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Perché crediamo che se ci comportiamo bene saremo premiati: uno studio spiega la nostra fede nel karma

Un po’ per religione e un po’ anche perché fa comodo, in tanti crediamo al karma: entità che giudica buoni e cattivi premiando i primi e punendo i secondi.
A cura di Giusy Dente
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Sarà il karma! Quante volte abbiamo pronunciato questa frase per spiegarci cose a cui razionalmente non sapremmo dare collocazione? Nel bene e nel male, siamo portati a chiamare in causa questa entità misteriosa, a cui affidiamo il compito di giudicare i buoni e i cattivi, premiando i primi e punendo i secondi. In realtà questo concetto ha radici più profonde di questa semplificazione. Deriva dalla cultura indiana: è il complesso di azioni compiute da ogni individuo, che determineranno poi la collocazione gerarchica nella vita successiva. Una sorta di causa-effetto insomma, che ritroviamo ad esempio nelle dottrine induiste, che hanno una filosofia molto spirituale. Ma il karma è un elemento centrale e fondamentale anche della fede gianista, nonché principio fondante del buddismo: tutte religioni che credono nella reincarnazione. Secondo un nuovo studio pubblicato da poco dall'American Psychological Association sulla rivista Psychology of Religion and Spirituality, sono in tantissimi a credere al karma, convinti che l'universo agisca in qualche modo come giudice.

I risultati dello studio sul karma

L'autrice principale dello studio è Cindel White, professoressa associata presso la York University di Toronto, specializzata nello studio delle interazioni tra psicologia e spiritualità. I ricercatori hanno coinvolto più di 2.000 persone di diversa fede religiosa (atei compresi) provenienti da Stati Uniti, Singapore e India, per ottenere un'ampia gamma di background culturali. Hanno chiesto di descrivere le loro esperienze con il karma ed è emerso un filo conduttore comune a tutte le loro risposte.

Di base per tutti le buone azioni vengono ricompensate e quelle cattive punite. Il 59% dei partecipanti ha collegato le buone azioni commesse a ricompense ottenute in seguito. Allo stesso modo, parlando invece degli altri e non più di se stessi, addirittura il 92% ha raccontato delle sfortune per così dire "meritate" capitate a partner infedeli, bulli e colleghi pessimi. La professoressa White ha commentato: "Pensare al karma permette alle persone di prendersi il merito personale e di provare orgoglio per le cose positive che accadono loro, anche quando non è chiaro esattamente cosa abbiano fatto per ottenere quel risultato positivo. Ma permette anche di considerare la sofferenza altrui come una giustificata punizione".

Scorrendo alcune delle risposte dei testimoni, infatti, si legge:

Credo fermamente nel fare donazioni benefiche a chi ne ha bisogno, non importa quanto piccole. Farlo mi ha portato grandi benefici e a volte ha portato persone a farmi favori senza chiedermelo.

E ancora:

Conoscevo un tizio che era sempre maleducato e crudele con tutti; non ha mai fatto niente di carino in tutta la vita. Gli è stato diagnosticato un cancro e non ho potuto fare a meno di pensare che fosse karma.

Questi risultati dicono molto della nostra società, sono una finestra sul nostro modo di guardare il mondo e le persone, dividendole in buoni e cattivi. Ma con una differenza. Dai risultati, infatti, è emersa qualche discrepanza tra gli intervistati occidentali e quelli non occidentali. Questi ultimi hanno mostrato una minore propensione all'auto-affermazione. "Abbiamo riscontrato modelli molto simili in diversi contesti culturali: i campioni occidentali, dove sappiamo che le persone spesso pensano a se stesse in modo esageratamente positivo e i campioni provenienti dai Paesi asiatici, dove le persone sono più propense all'autocritica. Ma in tutti i Paesi, i partecipanti erano molto più propensi ad affermare che altre persone subiscono punizioni karmiche mentre loro ricevono ricompense karmiche" ha spiegato l'autrice dello studio.

Cosa sono i bias di attribuzione

Il bias di attribuzione è un errore cognitivo in cui si cade quando si cerca di dare risposta a dei comportamenti umani. Si tende attribuire internamente la causa di quel comportamento, senza dare la giusta valenza a fattori incisivi come il contesto, l'influenza dell'ambiente circostante, i pregressi. Lo studio della professoressa White identifica infatti la tendenza a considerarsi meritevoli di buona fortuna, anche in assenza di cause dirette: è una forma di bias di attribuzione.

Patrick Heck, psicologo ricercatore presso il Consumer Financial Protection Bureau (non coinvolto nello studio) ha commentato alla CNN: "La teoria dell'attribuzione e i bias di attribuzione sono l'idea generale secondo cui le persone attribuiscono a loro o ad altre persone determinate cose che accadono in base a ciò che le fa sentire bene con se stesse". Inconsciamente (chiamando in causa un altro concetto caro alla psicologia) si va a promuovere la propria autostima: è una strada per superare le difficoltà, un modo per sentirsi più forti, che rischia però di distrarre da alcuni fattori, come riconoscere il contributo degli altri o i fattori esterni di quel determinato successo.

La logica del premio-punizione ci dà l'illusione di vivere in un mondo giusto: e tutti abbiamo bisogno di credere che sia così, che tutto abbia un senso, che ci sia una ragione per ciò che ci accade. Ecco perché abbiamo anche bisogno di credere che i cattivi vengano puniti per la sofferenza che provocano con altrettanta sofferenza. "Cose casuali accadono continuamente alle persone. E sappiamo da molte ricerche in psicologia che le persone fanno fatica a conciliare la casualità nelle loro vite – ha spiegato Heck – È molto interessante voler avere una storia o una spiegazione del perché ad alcune persone accadono cose belle e ad altre cose brutte. Penso che il karma sia un modo davvero ben confezionato che ha trovato posto nella religione e in altri sistemi di credenze".

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