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“Il cancro è la prova che Dio non esiste”

È quanto scriveva l’oncologo Umberto Veronesi, morto oggi a Milano all’età di 91 anni, nel suo ultimo libro “Il mestiere di uomo”, nel quale racconta il percorso che lo ha portato sempre più lontano dalla fede in Dio.
A cura di Antonio Palma
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"Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio", è quanto scriveva il professor Umberto Veronesi, morto oggi a Milano all'età di 91 anni, nel suo nuovo libro “Il mestiere di uomo”, nel quale il famoso oncologo ripercorre la sua vita e il percorso che lo ha portato sempre più lontano dalla fede in Dio. "Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi?" si chiede Veronesi, secondo il quale non c’è Dio che possa riscattare l’uomo, e non c’è verità rivelata che possa lenire il dolore di due genitori che perdono un figlio malato di cancro. Nel libro, che sarà in vendita a partire da domani per Einaudi, il direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia ripercorre le tappe della sua riflessione sulla vita e sul dolore che ha finito per allontanarlo progressivamente ma irrimediabilmente dalla religione alla quale pure era stato educato fin da bambino.

Il progressivo allontanamento dalla fede

Nel libro Veronesi ripercorre la sua storia personale, dall’infanzia da “inappuntabile chierichetto” alla guerra mondiale, a prove via via sempre più dure che lo hanno portato ad allontanarsi dalla fede in Dio, anche se non nella vita. Tra queste prove anche il confronto con una malattia devastante come il cancro che lo ha portato a pensare: "Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei genitori di un bambino malato di cancro? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del “non so”. Ecco alcuni estratti del libro di Veronesi pubblicati su Repubblica e Huffington Post.

   "Non saprei dire qual è stato il mio primo giorno senza Dio. Sicuramente dopo l'esperienza della guerra non misi mai più piede in una chiesa, ma il tramonto della fede era iniziato molto prima. Durante il liceo fui bocciato due volte, ero un discolo in senso letterale: non andavo bene a scuola. Di fatto sono sempre stato anticonformista, ribelle ai luoghi comuni e alle convenzioni accettate acriticamente, e questa mia natura mal si conciliava con l'integralismo della dottrina cattolica che era stata il fondamento della mia educazione di bambino".

A diciotto anni non volevo andare a combattere, ma finii in una retata e mi ritrovai con indosso un'uniforme che non aveva per me alcun valore e fui ben armato per uccidere altri ragazzi, in tutto e per tutto uguali a me salvo per il fatto che indossavano una divisa diversa.

Oltre alle stragi dei combattimenti, ho toccato con mano anche la follia del nazismo e non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah Arendt prima e Benbedetto VVI molti anni dopo: "Dov'era Dio ad Auschwitz?".

La scelta di fare il medico è profondamente legata in me alla ricerca dell’origine di quel male che il concetto di Dio non poteva spiegare. Da principio volevo fare lo psichiatra per capire in quale punto della mente nascesse la follia gratuita che poteva causare gli orrori di cui ero stato testimone. Avvicinandomi alla medicina, però, incappai in un male ancora più inspiegabile della guerra, il cancro".

“Ho pensato spesso che il chirurgo, e soprattutto il chirurgo oncologo, abbia in effetti un rapporto speciale con il male. Il bisturi che affonda nel corpo di un uomo o di una donna lo ritiene lontano dalla metafisica del dolore. In sala operatoria, quando il paziente si addormenta, è a te che affida la sua vita. L’ultimo sguardo di paura o di fiducia è per te. E tu, chirurgo, non puoi pensare che un angelo custode guidi la tua mano quando incidi e inizi l’operazione, quando in pochi istanti devo decidere cosa fare, quando asportare, come fermare un’emorragia.”

"ci sei solo tu in quei momenti, solo con la tua capacità, la tua concentrazione, la tua lucidità, la tua esperienza, i tuoi studi, il tuo amore (o anche la tua carità come la chiamava don Giovanni) per la persona malata. Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del "non so".

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