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Il 24 agosto di duemila anni fa l’eruzione del Vesuvio: oggi è di nuovo allarme

Il 24 agosto del 79 d.C. all’una del pomeriggio ci fu la devastante eruzione del Vesuvio che spazzò via le città di Pompei, Stabia ed Ercolano. Nelle lettere tra Plinio il Giovane, testimone oculare dell’evento, e lo storico Tacito tutta la tragedia di quei due giorni terribili. Oggi però gli studiosi lanciano l’allarme di una possibile nuova esplosione: ma esiste un piano di emergenza per mettere in salvo la popolazione?
A cura di Andrea Esposito
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Era il 24 agosto del 79 d.C. o, come dicono le fonti, nove giorni prima delle Calende di settembre, quando intorno all’una del pomeriggio (hora septima) un boato terribile si udì nella zona a nord di Neapolis, proprio ai piedi di quella che allora era ritenuta una semplice e lussureggante montagna: il Vesuvius. L’esplosione fu potentissima e coinvolse un’area ampia centinaia di chilometri quadrati, da Hercolaneum a Oplontis a Stabiae e Pompei. L’altezza della nube che si innalzò sul vulcano, nera e densa di magma e gas, è stata stimata in circa 26 chilometri.

La testimonianza diretta di Plinio il Giovane

Incredibilmente è giunta fino a noi una testimonianza molto accurata e ricca di dettagli di questo tragico evento grazie allo storico Publio Cornelio Tacito che alcuni anni dopo l’eruzione intraprese una corrispondenza con Plinio il Giovane che nei giorni dell’eruzione si trovava a Miseno (un luogo di osservazione perfetto per vedere l’eruzione) ospite di suo zio Plinio il Vecchio morto nel tentativo di aiutare la famiglia dell’amico Cesio Basso. Questo breve ma interessantissimo carteggio è pubblicato da Bastogi con il titolo “Lettere di Plinio il giovane a Tacito sull’eruzione del Vesuvio” ed è a cura di Francesco Paolo e Maulucci Vivolo. Qui si può leggere la terribile testimonianza di Plinio di quanto accadde in quei giorni:

“Per quanto a ricordar l’animo mio inorridisce… inizierò. Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna [si seppe poi che era il Vesuvio]: nessun'altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Già in precedenza e per molti giorni la terra aveva tremato senza tuttavia destare gran panico perché il fenomeno in Campania è frequente, ma quella notte in verità inveì talmente da farci credere che le cose tutte più che muoversi venissero capovolte! […] Vedevamo il mare in se ritirarsi quasi respinto dal tremar della terra e il litorale ovviamente allargarsi e lasciare sulle secche arene molti animali marini. Dalla parte opposta una nube nera e minacciosa, rotta da guizzi sinuosi e lampeggianti di vapori ardenti, si sfaldava in lunghe figure di fiamme; simili ma più grandi di folgori […] Avresti udito gemiti di donne, pianti supplichevoli di fanciulli, grida di uomini; e chi i genitori e chi i figli o il coniuge cercare a voce alta e dalla voce riconoscersi; e ve n’era anche di quelli che per paura di chi sa che morte volevano morire […] Ovviamente tu leggerai, senza scrivere, questi fatti indegni di passare alla storia e se non li riterrai neppure degni di una lettera ne darai logicamente colpa a te stesso che me ne hai fatto richiesta. Perciò addio”.

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La forma del Vesuvio e la pioggia di cenere e lapilli

Sia l’altezza sia la forma del Vesuvio erano molto diverse rispetto ad oggi. In epoca romana gli attuali due pendii (che dividono il Monte Somma e il cono del vulcano) erano uniti in un'unica cima molto più alta di quella attuale ed era interamente ricoperto di vegetazione. Gli abitanti delle città vesuviane non furono in grado di trovare una via di fuga anche a causa dell'improvvisa pioggia di cenere e lapilli che investì in particolare Pompei e Stabia e fece sì che moltissime persone morissero nelle strade. Le città, specialmente Pompei, furono in brevissimo tempo sepolte sotto almeno dieci metri di materiali eruttivi.

La differenza tra Pompei ed Ercolano

Un discorso a parte vale per Ercolano che non fu investita dalla pioggia di cenere e lapilli che fuoriusciva direttamente dal cratere del vulcano ma, quasi dodici ore dopo, accadde che il gigantesco pino di materiali eruttivi (come lo stesso Plino lo chiama) prese a collassare e, per effetto del vento, investi la cittadina con un'infernale mistura di gas roventi, ceneri e vapore acqueo.

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L’allarme degli studiosi di una nuova eruzione

Secondo due eminenti vulcanologi italiani, Giuseppe Mastrolorenzo e Lucia Pappalardo, il Vesuvio potrebbe tornare presto in attività a causa di una sacca magmatica ospitata in una caldera a una profondità di dieci chilometri in direzione dei Campi Flegrei e che potrebbe risalire in superficie dando luogo a una eruzione. Recenti studi rilevano che il suolo negli ultimi anni si sarebbe sollevato di almeno 20-30 centimetri nell’area interessata dal Vesuvio. In questo periodo si sono verificati anche micro terremoti, fumarole e molteplici casi di bradisismo in tutta l’area flegrea. Gli studiosi avvertono che se non si dovesse intervenire e creare un nuovo piano d’emergenza, ad oggi completamente insufficiente, sarebbero a rischio milioni di persone.

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