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Boss mafioso finalista al Premio Sciascia, si dimette un giurato

Indigna la candidatura in finale al premio siciliano del romanzo Malerba, scritto dell’ex boss della Stidda Giuseppe Grassonelli con il giornalista Carmelo Sardo. Si dimette lo storico giurato Gaspare Agnello.
A cura di Angela Marino
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La pietra dello scandalo che indignato la giuria del prestigioso premio siciliano al punto da indurre lo storico giurato Gaspare Agnello a dimettersi si chiama Malerba ed è stato scritto a quattro mani da Carmelo Sardo e Giuseppe Grassonelli: giornalista il primo, killer di mafia il secondo. Il romanzo finalista al Premio Sciascia racconta la storia dell'ex capo della Stidda da quando ha iniziato a uccidere per vendicare la famiglia, fino all'ascesa al comando dell'organizzazione, tracciando, insieme all'allora giovane giornalista Carmelo Sardo, un quadro vivido della Sicilia degli anni Ottanta. In finale a contendersi il premio ci sono anche Salvatore Falzone, con Piccola Atene e Caterina Chinnici, la figlia del giudice Rocco Chinnici, assassinato per ordine dei capi mafiosi, con È così lieve il tuo bacio sulla fronte. 

La storia di Grassonelli è quella di un giovane siciliano che, dopo aver visto i cadaveri dei suoi parenti crivellati di colpi, nel terrore e nella consapevolezza che prima o poi sarebbe toccato a lui,  prende il potere e comincia ad ammazzare uno ad uno i capi-clan. Oggi, il pluriomicida che sconta una condanna all'ergastolo si dice pentito delle sue scelte. Pur affermando di non volere tentare nessuna apologia della sua vita, l'ex boss si giustifica: "Vi chiedo di riflettere su quegli anni ‘80, quando dei valorosi magistrati siciliani furono costretti ad abbandonare la Sicilia per potere istruire un processo. A quale Stato avrei dovuto rivolgermi a quello che già scappava per conto suo?".  

"È possibile che un ergastolano che si è macchiato di crimini efferati partecipi a un premio letterario di cui sono stati protagonisti Sciascia, Consolo e Bufalino?" stigmatizza il giurato dimissionario. "Io penso di no" fa seguito "perché il libro racconta la verità di Grassonelli che non è neppure collaboratore di giustizia e che le sue vittime non possono contestare. Grassonelli tenta una velata giustificazione delle sue azioni che continua a chiamare atti di guerra e non assassinii di mafia. Ciò lancia una cattiva luce sul libro. E dargli il premio, nato come strumento culturale di riscatto del Sud, ma che da oggi non può più fregiarsi del nome di Sciascia, sarebbe un'offesa alla tante vittime. Che sconfitta per la cultura…"

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