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Call center Sitel licenzia tutti i lavoratori. “Andiamo in Serbia, lì costi minori”

Per oltre 10 anni la società milanese ha gestito l’assistenza clienti di Toshiba, Hp, Bosch. Ma a Belgrado gli stipendi sono di 400 euro al mese invece di 1.200. Così la decisione di localizzare.
A cura di Biagio Chiariello
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Per almeno 10 anni hanno vissuto quello che per molti – purtroppo – in Italia rappresenta una sorta di chimera: Contratto a tempo indeterminato a 35 anni, stipendio sicuro di 1200 euro netti al mese e un posto di lavoro in uno dei call center più conosciuti: la Sitel Italia Srl di Milano. Il sogno però è terminato, bruscamente, nei giorni scorsi tramite un comunicata ufficiale della società: "In Italia noi chiudiamo, riapriamo in Serbia. Questo significa che siete tutti licenziati", era in sintesi il messaggio, come scrive il Fatto Quotidiano. Duecento operatori che per più di dieci anni si sono occupati dell’assistenza telefonica di prodotti elettronici hanno così perso il posto. Troppo alti i costi dei loro compensi. Meglio trasferire tutto all'estero dove la retribuzione mensile di un assistente telefonico è pari a un terzo di quella di un italiano. “Con il fatto che l’italiano è la nostra lingua madre: da oggi in poi chi acquista un computer Hp o una stampante Toshiba dovrà affidarsi a un’assistenza serba da cui farsi dare indicazioni e a cui comunicare dati personali”, spiega Fabrizio Di Mauro, sindacalista Rsu/Sei, anche lui fra la schiera dei licenziati. “I vertici spagnoli si sono riuniti nella sede di via Montecuccoli: e mentre fuori dai cancelli i lavoratori protestavano con volantinaggi e striscioni chiedendo un reinserimento lavorativo, dentro gli uffici si è deciso di licenziare tutti. Per i sindacati non c’è stata possibilità di mediazione”.

La situazione ha cominciato a farsi critica da maggio 2013, quando i dipendenti della Sitel hanno potuto contare solo sulla cassa in rotazione. Questo fino a dicembre. Ma da gennaio 2014 le cose sono cambiate ancora: i vertici rinunciano all’aiuto statale e tutti gli operatori telefonici vengono messi in aspettativa retribuita a spese dell’azienda: “Dopo la comunicazione ci è stato impedito il rientro lavorativo in ufficio. E mentre noi eravamo costretti a casa i vertici Sitel hanno cominciato a delocalizzare l’intero apparato, spostando tutte le commesse in un centro multilingue della capitale serba. Hanno iniziato con la Hp, per poi aprire anche a Toshiba e Bosch. Su 182 solo 26 lavoratori che si occupano dell’assistenzaLG sono rimasti a Milano, ma solo ed esclusivamente perchè Sitel ha ceduto un ramo d’azienda”.

Il motivo è niente più che economico: “Se un operatore telefonico a Milano costa 1200 netti e in Serbia, Bulgaria, Romania non più di 400 al mese, l’azienda sceglie i 400 euro serbi, bulgari o romeni. Ma questo meccanismo nel tessuto sociale porta a danni irreparabili. Basti guardare agli Stati Uniti che da almeno vent’anni spostano i call center da un paese povero all’altro, prima in India, poi in Thailandia, sempre alla ricerca del prezzo minore”, racconta al Fatto Filippo Da Ros, contratto a tempo indeterminato da 3 anni e che oggi, all’indomani del licenziamento, si ritrova a dover pagare il mutuo e mantenere una famiglia. Come lui molti altri sono in mezzo a una strada. “Gli operatori della sede milanese sono tutti padri di famiglia fra i 35 e i 45 anni, persone che sono a metà della propria vita lavorativa e per cui oggi trovare un altro impiego non sarà facile”.

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