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Cassazione: “Cibo vegetariano e maestro zen diritto dei detenuti buddisti”

I giudici hanno dato ragione al ricorso di un detenuto killer di camorra condannato per l’omicidio di un consigliere del Pd nel Napoletano.
A cura di A. P.
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Se un detenuto di religione buddista chiede del cibo vegetariano e di poter parlare con un maestro zen non sono richieste bizzarre alle quali dare risposta solo se possibile in termini di praticabilità ma vanno prese nella dovuta considerazione. Lo ha sancito oggi la Procura generale della Corte di Cassazione accogliendo il ricorso del detenuto Catello Romano, 23enne reo confesso dell'omicidio del consigliere del Pd di Castellammare di Stabia Luigi Tommasino ucciso il 3 febbraio 2009 mentre era in macchina con il suo bambino. Catello si era rivolto al tribunale di sorveglianza di Novara chiedendo di poter avere del cibo senza carne e di poter parlare ogni tanto con un maestro zen, ma dal tribunale si erano limitati a rispondere di aver già consigliato alla direzione del carcere di sostituire l'impresa fornitrice del vitto, mentre per quanto riguardava il mancato accesso del maestro buddista zen, l'ordinanza faceva presente che queste cose dipendevano dal ministero e non dalla direzione.

Secondo la Cassazione però questo tipo di risposte non sono valide. La Prima sezione penale della Suprema Corte infatti ha spiegato che siccome "l'attuale sistema di tutela giurisdizionale dei detenuti nei confronti dei provvedimenti dell'Amministrazione penitenziaria non risulta disciplinato compiutamente dalla legge, e in assenza di un efficace intervento legislativo", è dovere del magistrato di sorveglianza "impartire disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati". Insomma per la Cassazione il giudice sorveglianza deve emettere provvedimenti di "natura giurisdizionale" per rimediare ai diritti lesi di chi è in carcere e non limitarsi a consigliare.

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