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Torino: a processo Amira, la madre della “sposa bambina” di origine egiziana

La figlia della donna si era confidata con una compagna di classe, spiegandole che dopo pochi giorni avrebbe dovuto partecipare alla sua festa di fidanzamento con un ragazzo di 10 anni più grande che non aveva mai visto,
A cura di Davide Falcioni
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Amira, la donna di origine egiziana ma residente a Torino e accusata dalla figlia Rashida di averla quasi costretta a sposare un uomo di 10 anni più grande di lei, dovrà subire un processo. Il pubblico ministero Dionigi Tibone aveva chiesto il rinvio a giudizio stamattina, davanti al giudice del tribunale di Torino; la difesa della donna, sostenuta dall'avvocato Luca Gugliemotto, invece, aveva chiesto il proscioglimento. Il giudice per l'udienza preliminare ha deciso che la donna dovrà essere processata fissando la prima udienza per il luglio 2019. "Sono preoccupata, ho paura di non rivedere più a casa la mia bambina e lei vuole tanto tornare", ha spiegato Amira allarmata.

Sono pesanti le accuse nei confronti della donna. Quando la figlia si era confidata con una compagna di classe, spiegandole che dopo pochi giorni avrebbe dovuto partecipare alla sua festa di fidanzamento con un ragazzo di 10 anni più grande che non aveva mai visto, erano iniziate le indagini della polizia del commissariato Barriera di Milano. La giovane non era più tornata a casa ma era stata data in affidamento ad una comunità della quale è ospite ancora oggi. "Ma lei vuole tornare a casa", ribadisce la madre. La ragazzina aveva raccontato episodi di violenza e vessazioni psicologiche. "Tu non sei niente", le diceva, secondo questi racconti, sua madre, che in un'occasione l'avrebbe frustata con il cavo del televisore. Parte di quelle accuse erano state ritrattate durante un'audizione protetta della ragazzina voluta dal pm: "Mi sono inventata tutto", aveva detto Rashida. Ma la procura non le aveva creduto, disponendo nuovi accertamenti.

Amira, assistita dal suo legale Luca Guglielmotto, intanto ha potuto vedere la figlia ogni dieci o quindici giorni, sempre in ambiente protetto, sotto lo sguardo attento degli assistenti sociali. "Dice che mi vuole bene e piange tutto il tempo", ha raccontato la donna. Ogni tanto a questi incontri partecipa anche il fratello di Rashida, che ha 13 anni ma si comporta come un adulto dopo la morte del padre: è lui ad accompagnare la mamma quando la donna ha bisogno dell'aiuto di un'interprete. A casa di Rashida vivono anche le sorelline più di 4 e 6 anni.

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