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Gaza, la vittoria di Pirro di Israele e quella politica di Hamas

Nonostante la devastazione del territorio palestinese e lo scarso numero di vittime, Israele esce sconfitta dall’ultima guerra di Gaza. Tel Aviv non ha ottenuto nessuno degli obiettivi dichiarati all’inizio delle ostilità e, al contempo, Hamas appare rinforzata sia nei territori palestinesi che all’interno della comunità araba.
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Gaza è in ginocchio. Le macerie di quello che era un centro abitato sono ancora fumanti. La devastazione è onnipresente. Eppure, nonostante gli oltre duemila morti – di cui circa 1700 civili –, i 100mila feriti e la mancanza ancora in queste ore dei più elementari generi di prima necessità quali acqua, cibo e medicine, i cittadini della martoriata striscia di terra palestinese sono scesi in piazza per festeggiare la vittoria sul nemico di sempre: Israele.
Cosa c'è da festeggiare? Perché Hamas appare tutt'altro che sconfitta e perché, invece, il governo di Tel Aviv risulta essere indebolito dalla campagna militare durata cinquanta giorni e costata la vita a 65 militari con la Stella di Davide?
Le celebrazioni scoppiate a Gaza possono finanche risultare fuori luogo o irrispettose nei confronti delle vittime del conflitto e verso coloro che a causa dei raid hanno perso tutto, dai familiari alla casa, ma devono essere inquadrate nell'ottica – a tratti terribile – del conflitto politico, prima che militare, in corso in Medio Oriente.
Hamas e i suoi sostenitori sono scesi in piazza perché Israele non ha ottenuto nessuno dei risultati per i quali aveva dato il via alle ostilità iniziate, è doveroso ricordare, quando Hamas venne accusata in modo del tutto falso di aver coperto e collaborato all'uccisione barbara di tre giovani autostoppisti israeliani, omicidio a tutt'oggi senza colpevole. In quei giorni concitati il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva dichiarato che gli obiettivi della guerra erano: disarmare Hamas e, di conseguenza, cacciare l'organizzazione politico-militare da Gaza; distruggere i tunnel attraverso i quali avviene il contrabbando di materiale (sia bellico che di altra natura); confiscare tutti i razzi a disposizione dei militanti palestinesi. Ebbene nessuno di questi punti è stato raggiunto.

Hamas e Israele: chi ha vinto questa guerra?

Hamas – nonostante le pesanti perdite subite durante i raid aerei e il crescente malumore (in termini relativi) dovuto alle devastazioni della guerra –, sembra rimanere salda al comando politico e militare della Striscia; i tunnel (sebbene molti siano stati individuati e distrutti) sono ancora operativi; i razzi sono tutt'ora in mano ai miliziani palestinesi.
Ma la vittoria più grande di Hamas sembra essere quella politica perché è riuscita a resistere all'invasione di uno degli eserciti più forti del mondo, a subire relativamente poche perdite sul campo di battaglia (come detto la maggior parte delle vittime sono purtroppo civili) e ad imporsi come punto di riferimento della comunità araba all'esterno dei territori occupati.
È necessario tenere nella giusta considerazione il fatto che i negoziati di pace tenutisi al Cairo e che hanno portato alla tregua di queste ore, hanno confermato Hamas quale principale rappresentante degli abitanti della Striscia, rinforzando l'importanza dell'organizzazione sia all'interno della comunità araba sia soprattutto nei rapporti con l'Egitto.
Non si deve dimenticare che attualmente il paese dei Faraoni è guidato dal generale al-Sisi protagonista nei mesi scorsi di un colpo di stato, appoggiato anche da paesi stranieri quali Russia ed Usa, che ha messo nell'angolo politicamente – e in alcuni casi fisicamente – i rappresentanti della Fratellanza musulmana, struttura collegata direttamente ad Hamas. L'acquisizione da parte di Hamas del rango di maggior rappresentante della comunità araba durante i colloqui tenutisi all'ombra delle Piramidi ha rappresentato un duro colpo sia per Israele che per l'Egitto. E i punti sui cui si basano gli accordi di pace rafforzano ulteriormente tale interpretazione dei fatti.

Se, da un lato, l'organizzazione politico-militare palestinese si è impegnata a bloccare nell'immediato il lancio di razzi verso il territorio israeliano (lancio che nonostante il sistema di difesa missilistica messo in capo da Israele ha mostrato di avere molte falle), dall'altra Tel Aviv ha annunciato: lo stop a tutte le operazioni militari; l'apertura dei valichi di frontiera al fine di permettere il transito dei beni di prima necessità così come di quelli necessari alla ricostruzione di Gaza; l'ampliamento delle acque territoriali utilizzabili dai pescatori palestinesi (da 3 miglia a 6, mentre l'obiettivo di lungo periodo sarebbe quello di tornare alle 12 miglia marittime). Inoltre anche l'Egitto aprirà i 14 chilometri di frontiere con Gaza nella zona di Rafah.

Il rapporto tra le concessioni date e quelle ottenute sembra evidente in favore dei palestinesi, così come se si guarda al lungo periodo – sempre ammesso che la tregua regga –, le possibili concessioni di Israele ai palestinesi sarebbero ancora più grandi (la restituzione, tra le varie cose, di molti prigionieri, la ricostruzione dell'aeroporto e la costruzione di un porto a Gaza). Grandi malumori, d'altronde, sono stati registrati in Israele dove non solo non ci sono stati moti di festa per la tregua, ma il premier Netanyahu, nonostante abbia cantato vittoria, è stato sottoposto ad un fuoco di critiche sia relativi alla conduzione della campagna militare, sia relativi ai pochi risultati pratici e politici ottenuti. La tregua, come sempre in Medio Oriente, è appesa ad un filo e sarebbe un errore considerare la guerra archiviata o chiusa, ma nel complesso mosaico politico mediorientale la vittoria politica di Hamas su Israele, che in ordine di tempo segue quella dei libanesi di Hezbollah su Tel Aviv, apre a scenari politici difficilmente prevedibili all'inizio delle ostilità.

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