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Giappone: Fukushima 5 anni dopo, il disastro nucleare non è stato risolto

L’11 marzo del 2011 uno tsunami colpiva la centrale nucleare giapponese, causando l’incidente nucleare più disastroso dopo Chernobyl. A distanza di 5 anni, nonostante il Paese del Sol Levante abbia ricostruito strade, ospedali e ferrovie, i problemi sono tutt’altro che risolti.
A cura di Biagio Chiariello
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11 marzo 2011, alle 14:46 ore locali, al largo delle coste nord-orientali del Giappone, nella regione di Tohoku, la terra, a 30 chilometri di profondità, trema: una scossa violentissima, di magnitudo 9,  fa innalzare le acque sovrastanti generando uno tsunami con onde maggiori di 10 metri. 15.891 morti, 2.579 dispersi, 130mila gli sfollati, 332mila gli edifici distrutti. A peggiore il quadro già drammatico arriva l’incidente delle centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, il peggiore dai tempi Chernobyl, col quale condivide il triste primato di incidente di livello 7 (il più alto) nella International Nuclear Event Scale (Ines). Sono passati esattamente da quel giorno e il Giappone non è ancora riuscito a tornare pienamente alla normalità: 180mila persone non sono rientrate nelle loro case perché diverse aree sono ancora contaminate. Questo, spiega l’Agenzia per la ricostruzione voluta dal governo, nonostante siano state ricostruite quasi 12 mila abitazioni  nell’area, grazie anche ai 19,5 miliardi di euro messi a disposizione di Tokyo. Inoltre è stato reso operativo il 95 per cento degli ospedali ed è stato riaperto il 98 per cento delle scuole. Anche i terreni sono stati resi nuovamente coltivabili per i ¾ delle superfici interessate dalle radiazioni.

 Tutti risultati positivi, ma i problemi non si sono certo esauriti. E, anzi, molto probabilmente gli effetti  di quella catastrofe sono destinati a protrarsi nel tempo. Secondo due associazioni di scienziati statunitensi, la Psr (Physicians for social responsability) e la Ipnn (International physicians for the prevention of nuclear war), entrambe schierate apertamente contro l’energia atomica, l’incidente di Fukushima potrebbe provocare tra 10 e 60mila casi di cancro in più nella popolazione del Giappone. Secondo quanto spiegato nel documento, ‘Cinque anni di vita con Fukushima’, pubblicato in occasione del quinto anniversario del disastro, a 116 bambini nella prefettura di Fukushima è stata già diagnosticata una forma aggressiva di cancro alla tiroide, “mentre normalmente si registrano da uno a cinque casi all’anno”. Mentre nell’ambito del personale addetto alla decontaminazione e al soccorso, “più di 25mila hanno assorbito dosi elevate di radiazioni”, il che comporta “rischi importanti per la loro salute”.

I pericoli sono stati confermati anche dall'Organizzazione mondiale della sanità. Come a Chernobyl, ricordano gli esperti dell'Oms, gli abitanti dell'area di Fukushima "hanno sofferto di disturbi mentali e psicosociali". Sono stati riscontrati alti tassi di disordine da stress post traumatico e problemi psicologici come iperattività fra i bambini, ma anche depressione post parto per le neomamme dell'area più colpita. Da un punto di vista di salute globale, "i rischi collegati direttamente all'esposizione alle radiazioni sono bassi in Giappone ed estremamente bassi nei Paesi vicini e nel resto del mondo", spiega ancora l'Oms. "Data l'esposizione a iodio radioattivo durante la prima fase dell'emergenza" il rischio di tumore alla tiroide per i bimbi della Prefettura di Fukushima è confermato anche dall’organizzazione mondiale della sanità. "Il pericolo maggiore è stato trovato tra le ragazze esposte da bambine (cioè < 1 anno di età) nella zona più colpita nella prefettura di Fukushima".

Altra questione da risolvere è quella dello smantellamento della centrale di Fukushima. In tal senso, aveva provocato forti polemiche la decisione della Tepco, la compagnia elettrica che gestisce la centrale stessa, di mettere in sicurezza l’impianto per impedire la fuoriuscita di acqua contaminata con la realizzazione di un progetto denominato “muro di ghiaccio”, completato il 9 febbraio scorso, finanziato interamente dal governo per circa 260 milioni di euro, con costi annuali di gestione pari a 81 milioni di euro. I lavori sono  consistiti nel “congelamento” del sottosuolo, collocando 1.500 metri di tubi ghiacciati lungo il perimetro degli impianti. Due anni fa, però, la Nuclear Regulation Authority del governo giapponese aveva respinto il progetto, considerandolo troppo rischioso. La Tepco è andata comunque avanti per la propria strada. Secondo gli esperti, un eventuale nuovo terremoto metterebbe a rischio la tenuta dei tubi. Altro problema. Che fare dell’acqua radioattiva? Si parla di qualcosa come 750 mila tonnellate di liquido contaminato conservate in mille serbatoi. E ogni giorno ne vengono raccolte 300 tonnellate. Non è ancora chiaro dove quel mare d’acqua sarà stoccato in sicurezza.

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