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L’Italia si risveglia ancora una volta sotto le bombe: grida, piange, accusa… E poi?

Armati d’indifferenza abbiamo alimentato il sistema che oggi ha ucciso Melissa. È tempo d’azione e d’impegno, è tempo di far seguire il gesto alla parola. Che la Storia ci sia d’insegnamento, almeno per una volta.
A cura di Anna Coluccino
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esplosione brindisi melania

In un giorno come questo, il bisogno e l’impossibilità del dire si impadroniscono di chiunque. Il fiume di indignazione ha cominciato a scorrere potente e vorticoso dopo pochissimi minuti dall'evento e non accenna ad arrestarsi. Davanti al brutale assassinio di un’innocente, l’Italia tutta non può che piangere un torrente di vocali, non può che sporgersi a guardare ciò che da troppo tempo finge di non vedere: l’intollerabile inumanità che permea l’intero sistema-mondo. E gli occhi non reggono alla vista. Vergogna-merda-cazzo-complotto-mafia-urla-silenzio-cordoglio-dolore-schockdoctrine-pena-morte-veritàegiustizia-noncicredo-perché-basta-maipiù. Le parole si riversano veloci e confuse nella rete, nelle strade. Altre volte restano solo in potenza, imprigionate tra le incredule sinapsi dei cittadini capaci di pietà ma inabili alla pronuncia di un qualsiasi pensiero-invettiva. Perché sanno che la parola, una volta scagliata, rende tutto reale, definitivo.

La parola, in giorni come questo, esprime sì la compartecipazione al lutto collettivo ma – soprattutto – impone l’azione. In giorni come questo, la parola dovrebbe essere una promessa d’impegno. Pesiamola, valutiamola, sedimentiamola, gridiamola… Oppure tacciamola se non ci sentiamo pronti, ma non esprimiamo affettati cordogli, non scriviamo lacrimevoli epitaffi, non cerchiamo l’applauso o il consenso, non affidiamoci alla retorica, non parliamo solo per il piacere d’unire un’altra voce al coro d’indignazione. Se non si è pronti a fare, che si abbia almeno il buon gusto di tacere. Se agli indignati di oggi basterà un lungo sonno ristoratore per liberarsi del disgusto e affidarlo a un consolante oblio, che almeno ci risparmino le loro chiacchiere. Se le parole di resistenza e di lotta non preannunciano né disegnano un movimento verso qualcosa di migliore dell’oggi, che si taccia. Parole monche del gesto conseguente e necessario fanno soltanto più male. Squarciano più delle bombe. Uccidono con lenta e sadica ferocia. Ricordano, in fondo, che nulla cambia. E oggi non possiamo né vogliamo credere che sia così; né possiamo illuderci che basti affidare alla forze dell’ordine e alla giustizia il compito di estirpare il cancro. Non è così che funziona. E infatti non ha mai funzionato. La storia insegna ma non ha scolari, diceva Gramsci, ebbene: è il momento di smentirlo. È il tempo dello studio e dell’impegno civile. È tempo di uscire, stringersi, vivere come esseri umani e lottare per la creazione di una comunità equa e giusta.

Molti decidono di invadere le piazze, e non solo per dimostrare a chiunque si sia macchiato del sangue di Melissa che non riuscirà a far piombare tutti nella paura, ma anche per mondare le proprie mani dalla lorda indifferenza che da troppo tempo le immobilizza in un atteggiamento di beata passività. Indifferenza armata, colpevole.  Riconoscerla e scacciarla è una cosa necessaria. Riconoscersi complici di un sistema in cui innocenti come Melissa (e milioni di altri esseri umani sul pianeta) trovano ingiusta morte è il primo, indispensabile passo verso il cambiamento. Poi, però, occorrono azioni concrete. Accendere luci nelle piazze, invaderle, ci permette di stringerci in un abbraccio a cui affidiamo speranzosi il nostro bisogno di catarsi, ma non ci si può fermare a questo. Non si può accendere una luce sperando che basti a illuminare l’abisso. C’è un mondo da cambiare, uno stile di pensiero radicato e cancerogeno. Lo stesso stile di pensiero che fa dire a chi di competenza che la "Notte dei musei è annullata per lutto nazionale". Non ripensata, non dedicata, non potenziata, non trasformata in un atto di resistenza civile nei confronti di chi attacca una scuola, ma cancellata. A dimostrazione che in questo paese la cultura viene considerata un inutile orpello. A dimostrazione del fatto si preferisce restare casa a piangere piuttosto che correre fuori a gridare e imparare.

Dovremmo imparare a resistere e invece continuiamo a rinunciare. Dovremmo imparare a gridare e invece continuiamo a piangere. Dovremmo imparare che la com-passione (soffrire con) è motore d’azione e non inerte fustigazione. Dovremmo imparare a diventare donne e uomini migliori, a diventare comunità.

Dovremmo imparare. E dobbiamo. Insieme.

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