146 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Censis: solo due italiani all’estero su dieci puntano a tornare nel nostro paese

I dati emergono dal cinquantesimo rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis. Il 62,7% degli italiani all’estero intervistati considera stabile la propria presenza fuori dal paese, e intende continuare a vivere dove si trova; il 6,2% è convinto di restare; mentre il 22% non ha ancora progetti precisi.
A cura di Claudia Torrisi
146 CONDIVISIONI
bandiera-tricolore-mondiali-italia-footballcrazy.it_

Tornare in Italia non è un'opzione presa in considerazione dagli italiani all'estero. Solo due di loro su dieci, poco più del 20% del totale, vede il rientro "come un possibile esito futuro, anche a breve", mentre 31,5% è proprio certo di non voler proprio tornare. I dati emergono dal cinquantesimo rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis. Il 62,7% degli italiani all'estero intervistati considera stabile la propria presenza fuori dal paese, e intende continuare a vivere dove si trova; il 6,2% è convinto di restare; mentre il 22% non ha ancora progetti precisi. Rispetto a quanto rilevato tre anni fa, "l'area della stabilità si è estesa (allora la quota era paria al 55%), dando conferma di una crescente propensione degli individui a consolidare anche lontano dal Paese d'origine la propria esistenza", rileva il Censis, secondo cui il ilvello di integrazione raggiunto risulta soddisfacente per otto intervistati su dieci. Il 52,3% si riconosce nell'affermazione che indica nell'Italia un Paese pieno di risorse, ma penalizzato dalla sua classe dirigente.

Secondo l'analisi del Censis, le relazioni affettive in Italia sono sempre più fluide, specialmente tra i "millennials", coloro che sono nati tra i primi anni '80 e i primi anni 2000. Tra loro, i celibi e i nubili sono ormai l'80,6% (erano il 71,4% solo dieci anni fa), mentre i coniugati sono il 19,1% (erano il 28,2%). Gli assolutamente single sono il 39,7%, il 3,2% ha in corso più relazioni non impegnative e il 57,1% ha una relazione di coppia stabile pur non convivendo. I giovani, per la maggior parte, non credono più che il matrimonio basato sul modello "fino a che morte non vi separi" sia adeguato: il 53% vorrebbe modelli più flessibili di formalizzazione delle convivenze durature. In particolare, il 31% vorrebbe una semplificazione estrema delle modalità di accesso e uscita dal matrimonio, ben oltre il divorzio breve; il 10,4% desidera un modello di unione che preveda un periodo di prova di due anni, al termine del quale poter decidere insieme se continuare o lasciarsi; l'8% vorrebbe modalità con periodi predeterminati di 5, 7 o 10 anni, al termine dei quali poter esercitare la facoltà di decidere se lasciarsi o restare insieme. In ogni caso, la scelta di una convivenza stabile è vista come una opzione impegnativa, che necessita di un lavoro stabile per il 71,9% dei giovani, di risparmi accantonati per il 49,9%, di aver convissuto per un po' di tempo con il partner per il 30,4% e di aver portato a termine gli studi per il 27,5%.

Nascite al minimo, ci salvano solo gli stranieri

Il rapporto del Censis rileva che nell'ultimo anno l'allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall'Unità d'Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. A questo si aggiunge il boom della cancellazioni dall'anagrafe di italiani trasferitisi all'estero, che nel 2015 sono stati 102.259: una cifra praticamente raddoppiata negli ultimi quattro anni e che ha avuto una crescita del 15,1% solo nell'ultimo anno. In un Paese in cui "la piramide generazionale si è rovesciata", nota il Censis, "gli stranieri rappresentano un importante serbatoio di energie". Dal 2001 a oggi la popolazione è aumentata del 6,5%, raggiungendo gli attuali 60.666.000 abitanti, una crescita totalmente determinata dalla componente straniera, che è quasi triplicata negli ultimi quindici anni (+274,7%). "Immaginare un'Italia senza stranieri – osserva il rapporto – vorrebbe dire pensare a un Paese con oltre 2,5 milioni di minori e under 35 in meno". Se accanto ai dati del bilancio demografico si analizzano le previsioni sull'andamento futuro della popolazione, emerge che nel 2030 l'Italia avrà una popolazione di 61.605.000 individui, in aumento dell'1,5% rispetto a oggi. Tale crescita sarà però l'effetto di una diminuzione dei cittadini italiani del 5,6%, per cui nel 2030 saremo complessivamente 52,5 milioni e di una crescita dell'81,1% dei cittadini stranieri, che diventeranno oltre 9 milioni, vale a dire il 14,8% dell'intera popolazione. Tra questi, i minori stranieri saranno quasi 2 milioni e rappresenteranno il 21,6% del totale dei minori. Prevista una diminuzione degli under 18 (-10% nei dieci anni considerati), una tenuta dei millennials (+0,7%), una riduzione degli individui di età compresa tra i 35 e i 64 anni (-3,9%), e una crescita del contingente piu' anziano (+21,6%). In altre parole, conclude il Censis, "l'effetto combinato del prolungamento della vita media e dell'omologazione dei comportamenti demografici degli stranieri a quelli degli italiani, se non affrontato da politiche di sviluppo e di disincentivo della fuga altrove, potrebbe determinare, anche nel futuro, una situazione di ristagno per il nostro Paese"

Il bullismo minimizzato dalle famiglie

Bullismo e cyberbullismo sono fenomeni diffusi, ma i genitori preferiscono non drammatizzare. Secondo il Censis, il 52,7% degli 11-17enni nel corso dell'anno ha subito comportamenti offensivi, non riguardosi o violenti da parte dei coetanei (una percentuale che sale al 55,6% tra le femmine e al 53,3% tra i ragazzi di 11-13 anni). Quasi un ragazzo su cinque (19,8%) è oggetto di questo tipo di soprusi almeno una volta al mese, eventualità più ricorrente tra i giovanissimi (22,5%). Su internet sono le ragazze a essere vittime in misura maggiore. Il 47,5% degli oltre 1.800 dirigenti scolastici interpellati dal Censis ha indicato i luoghi di aggregazione giovanile come quelli in cui si verificano più frequentemente episodi di bullismo, poi il tragitto casa-scuola (34,6%) e le scuole (24,4%). Ma è su internet che il bullismo trova ormai terreno fertile, secondo il 76,6%. Nel corso della propria carriera il 75,8% dei dirigenti scolastici si è trovato a gestire più casi di bullismo: il 65,1% di bullismo tradizionale e il 52,8% di cyberbullismo. Per l'80,7% dei dirigenti, quando i loro figli sono coinvolti in episodi di bullismo, i genitori tendono a minimizzare, qualificandoli come scherzi tra ragazzi, e solo l'11,8% segnala atteggiamenti collaborativi da parte delle famiglie, attraverso la richiesta di aiuto della scuola e degli insegnanti. Il 51,8% dei dirigenti ha organizzato incontri sulle insidie di internet con i genitori, avvalendosi prevalentemente del supporto delle Forze dell'ordine (69,4%) e di psicologi o operatori delle Asl (49,9%). All'attivismo delle scuole non ha corrisposto però un'equivalente partecipazione delle famiglie, che è stata bassa nel 58,9% dei casi, media nel 36% e alta solo in un marginale 5,2% di scuole.

Figli più poveri dei loro genitori

Per la prima volta, secondo il Censis, i figli saranno più poveri dei loro genitori: il rapporto registra il "ko economico dei millennial" che hanno "un reddito inferiore del 15,1% rispetto alla media dei cittadini" e una ricchezza familiare che, per i nuclei under 35, è quasi la metà della media (-41,2%). Nel confronto con venticinque anni fa, rispetto ai loro coetanei di allora, gli attuali giovani "hanno un reddito inferiore del 26,5% (periodo 1991-2014), mentre per la popolazione complessiva il reddito si è ridotto solo dell'8,3% e per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%". Il reddito medio da pensione è passato da 14.721 a 17.040 euro (+5,3%) tra il 2008 e il 2014 e 4,1 milioni di pensionati "hanno prestato ad altri un aiuto economico". I nuovi pensionati, si legge sempre nel rapporto, sono più anziani e redditi mediamente migliori come effetto di carriere contributive "più lunghe e continuative". Tra 2004 e 2013 è quadruplicato chi è andato in pensione di anzianità con più di 40 anni di contributi (dal 7,6% al 28,8%).

146 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views