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Deflazione, fiducia e crescita: l’Italia fa ancora fatica a uscire dalla crisi

Non positivi i dati della nota mensile sull’andamento dell’economia italiana: qualche passo in avanti, ma ci sono seri rischi di rallentamento. E restano tre enormi incognite: disoccupazione giovanile, deflazione e debito pubblico.
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È la nota mensile dell’ISTAT sull’andamento dell’economia italiana a consentirci di fare il punto sul “percorso di uscita dalla crisi” evidenziato dagli ultimi indicatori socio – economici. Si tratta di un documento molto importante, soprattutto alla luce della discussione sul Documento di Economia e Finanza del Governo, che appunto contiene stime di crescita e programmazione economica per il prossimo triennio. Il quadro di fondo resta positivo, come riassumeva via XX settembre: l’economia italiana nel 2015 è tornata a crescere, +0,8 in termini reali, + 1,5 in termini nominali, con la riduzione del tasso di disoccupazione, l’aumento della produzione industriale e l’aumento dei consumi interni.

Ma il racconto dei primi tre mesi del 2016 sembra in qualche modo contrastare con l’immagine serena e fiduciosa che l’esecutivo mette nero su bianco nel DEF. Lo spiega nella premessa lo stesso istituto di statistica:

L’economia italiana presenta segnali positivi associati al miglioramento della produzione industriale, al consolidamento dell’occupazione permanente, alla riduzione della disoccupazione e alla crescita del potere di acquisto delle famiglie. Tuttavia l’evoluzione del clima di fiducia rimane incerta e l’indicatore composito anticipatore dell’economia italiana segnala rischi di un rallentamento dell’attività economica nel breve periodo

Ma cosa significa, quella parte che segue il “tuttavia”? Per capirlo basta consultare i dati trimestrali, scorporati per ambito e depurati dalle proiezioni ottimistiche dell’esecutivo.

In primo luogo c’è l’andamento altalenante della produzione industriale, che sembra ancora troppo legata alle congiunture del momento: +1,7% a gennaio, -0,6% a febbraio, +0,3% su base trimestrale; -10,4% del fatturato delle imprese del settore energia, -1% di quelle nei beni strumentali; -2% nelle importazioni extra Ue, -0,3% per le esportazioni.

Poi ci sono i dati sull’occupazione, buoni in termini netti, ma con l’incognita del peso eccessivo della decontribuzione del Governo e soprattutto col “problema” dello shock positivo unicamente per il lavoro degli ultracinquantenni: “Nel primo trimestre dell’anno si è registrata complessivamente una sostanziale stabilità. Continuano ad aumentare i dipendenti a carattere permanente (+0,5%, 72 mila occupati in più), a fronte di una diminuzione di quelli a termine (-2,1%, -52 mila unità). Sempre nel primo trimestre dell’anno la variazione congiunturale positiva dello stock di occupazione ha riguardato unicamente gli individui di 50 anni e più. Il tasso di disoccupazione ha ripreso a scendere a marzo (tre decimi di punto), attestandosi all’11,4%, il livello più basso da novembre 2012”.

E, del resto, i dati sugli inattivi e i NEET sono ancora tremendi:

 

Il dramma vero resta quello della deflazione, di fronte alla quale l’intero sistema europeo sembra impotente. L’ISTAT conferma che l’indice dei prezzi al consumo ha registrato per il terzo mese consecutivo una variazione annua negativa, con l’inflazione “di fondo” (ovvero che tiene conto degli effetti ritardati e indiretti delle tendenze deflattive esogene) che si mantiene su livelli bassissimi (+0,5%) e una proiezione per i prossimi mesi che non lascia presagire nulla di buono.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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