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La crisi di Asos: perché il sito simbolo degli anni Dieci ha perso la sua identità

Il retailer online sta attraversando un periodo di grande difficoltà: com’è passato dall’essere il sito di riferimento degli anni Dieci alla crisi di oggi.
A cura di Arianna Colzi
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Un negozio asos
Un negozio asos

Il sito di e-commerce britannico Asos, popolarissimo fino a qualche anno fa, sta attraversando una crisi mai affrontata prima d'ora. Diversi articoli del Guardian hanno evidenziato anche il crollo di popolarità dell'azienda, che ha registrato anche un crollo qualitativo nei capi che vende. Le difficoltà, però, sono da imputare a diversi fattori, tra cui il riposizionamento che l'azienda sta cercando di mettere in atto da diversi anni per far fronte al calo delle vendite.

Una campagna Asos
Una campagna Asos

Come nasce Asos

Asos nasce più di vent'anni fa con l'obiettivo, intuibile anche dall'acrononimo Asos – As Seen On Screen, di vestire le generazioni più giovani offrendo loro i capi che vedevano in tv . Le generazioni, però, cambiano e i ventenni di oggi non sono più quelli di inizio millennio. Per esempio, la Generazione Z è molto sensibile riguardo ai temi del riscaldamento globale e degli abiti second hand: per questo da un marchio prettamente fast fashion, Asos sta cercando di riposizionarsi assecondando le istanze di una generazione che vuole ridurre gli sprechi al minimo.

Un abito knitwear in vendita su Asos
Un abito knitwear in vendita su Asos

Come riportato dal Guardian, Asos ha aderito al Textiles 2030, un patto per l'ambiente lanciato dall'organizzazione non governativa Wrap. Le aziende che hanno siglato l'accordo hanno ridotto l'impatto delle emissioni di carbonio dei loro prodotti tessili del 12% e dell'acqua del 4% (su base per tonnellata) tra il 2019 e il 2022.

Un negozio Asos
Un negozio Asos

Tuttavia, secondo il rapporto, questo risultato è stato vanificato da un aumento del 13% dei prodotti tessili venduti: in sostanza, il tentativo delle aziende come Asos di essere più sostenibili è risultato un buco nell'acqua, visto che l'aumento delle vendite ha fatto aumentare la produzione. L'aumento dei tassi di produzione, infatti, ha fatto sì che l'uso complessivo di acqua sia aumentato dell'8% nel periodo, mentre la riduzione delle emissioni di carbonio si è attestata appena al 2%.

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La crisi identitaria di Asos

Dunque, il tentativo di risultare più ecosostenibile ha lasciato Asos in mezzo a una vera e propria crisi d'identità. La compagnia britannica sta affrontando un crollo delle vendite del 15% nell'anno in corso. Le difficoltà economiche sono iniziate negli ultimi anni, poco prima della pandemia, quando Asos aveva puntato sull'athleisure, ossia quell'abbigliamento sportivo un po' comfy che poteva essere indossato anche in altre occasioni: felpe con cappuccio, joggers e leggings. Il design dei capi di Asos era riconoscibile e perfino invidiabile.

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Durante gli anni Dieci, Asos non era solo un semplice sito di e-commerce ma era una realtà influente anche nel mondo della moda londinese. Il mood che si respirava era una ventata di novità rispetto agli altri e-commerce e i suoi prezzi erano convenienti senza andare a discapito della qualità dell'offerta: ora, invece, brand fast fashion e low-cost come Boohoo, Missguided o Pretty Little Thing rappresentano la maggior parte dei capi in vendita, rivelando  l'identità debole del sito inglese.

La sezione di Asos dedicata a Top Shop
La sezione di Asos dedicata a Top Shop

A rendere ancora più gravosa la crisi di Asos ha contribuito l'acquisto da parte del sito inglese di un altro marchio britannico: Topshop. L'acquisto di Topshop, altro brand florido negli anni Dieci del Duemila, si è rivelato un fallimento visto che le previsioni di vendita non si sono rivelate quelle attese. Il punto, come riporta il Guardian, è che Asos avrebbe dovuto rilanciare anche il design e l'identità di Topshop, cosa che non è riuscita a fare.

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In questo panorama già piuttosto difficile si sono inseriti brand fast fashion come Shein e Temu che hanno reso i prezzi già molto convenienti di Asos per niente competitivi: il tutto agli occhi di quello spicchio di clientela che continua a privilegiare il costo del prodotto più che la sua sostenibilità o quella del lavoro che serve a realizzarlo.

E qui torniamo alla scelta di Asos di puntare su collezioni sostenibili o circolari con scarsi risultati, anche perché è ancora evidente il numero impressionante di collezioni prodotte dal brand. Un'eccesso di produzione che non si sposa con il tentativo di risultare sostenibile. Dunque, l'unica scelta per rimanere a galla per Asos sembra essere quella di imboccare una sola corsia e percorrere una direzione coerente e univoca.

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