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Citigroup fa colare a picco le banche italiane in borsa

Citigroup con un report taglia le attese sugli utili del comparto bancario italiano e sforbicia i “target price” per i titoli. Risultato: tra sospensioni al ribasso i principali gruppi bancari italiani tornano a segnare pesanti ribassi in borsa…
A cura di Luca Spoldi
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Nell’ennesima pesante giornata per Piazza Affari, che continua a soffrire tanto degli alti e bassi del petrolio, quanto dei timori circa la solidità delle banche italiane e la realtà logica che sta dietro alle fusioni preannunciate, tanto che tra i peggiori titoli vi sono oggi Banco Popolare (in predicato di andare ad una fusione “tra pari” con Bpm), che ha chiuso a -10%, Ubi banca (che ha smentito di voler puntare a una fusione con Mps “non tra pari”, visto che l’istituto lombardo capitalizza in borsa il doppio di quello toscano), terminata a -9%, e Bper, in calo dell’8,3%.

Oltre a tutto quello che è già stato detto e scritto negli ultimi giorni, sulle banche italiane sono intervenuti stamane gli analisti di Citigroup con un report settoriale che è stato impietoso. Per gli esperti americani il sistema creditizio italiano è tra quelli più a rischio, mentre il processo di integrazione va troppo a rilento, così gli analisti hanno deciso di tagliare pesantemente i prezzi indicati come obiettivo a 12 mesi dei titoli in borsa: in ordine di magnitudo, Unicredit ha visto il proprio target price ridotto da 6,15 a 4 euro (-35%), il Banco Popolare da 15 a 10,10 euro (-33% circa), Ubi Banca da 7,1 a 4,9 euro per azione (-30%), Bper il da 8,7 a 6,8 euro (-22%), Mediobanca da 11,2 a 9 euro (poco meno del 20% di ribasso) e Bpm da 1 euro a 85 centesimi (-15%).

Si noti che nonostante la radicale sforbiciata dei target price le quotazioni a cui trattano i titoli restano ben più basse, cosa che avrebbe dovuto evitare gli ulteriori pesanti scivoloni registrati oggi. Significa che le vendite non sono state dovute unicamente a motivi di trading, o a un “complotto” dei soliti speculatori, ma a una visione ancora negativa che gli investitori hanno dell’andamento futuro del business bancario nel “bel paese”, alle prese con un nuovo rischio recessione che potrebbe portare, tra le tante cose, ad un nuovo avvitamento dei conti pubblici stretti tra la necessità di cercare di sostenere in qualche modo la ripresa e rispettare gli impegni con Bruxelles (cosa che ci imporrà di tagliare la spesa o aumentare le tasse, o un mix delle due, per un totale di 34 miliardi di euro, di cui 15 già l’anno venturo).

Ci sono poi casi in cui non si possono escludere aumenti di capitale. Se Mps e Banca Carige, chiamate in causa nelle ultime settimane, hanno già smentito l’ipotesi, l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, è stato più cauto, preferendo rimandare a dopo la presentazione dei conti 2015, attesa per il 9 febbraio: dopo tale data “ne riparleremo” si è limitato a dire qualche giorno fa ai giornalisti che chiedevano delucidazioni al riguardo. Peccato che non sia proprio il caso di andare a chiedere soldi al mercato di questi tempi e che chi l’ha fatto, come Saipem (peraltro con un’operazione fortemente diluitiva che prevede l’emissione di 22 nuovi titoli a fronte di ogni azione preesistente, per un controvalore massimo di 3,5 miliardi di euro a fronte di 3 miliardi di capitalizzazione del titolo prima dell’avvio della ricapitalizzazione stessa), abbia visto crollare sia il titolo sia il diritto, pur avendo concesso uno sconto del 37% rispetto alle quotazioni di borsa.

Così alla fine la considerazione di Citigroup, secondo cui non sarebbe ancora “troppo tardi per vendere” specie “se i risultati dovessero deludere per quanto riguarda l’outlook e il trend dei Non performing loans (Npl, i crediti problematici, ndr) non mostrasse alcun miglioramento” potrebbe rivelarsi fin troppo realistica. Anche perché al di là degli indubbi meriti di non aver favorito un indebito scarico dei costi delle sofferenze sulle spalle dei contribuenti, la soluzione trovata per favorire la cartolarizzazione e successiva cessione degli stessi Npl da parte delle banche continua a suscitare poco entusiasmo da parte degli analisti e delle banche stesse.

Le garanzie pubbliche rischiano infatti di promuovere al più lo smobilizzo di quella porzione di Npl che poteva trovare più facilmente un accordo sul prezzo tra venditori e potenziali acquirenti, mentre nulla o quasi potrà fare per i crediti realmente “marci” che rischiano di restare per anni in pancia alle banche tricolori, pesando sulla ripresa dell’attività creditizia ed economica in generale. Il bicchiere, questa sera, è decisamente mezzo vuoto.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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