nismo. Accecati dai bagliori del nulla nostra­no, abbiamo perso il senso del nostro tem­po e dell'Occidente. Non siamo più capaci di pensare scenari più ampi …"

Insomma, ciò che viene fuori dalla suddetta analisi è che l'Europa è un disastro, ma un naufragio collettivo è un sollievo per tutti. Anche se a ben vedere il raffronto con paesi come Francia, Germania e USA è un po' azzardato, dal momento che, pur con i necessari tagli, hanno sempre sostenuto istruzione e ricerca. Nel nostro paese invece gli investimenti in innovazione sono fermi all’1,1 per cento del Pil. La media europea si attesta attorno al 2 (contro il 2,5 degli Usa e il 2,7 del Giappone). Siamo l’unico Paese dove esiste la figura del dottorando senza borsa. In pratica un ricercatore su due non riceve alcun sostegno economico per l’attività che svolge. E' quanto emerge da una indagine conoscitiva di nove mesi condotta dalla commissione Cultura della Camera. Altro dato importante è relativo all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro: in Italia, nella fascia d'età fra i 16 e i 24 anni, solo un ragazzo su quattro lavora: in Germania, negli Stati Uniti e nella media dei Paesi europei, uno su due.

Per non parlare del recente rapporto Istat sulla situazione economica dell’Italia che mette in risalto dati impietosi: il paese governato da Silvio Berlusconi è quello cresciuto meno tra tutti e 27 paesi dell'Unione Europea; appena lo 0.2% annuo, contro una media europea dell’1,3%; l'inflazione, salita del 1,5% nel 2010 e nei primi mesi dell'anno in corso,  ha raggiunto i 2,6 punti percentuali. Come se ciò non bastasse la crisi economica ha reso povero un italiano su quattro: il 24,7% della popolazione, pari a 15 milioni di cittadini.

La crisi c'è tutta. Non la possiamo negare come fa Tremonti che boccia i dati Istat: "So che ci sono i poveri ma francamente credo che quella rappresentazione sia discutibile. Tutte le statistiche dicono che in questo decennio la ricchezza non è scesa ma è salita", affermando che "siamo un Paese ricco" (nel quale però la Fiat emigra e la Fincantieri chiude).

E' evidente, il mondo non finisce ad Arcore (comune al ballottaggio, ricordiamo). Ma se c'è qualcuno che lo pensa è anche perché l'uomo che più a lungo ha governato in Italia è anche quello che ha maggiori responsabilità in tutto questo (e citiamo solo il tema crisi economica, senza soffermarci su altro). Sono passati 17 anni da quel 27 marzo 1994 con la vittoria elettorale del Polo. Forse in questi anni un industriale / imprenditore / politico avrebbe dovuto fare di più per il nostro Paese. Forse è lecito pensare che abbia fallito, anche alla luce dell'attuale linea della campagna elettorale per i ballottaggi di domenica e lunedì: continuare a parlare di estrema sinistra, comunismo, moschee e zingaropoli, senza spiegare quel che può essere fatto per Milano, Napoli e per l'Italia intera è diventato davvero pesante.

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