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Accordo fatto tra Grecia e creditori internazionali. O forse no

Ci siamo: l’accordo tra Grecia e creditori internazionali è stato raggiunto. Forse. O forse no. Una giornata ricca di voci e smentite fa volare i titoli delle banche greche, ma potrebbe essere un fuoco di paglia…
A cura di Luca Spoldi
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Se non siamo all’aggiottaggio, poco ci manca: il diffondersi di voci relative ad un’ipotesi di accordo, per ufficializzare la quale mancherebbe solo l’avvallo del Fondo monetario internazionale (Fmi), tra la Grecia e il “gruppo di Bruxelles” (noto anche come “troika”, ossia i creditori internazionali di Atene: Ue-Bce-Fmi), fa letteralmente schizzare al rialzo i titoli finanziari europei sul finale di giornata facendo bene in particolare alle banche greche, come Eurobank (+10,29%), Alpha Bank (+9,2%) e Piraeus Bank (+8,4%), per la gioia del fondo hedge statunitense Paulson & Co (che ora pare interessato all’aumento da 3 miliardi di euro di Mps, partito lunedì), che lo scorso anno investì in tutti e tre gli istituti.

Per non essere da meno a Milano, dove la borsa ha chiuso in rialzo di oltre il 2%, Mps ha recuperato il 4,04%, Ubi Banca il 3,73%, Unicredit il 3,68%, Mediobanca ha chiuso a +3,41% e Intesa Sanpaolo a +3,38%. Poco meno di 3 punti di guadagno anche per Bpm e Bper, mentre tra le mid cap brilla Credito Valtellinese (+3,28%), davanti a Banca ifis (+3,17%). In controtendenza solo Banca Carige, in attesa del lancio dell’aumento da 850 milioni di euro che potrebbe partire l’8 giugno con uno sconto tra il 30% e il 35% rispetto al Terp (il prezzo teorico del titolo dopo lo stacco del diritto per partecipare all’aumento). L’accordo di cui hanno parlato le agenzie di stampa nel pomeriggio citando fonti governative greche dovrebbe vedere inclusa la riforma dell’Iva, un pacchetto di investimenti e l’alleggerimento del debito a lungo termine, ma non prevederebbe tagli a pensioni salari.

Detta così suonerebbe un compromesso molto buono per Alexis Tsipras, meno per Angela Merkel, così l’attenzione si è subito spostata su Bruxelles e Berlino. Smentite ufficiali non ne sono arrivate, ma lo stesso Tsipras si è visto costretto, per l’ennesima volta, a correggere il tiro: per il premier greco si sarebbe “vicini a un’intesa” coi creditori internazionali, nulla più. E quando un funzionario ha ulteriormente precisato che il gruppo di Bruxelles avrebbe (al più) iniziato le procedure per delineare un accordo a livello tecnico, altri funzionari europei hanno stavolta smentito le affermazioni definendole “illusioni”. Per essere ancora più chiaro, il Commissario Ue per l’euro, Valdis Dombrovskis, ha dichiarato: “Non ci siamo ancora”, aggiungendo che si sta “lavorando per (trovare) un accordo più velocemente possibile” ma che “sostanzialmente abbiamo già un mese di ritardo rispetto al calendario” che ci si era dati, altro che accordo a portata di mano.

Con circa 1,6 miliardi di euro di aiuti Fmi da rimborsare entro giugno (la prima rata da 312 milioni di euro dovrà essere rimborsata già il 5 giugno), Alexis Tsipras sembra sempre più preso tra due fuochi: da un lato deve cercare di aprire uno spiraglio nel muro dei “nein” pronunciati dai partner europei alle richieste di ammorbidimento delle condizioni a cui dovrà sottostare la Grecia per ottenere l’ultima tranche di aiuti (7,2 miliardi) in parte necessari a rimborsare una quota di quelli in scadenza, e convincere tutti che con un debito che ha già una durata media di oltre 30 anni tanto vale renderlo anche formalmente un bond “irredimibile” (il che non significa che non verrà mai più rimborsato, solo che tale debito e i titoli di credito collegati non avranno più una scadenza obbligatoria: si tratta di quelli che in America sono definiti “perpetual bond” a cui ricorse persino il Regno d’Italia nel 1935).

Dall’altro alto Tsipras deve smarcarsi dall’ala più “a sinistra del suo partito, Syriza, che periodicamente torna a soffiare sul fuoco “minacciando” di non rimborsare i prestiti del Fmi o una parte di quelli della Bce. “Sparate” che certo non sono state accolte troppo bene e potrebbero spiegare la freddezza con cui, sempre secondo fonti greche, lo stesso Fmi avrebbe reagito alla “ipotesi di accordo tecnico”. La realtà è che il tempo sta inesorabilmente scivolando via e che la crisi greca potrebbe essere utilizzata come un “esperimento” su piccola scala per cercare di capire cosa accadrebbe se un domani altri stati, come Spagna o Italia, dovessero nuovamente finire sotto le tensioni che sperimenta in questi mesi Atene. Non sarà un caso che Wolfgang Schaeuble, coriaceo ministro delle Finanze tedesco, finora fieramente contrario a ogni ipotesi di “Grexit” (uscita di Atene dall’euro) ha iniziato a dire che “non se la sente” più di escludere quanto meno l’ipotesi di un default oppure di una soluzione alternativa alla permanenza piena della Grecia nell’euro.

Il problema a cui si torna è sempre lo stesso da quattro anni ormai: l’economa greca ha sofferto la crisi del debito sovrano prima e non ha tratto beneficio dalla “cura tedesca” poi anche perché tale cura serve, se serve, a rilanciare un’economia attraverso una deflazione interna che ne renda competitive le esportazioni, ma la Grecia esporta poco o nulla (salvo il settore turistico) e così ogni tentativo di taglio della spesa o di incremento delle imposte rischia solo di produrre nuove fughe di capitali. Potrebbe dunque essere necessario introdurre, come fatto per Cipro, una serie di controlli sui capitali, finanche, come prospettato dallo stesso Schaeuble, introdurre una doppia valuta: l’euro per i pagamenti da e per l’estero, una “nuova dracma” o un “euro debole” o come lo si voglia definire per i pagamenti interni.

Anche in questo caso l’idea in sé non è nuova, anzi la Cina vive da decenni con una doppia valuta (il reminbi per gli scambi interni, lo yuan per quelli con l’estero), ma rischia di costare carissimo ai greci, che si troverebbero con in mano una moneta svalutata del 30%-40% (altrimenti non avrebbe senso metterla in circolazione) senza dover lasciare formalmente l’euro. A voler essere maliziosi questo è niente altro che un “esperimento sociale” su piccola scala di quello che sarebbe l’introduzione di una doppia circolazione all’interno della stessa zona euro, con i paesi del Sud Europa che si ritroverebbero in tasca dalla notte al giorno un euro “debole” e la Germania e i suoi satelliti del Nord con in mano un euro “forte” (o un “nuovo marco” se preferite).

Sembrerebbe anche, ad essere ancor più maliziosi, un cappio al collo a tutte le economie del Sud Europa (e di quella greca in particolare, con buona pace di chi pensava che il tentativo di far sponda con la Russia avrebbe procurato qualche vantaggio ad Atene), a vantaggio di quelle del Nord Europa. Ma che l’idea di Europa così come l’avevano concepita i padri fondatori dell’Unione Europea nel secondo dopoguerra possa ancora dirsi valida, a quel punto, sarebbe più che una scommessa una “illusione”, probabilmente. Un timore che persino un economista (e politico) prudente come Mario Monti è sembrato condividere nelle sue ultime esternazioni televisive.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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