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L’Italia ha bisogno di una profonda riforma della giustizia

“E se la giustizia non fosse giusta?” Per rispondere a questa domanda, ho intervistato Annalisa Chirico, giornalista, scrittrice e fondatrice del movimento “Fino a prova contraria”. Lo scopo della nuova associazione è nobile e molto ambizioso: da una parte vuole sensibilizzare l’opinione pubblica, dall’altra fare pressione sulla classe politica affinché si decida ad affrontare seriamente la questione Giustizia e approntare una riforma concreta, attesa da troppi anni ormai.
A cura di Charlotte Matteini
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Una riforma della Giustizia, per l'Italia, è essenziale e il Paese necessita di un movimento che si preoccupi di parlare del tema e sensibilizzare l'opinione pubblica. Animata da questo preciso e nobile scopo è nata l'associazione "Fino a prova contraria", fondata da Annalisa Chirico, giornalista e scrittrice che da tempo si occupa di giustizia, in particolare di errori giudiziari. Il movimento è stato lanciato da pochi giorni, ma può già contare sul supporto di numerose personalità dell'ambiente politico, intellettuale e manageriale. Tra le fila della neonata associazione spiccano i nomi di Piero Tony, Edward Luttwak, l'imprenditore Giuseppe Cornetto Bourlot, l'amministratore delegato di Marsilio Editori Luca De Michelis, il comunicatore Patrizio Donnini, oltre a due testimonial d'eccellenza: il giurista ed ex presidente del Consiglio Giuliano Amato e lo scrittore Paolo Mieli.

Chi ha deciso di aderire e supportare il progetto "Fino a prova contraria" ha un unico fine, molto ambizioso: si batte perché finalmente in Italia si inizi una concreta discussione sul tema Giustizia. Per raggiungere lo scopo, i soli saggi e convegni non sono più sufficienti, occorre cambiare strategia e mettere in campo azioni significative per fare pressione sulla classe politica affinché cominci seriamente a interessarsi dei problemi che attanagliano gli italiani che si trovano invischiati nelle maglie di una giustizia insana, una giustizia che nega diritti fondamentali a imputati e condannati, che abusa dello strumento della carcerazione preventiva anche quando non espressamente previsto dalle procedure, una giustizia estremamente lenta e che, per una serie interminabile di violazioni, ha racimolato numerose condanna da parte della Corte europea dei Diritti umani.

"Fino a prova contraria è una startup per la riforma della giustizia", così la definisce la sua fondatrice, Annalisa Chirico. "In Italia esistono numerosi problemi sul fronte giustizia: l'abuso dello strumento della carcerazione preventiva, spesso in spregio alle garanzie previste dalla Carta costituzionale, l'uso abnorme delle intercettazioni" – le cui relative trascrizioni immancabilmente finiscono nelle mani della stampa, anche quando non sono penalmente rilevanti – e il rapporto malato che lega la stampa e le Procure d'Italia alle "inchieste dal grande clamore mediatico, che poi spesso si rivelano un buco nell'acqua, ma che una volta concluse, anche con un'assoluzione, finiscono per macchiare irrimediabilmente la reputazione degli indagati", sottolinea Chirico.

Clamoroso, in questo senso, fu il caso Tortora, negli anni '80. Come ricorda lo stesso Paolo Mieli sul sito di Fino a prova contraria "all’epoca il 99,9 percento del mondo dell’editoria e della stampa italiana era uniformemente colpevolista nei confronti di Enzo Tortora. Averne memoria è importante". Un tesi sostenuta anche da Piero Tony, ex procuratore capo di Prato, che sottolinea come "il processo in Italia non è più un semplice processo ma è spesso una grande gogna a causa del rapporto malato tra magistratura e sistema dell’informazione". "Anche a causa dei lunghissimi tempi della giustizia, non è affatto raro che in Italia la sentenza di condanna venga emessa dalla stampa, ancor prima che il processo riesca a concludersi in tribunale", spiega la giornalista

Fino a prova contraria vuole essere un movimento di sensibilizzazione dell'opinione pubblica. L'obiettivo primario, infatti, è il un dibattito approfondito relativo a tutti i temi che gravitano attorno alla questione "giustizia". "Un paese senza giustizia è un paese senza libertà", sostiene Annalisa Chirico, spiegando oltretutto che quest'assenza di giustizia viene percepita all'estero e le conseguenze economiche sono devastanti: per colpa della lentezza e della farraginosità della macchina giuridica, sia in ambito penale che in ambito civile e amministrativo, l'Italia registra una notevole perdita netta di ricchezza. I dati sono impietosi: secondo il Global Competitiveness Index elaborato dal World Economic Forum, l'Italia figura al 43esimo posto per competitività al 139esimo posto su 140 per l’efficienza della cornice giuridica nella risoluzione delle controversie.

Le aziende, insomma, spaventate dalla malagiustizia italiana, non vogliono investire risorse nel Belpaese, preferiscono dirottarle altrove, che non rischiare di avere a che fare con leggi e tribunali italiani. Non è solo un problema di Stato di Diritto, di garantismo e di diritti umani. Il problema "giustizia" riguarda ambiti decisamente più vasti, tra cui quello economico.

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