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Opinioni

Chi ha ucciso la Grecia?

La Grecia chiude fino al 7 luglio le banche e vara limiti ai movimenti dei capitali. Come si è arrivati a questo punto della crisi, per colpa di chi e quali prospettiva si presentano ora alla Grecia e agli altri paesi dell’Eurozona? Scopriamolo insieme…
A cura di Luca Spoldi
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Il giallo dell’estate 2015 è certamente: chi ha ucciso la Grecia? Per scoprirlo occorre ripercorrere la vicenda dall’inizio. Era il 2000 e l’euro debuttava anche in Grecia, che pareva un piccolo “paese emergente” in seno alla vecchia Europa con un Pil in grado di salire costantemente fino al 2007 toccando anche picchi del 6,6% di incremento annuo (nel 2003). L’esplosione della crisi finanziaria mondiale del 2008 ha cambiato drasticamente le prospettive di prosperità ma qualcosa era già cambiato negli anni precedenti: come testimoniano i dati ufficiali Eurostat la crescita del Pil stava già rallentando, passando dal +5% del 2004 al +3,5% del 2007. Certo, con la crisi mondiale la recessione divenne conclamata e nel 2008 il Pil perse lo 0,4% per poi accelerare al ribasso l’anno successivo (-4,4%).

In quell’anno, a peggiorare le cose, Standard & Poor’s decise di ridurre a “BBB+” il merito di credito sovrano di Atene (il rating sarebbe poi caduto sino a “junk” pochi mesi dopo, impedendo di fatto ad Atene di rifinanziare il proprio debito pubblico sul mercato da allora). Cos’era successo? Facciamo un passo indietro: fino al 1999 il deficit/Pil greco era rimasto sopra il 3% annuo, dunque oltre i limiti previsti da Maastricht, dal 2000 invece, “potenza dell’euro”, lo stesso rapporto tornò magicamente al di sotto di tale limite. Tutto bene? Beh, non proprio perché nel 2009 il premier greco Papandreou ammise che i conti erano stati “truccati” facendo ricorso ad alcuni derivati per tenere fuori dalla contabilità alcune voci di spesa, cosa che teoricamente era legittimo secondo le norme contabili europee (tanto che anche l’Italia ricorse almeno in parte a simili artifici contabili), ma in pratica costituiva una grave violazione della fiducia accordata alla Grecia dagli altri paesi dell’eurozona.

Si scoprì che nel 2006 il “vero” deficit/Pil era già al 6% mentre nel 2009 aveva ormai superato il 15%, ossia il deficit creva a tassi multipli del Pil e non viceversa. Se avete presente il film “Titanic” questo è il momento in cui il capitano, dopo aver deciso di proseguire la navigazione anche se l’acqua stava già riempiendo le stive, ha appena dato l’ordine di calare in mare le prime scialuppe per i passeggeri di prima classe, con l’avvertenza che non si deve scatenare il panico. Il panico in realtà si scatenò eccome arrivando a minacciare nel 2011 tutti i “porcellini europei” ed in particolare Spagna e Italia che coi propri debiti pubblici e sistemi bancari rappresentavano due mine ben più serie della piccola Grecia per l’intera Unione europea oltre che per i mercati finanziari mondiali. Nel frattempo si varavano “bailout”, ossia piani di salvataggio “condizionati”, assistiti dalla “troika” Ue-Bce-Fmi.

In cambio di una montagna di soldi (circa 220 miliardi in tutto da allora ad oggi) e di un primo taglio del debito pubblico greco (con un’operazione di swap, ossia di concambio dei titoli, il Tesoro greco ridusse del 53,5% il valore dei titoli di stato in circolazione), la troik, pressata dalla Germania, chiedeva e otteneva da Atene una serie di misure “lacrime e sangue” peraltro varate non da Papadreou, dimessosi mesi prima, ma dal governo “tecnico” di Papademos (cui successe nel 2012 il governo Samaras, battuto nelle elezioni dello scorso gennaio da Alexis Tsipras). Misure che, come da manuale, contribuirono a far crollare ulteriormente il Pil tanto che se nel 2010 il Pil aveva segnato -5,4%, nel 2011 registrò un crollo dell’8,9%, l’anno dopo del 6,6% e nel 2013 del 3,9%, prima di “tornare a crescere” (si fa per dire) di uno striminzito +0,8% lo scorso anno.

In sei anni di recessione la “cura letale” contribuiva a bruciare il 25% del Pil reale greco, riducendo il Pil procapite dal 93% del Pil procapite medio Ue-28 (nel 2003) al 72% dello stesso (nel 2014). Una sorpresa? Mica tanto, se fin dal 2012 lo stesso Fondo monetario internazionale (si legga al riguardo il suo rapporto annuale) dovette ammettere che le previsioni sull’andamento di Pil, deficit e debito greco erano state sbagliate. Ma come è stato possibile che nessuno si sia accorto prima che il governo greco truccava i conti e poi che la cura, somministrata nei tempi e nell’ordine con cui è stata voluta dalla troika, non avrebbe migliorato la capacità del debitore di rimborsare gli aiuti ottenuti, peraltro a condizioni che comunque Atene non sarebbe mai stata in grado di ottenere con le sue forze sul mercato (1,5% di interesse annuo, scadenza media che per i prestiti erogati dalla Ue col fondo “salva stati” Efsf/Esm è pari a circa 30 anni)?

Certo, la corruzione in Grecia era dilagante, favorendo tra l’altro un’evasione pari al 10% del Pil (30 miliardi di euro l’anno) e le nomine ai vertici dell’istituto statistico nazionali (cui spettava di validare i conti da presentare all’Europa) erano pesantemente condizionate dalla politica e guarda caso nel 2011 l’ex direttore dello stesso, Andreas Georgiou, venne incriminato per aver deliberatamente falsato i dati. Ma a vendere ad Atene i derivati incriminati sono state le grandi banche mondiali che pure collaborano coi governi quando c’è da collocare titoli di stato o privatizzazioni. Qualcuno poi fa notare che la Grecia, la cui spesa militare tra il 2000 e il 2010 ha oscillato tra il 3,5% e il 2,6% del Pil mentre nell’eurozona si riduceva dall’1,8% all’1,6% del Pil, avrà fatto comodo ad alcuni grandi gruppi industriali (e alla banche che ne finanziavano le transazioni) dei paesi dell’eurozona. Insomma: una commistione di interessi molto poco legittimi di una parte della società greca, dei suoi rappresentanti politici, di grandi imprese e banche europee, insieme a una classe europea miope e fin troppo rigida, hanno preparato per tempo la scena del crimine.

A questo punto come andrà a finire? Probabilmente male, in ogni caso: ieri Tsipras ha annunciato che banche e borsa greche resteranno chiuse fino al 7 luglio e che anche dopo di allora i correntisti greci non potranno prelevare più di 60 euro al giorno dal bancomat (misure da cui restano esclusi i titolari di conti correnti e bancomat all’estero), dopo che la Bce riunitasi ieri in seduta straordinaria come da una settimana ogni giorno ha confermato (ma non ulteriormente incrementato) a 89 miliardi il tetto del programma Ela che finora ha rimesso giorno per giorno nelle casse delle banche elleniche la liquidità che società e famiglie ritiravano ad un ritmo crescente(solo ieri sono stati prelevati tramite i bancomat 700 milioni di euro, facendo calare a circa 120 miliardi i depositi bancari, pari a fine 2009 a oltre 240 miliardi). Misure che sono inevitabili ma tardive e che hanno portato Societe Generale a segnalare come la probabilità che Atene accetti una soluzione che già appariva al più “semi-stabile” ma non in grado di chiudere una volta per tutte la crisi (in sintesi: 15 miliardi di euro di nuovi aiuti da parte della “troika” ed estensione dell’attuale programma di aiuti per altri 5 mesi in cambio di riforme alle pensioni, incrementi dell’Iva e delle tasse sul reddito e sul patrimonio, nuovi tagli a sussidi ed esenzioni fiscali, ripresa delle privatizzazioni, misure che secondo Deutsche Bank causeranno una depressione del Pil del 3% a fine anno) si sono ridotte al 60%.

Ultimo ma non meno importante particolare: si deve mettere in conto un ulteriore allungamento dei tempi della crisi (tanto più se Tsipras dovesse dimettersi in caso di un esito referendario favorevole alla firma dell'accordo proposto dalla troika), col rischio che a saltare non sia solo il pagamento degli 1,5 miliardi di aiuti al Fmi al 30 giugno, ma anche il rimborso, il 20 luglio prossimo, di 3,5 miliardi di aiuti targati Bce. E’ vero che una volta mancato il pagamento parte un conto alla rovescia di 30 giorni prima che il default abbia effetti pratici, ma se il tempo non fosse sufficiente a trovare un accordo in extremis con Fmi e Bce, Atene sarebbe due volte fallita, con evidenti rischi che a quel punto il banco sia definitivamente saltato.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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