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Addio a Trisha Brown, leggendaria coreografa della Post Modern Dance americana

Dopo anni di sofferenza è morta nella texana Sant’Antonio l’ottantenne coreografa americana Trisha Brown. Ha condotto la danza contemporanea fuori dai teatri per arricchire i musei, le gallerie d’arte e finanche le pareti dei grattacieli di Manhattan.
A cura di Massimiliano Craus
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Trisha Brown
Trisha Brown

Se n'è andata dopo anni di sofferenza la geniale Trisha Brown, coreografa d'altri tempi ma soprattutto d'altra fattura artistica e culturale. Eh sì, il lutto della texana Sant'Antonio va ben oltre il feretro della leggendaria coreografa americana. Oggi il mondo intero piange una donna che ha davvero scompaginato i canovacci della danza, auspicando nuovissime accezioni per l'universo coreutico con una serie di innovazioni nelle coreografie, nei contenuti e finanche nei costumi, nelle location e nelle scene. In questi giorni ci piacerebbe ricordare Trisha Brown per l'immane contributo offerto all'arte, e non solo a quella tersicorea. Sarebbe troppo superficiale e riduttivo ricordarla per “Set and Reset” del 1983, realizzato su musica di Laurie Anderson e scenografia di Robert Rauschenberg, né per la telecamera accollata all'altro geniaccio di Michail Baryshnikov nel suo spettacolo “Past Forward”, né tantomeno per quell'assolo inscenato al Festival di Montpellier disegnando contemporaneamente a terra con un carboncino. Quelle linee riportate sul grande pannello bianco sono state poi esposte in una sala della Cité Internationale de la danse di Montpellier!

Trisha Brown è stata ospite finanche al Teatro di San Carlo di Napoli, in verità mai un teatro così all'avanguardia per saper ospitare il fenomeno a stelle e strisce della coreografa di Aberdeen. La "Carmen" sua e di Lina Wertmuller non fu evidentemente ancora capita ed il pubblico napoletano di trenta lunghissimi anni fa rispose con bordate di fischi ed offese di ogni genere. Oltre alla malcapitata "Carmen" irruppero "Lateral Pass", "Opal Loop" e lo straordinario "Set and Reset" che, a chiusura di serata, riappacificò gli animi di loggione e platea che fino a pochi minuti prima contestavano od applaudivano con impeto.

La Post Modern Dance americana è dunque nata tra le braccia sottili di Trisha Brown. Avviata la propria poliedrica formazione con Martha Graham, Merce Cunningham e Jose Limon, l'allora giovane sperimentatrice artista si è cimentata con la danza jazz e con il tip-tap per arricchire ulteriormente il proprio stile in divenire. Fino a teorizzare una danza verticale in contrasto con le leggi di gravità poi allestito per la prima volta nel 1968 con "Planes" di cui si conservano testimonianze nelle esercitazioni del "Walking on the Wall" del 1971 al Whitney Museum di New York. Del resto Trisha Brown amava spostare il baricentro della danza in ogni dove, ridimensionando il repertorio ed il teatro classico appannaggio di una nuova sensibilità coreutica che appartenesse davvero a tutti.

Trisha Brown
Trisha Brown

Dopo aver fondato la sua omonima compagine nel 1970, Trisha Brown radicalizza il proprio lavoro rinunciando spesso alla musica ed alle scene, spingendo i propri interpreti verso una sensibilità ed una raffinatezza di movimento sconosciuta a tanti suoi colleghi contemporanei. Tutto il secondo Novecento è stato più o meno indotto ad amarla o scalzarla dal proprio repertorio. Il Teatro dell'Opéra di Parigi e la Francia intera hanno prodotto numerosi titoli della coreografa di Aberdeen, a differenza di tanti altri maggiori ensemble più restii ad includerne stile e contenuti davvero d'avanguardia. Del resto sin da quando era ancora una ballerina Trisha Brown amava radicalizzare i propri movimenti, coinvolgendo equamente gambe, braccia, collo e testa per un'armonia che andasse ai limiti della fisica.

Purtroppo l'Alzheimer se l'è portata via. Già nel 2012 la coreografa aveva ufficialmente annunciato l'addio alle scene, lasciando alla propria compagnia il destino delle sue opere e del suo verbo artistico e culturale. Proprio perché ci ha lasciato una donna di grande carisma, con un repertorio che va al di là dei titoli e dei palcoscenici. Purtroppo l'edizione 2016 della Biennale di Venezia-danza ha visto scorrere solo tra i titoli di coda il nome dell'ottantenne geniale e visionaria artista di Aberdeen, un nome che evidentemente ha scritto pagine tra le più importanti della storia del repertorio della danza contemporanea e di cui si faticherà davvero parecchio a doverne fare a meno.

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