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Crisi Ucraina, il vertice quadrilaterale di Berlino avvicina Kiev a Mosca

L’incontro tra i ministri degli Esteri di Germania, Russia, Francia e Ucraino si è concluso con un nulla di fatto formale e un rinvio a prossime consultazioni. Secondo molti osservatori, tuttavia, è possibile che il vertice abbia gettato le basi per la realizzazione della road map auspicata anche dall’Osce.
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Si è concluso con un nulla di fatto formale il vertice di Berlino tra i ministri degli esteri di Germania, Francia, Ucraina e Russia (rispettivamente: Frank Walter Steinmeier, Laurent Fabius, Pawel Klimkin e Sergej Lavrov) sulla crisi in Ucraina orientale. Ipotizzare un risultato netto, come ad esempio una tregua, era tuttavia fuori luogo. Secondo molti osservatori, invece, sono state poste invece le possibili basi per gli incontri futuri che, in tempi brevi, potrebbero portare alla stabilizzazione della situazione nel sud est del paese slavo. Ciò che è emerso, ancora una volta, è che la gravissima crisi umanitaria, politica e militare che sta insanguinando l'Ucraina orientale deve terminare al più presto. E per farlo c'è una sola strada: il dialogo tra le parti in campo. La mediazione di Berlino e Parigi potrebbe risultare la chiave vincente, in termini di alleanze economiche e politiche a livello transnazionale, per costruire un percorso d'interventi internazionali finalizzati ad aiutare, in primis, la popolazione del Donbass prima vera vittima degli scontri e dei massacri di queste ultime settimane. In questo senso va anche interpretata la telefonata, avvenuta sabato scorso, tra il Presidente russo Vladimir Vladimirovič Putin e la cancelliera tedesca Angela Merkel, in cui i due leader si sono confrontati sulle opzioni diplomatiche utili a raggiungere la tregua e, successivamente, la normalizzazione della situazione nel quadrante sud orientale ucraino.

Il vertice, conclusosi nella serata di domenica, dunque non ha prodotto al momento un risultato definitivo in termini immediati ma potrebbe rappresentare un passo importante e necessario a distendere gli animi e procedere così alla creazione del processo di pace che al momento sembra impossibile.
Ad oggi sono oltre duemila le vittime del conflitto che vede fronteggiarsi da una parte le forze fedeli al governo di Kiev, un governo è bene ricordare appoggiato dalla destra estrema, nazionalista e con componenti apertamente filo naziste, e i miliziani dell'autoproclamata Repubblica del Donbass filo russi (prettamente per motivazioni di contiguità geografica, storica e familiare) ed ostili al governo di Petro Poroshenko. “Il nostro primo obiettivo – ha affermato il ministro degli Esteri in quota Spd –, è quello di raggiungere un accordo di lunga durata che si basi su un piano d'interventi condiviso, stabilendo al contempo una struttura adeguata che gestisca i controlli alle frontiere. Solo seguendo questo percorso, l'Ucraina orientale potrà trovare un periodo di pace e Kiev potrà continuare a spiegare le proprie posizioni ai cittadini confinanti con la Russia. In questo momento specifico, abbiamo bisogno di un nuovo impulso dalla politica attraverso il dialogo, altrimenti il rischio che la situazione peggiori in una nuova spirare di violenze è grande”. L'incontro, tenutosi a Villa Borsig, residenza alle porte della capitale tedesca, giunge in contemporanea all'invio da parte di Mosca del convoglio ufficialmente carico di generi di prima necessità e destinato alla popolazione del Donbass ormai allo stremo perché senz'acqua, energia e medicinali.

Aiuti umanitari all'Ucraina, lo scambio di accuse tra Kiev e Mosca

Le polemiche, divampate nei giorni scorsi, relative alla vera natura del convoglio – Kiev ha ripetutamente accusato, senza prove, il Cremlino di utilizzare la copertura degli aiuti umanitari per recapitare ai separatisti filo russi armi ed equipaggiamenti –, sono state in buona parte sgonfiate dalle ispezioni degli osservatori dell'Osce (l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea, guidata dal diplomatico italiano Lamberto Zannier) e degli operatori della Croce Rossa Internazionale che hanno dato il via libera al transito dei primi tir su un totale di 280 diretti principalmente verso Lugansk (secondo quanto reso noto dal ministero russo delle Emergenze i veicoli contengono circa due tonnellate di aiuti umanitari di cui: quattrocento tonnellate di grano, cento di zucchero, sessantadue tonnellate di cibo per bambini, cinquantaquattro tonnellate di rifornimenti medici, sessantanove generatori elettrici e dodicimila sacchi a pelo). La serietà della situazione nel Donbass, per quanto poco riportata dalla principali testate occidentali, ha fatto parlare da settimane di grave crisi umanitaria, questo sia per l'assenza di generi di prima necessità che, soprattutto, per le continue violenze perpetrate sulla popolazione da formazioni irregolari che – a quanto si apprende – risulterebbero vicine alle forze inviate da Kiev per sedare la rivolta indipendentista e riconquistare il territorio confinante con la Russia di Donetsk.

Intanto è ancora avvolta nel mistero la sparizione o, secondo molti, il rapimento del giornalista russo Andrey Stenin, fotoggiornaslita dell'agenzia di stampa Rossija Segodnya nota anche come Ria Novosti, avvenuto in Ucraina circa quindici giorni fa. Nelle ore immediatamente successive alla sparizione del professionista russo, Anton Geraschenko – componente del gabinetto del ministero degli Interni di Kiev –, aveva affermato che Stenin era stato prelevato dai servizi di sicurezza ucraini e messo in stato di arresto, accusato di aver aiutato i separatisti. Ore dopo, tuttavia, lo stesso Geraschenko ha chiarito che la sua era solo una supposizione, svincolata da prove, e che non aveva alcuna informazione specifica relativa all'ubicazione di Stenin. Le associazioni internazionali dei giornalisti, insieme ai colleghi russi dell'agenzia di stampa e alle associazioni che lottano per i diritti umani – come Human Rights Watch –, si sono mobilitate per chiedere il rilascio del professionista ed il rispetto dei diritti dei giornalisti in Ucraina orientale, dove fino ad oggi purtroppo sono stati tanti i casi di giornalisti uccisi, arrestati ed interrogati – spesso da milizie irregolari – facendo definire agli operatori umanitari l'intera area come una vera e propria “trappola a cielo aperto” per i professionisti dell'informazione.

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