Dovresti smettere di leggere solo brutte notizie: la psicologa spiega i rischi del doomscrolling

Il doomscrolling è entrato nel linguaggio comune per descrivere quel gesto apparentemente innocuo di scorrere il telefono alla ricerca di notizie, che però si concentra nella ricerca incessante di un flusso di notizie negative, creando un circolo vizioso che può diventare alla lunga nocivo per la saluta mentale. Un’abitudine che, come spiega Marzia Targhettini, psicologa psicoterapeuta, tesoriera Ordine degli Psicologi della Lombardia, si è intensificata in periodi come la pandemia e che oggi coinvolge un pubblico sempre più vasto, alimentata da algoritmi costruiti per mantenere viva l’attenzione e da un naturale bias negativo. Restare informati diventa così un tunnel che amplifica ansia, pessimismo e dipendenza. Abbiamo parlato con la dottoressa Targhettini per cercare di comprendere come nasce il circolo vizioso del doomscrolling, quali rischi comporta e quali strategie possono aiutare adulti e i giovani a recuperare un rapporto più sano con i social.
Che cos’è il doomscrolling e come si manifesta nella vita quotidiana?
Il doomscrolling è un’abitudine compulsiva che porta a scorrere incessantemente notizie con contenuti negativi. Può generare ansia e malessere, soprattutto perché nasce dal tentativo di rimanere costantemente informati su eventi percepiti come minacciosi. È un comportamento che si è amplificato durante la pandemia e poi in seguito dalle notizie delle guerre, che hanno alimentato il bisogno continuo di cercare aggiornamenti.
Perché entriamo in questo circolo vizioso?
Alla base c’è un meccanismo psicologico: le notizie negative ci preoccupano e, per calmarci, cerchiamo di ottenere un quadro più preciso della situazione. Questo tentativo di controllo è però illusorio. Più cerchiamo informazioni negative per rassicurarci, più l’ansia aumenta.
Che ruolo hanno gli algoritmi e le notifiche in questo processo?
Gli algoritmi potenziano il circolo vizioso perché interpretano ogni ricerca come un segnale di interesse, riproponendo notizie simili anche quando non le cerchiamo. Le notifiche, poi, attirano l’attenzione con titoli sensazionalistici e alimentano la paura di perdere qualcosa. È un meccanismo che induce la sensazione di dover controllare continuamente per non rimanere indietro.
Quali effetti psicologici può avere questo fenomeno a lungo termine?
Sebbene manchino dati statistici certi, questo comportamento può distorcere la percezione della realtà, rendendola più pessimistica. Restare immersi in una sequenza continua di notizie negative può far vedere il mondo come un luogo pericoloso e privo di aspetti positivi, con un impatto significativo soprattutto su chi è più sensibile.
In che modo influisce su ansia, stress e depressione?
Nelle persone già più sensibili o con un quadro depressivo, la ricerca continua di notizie negative può aggravare i sintomi, anche perché spesso ci si imbatte in informazioni non verificate o fake news che peggiorano la visione del mondo. Il processo è rinforzato da un rilascio dopaminergico: ottenere quella notizia genera una gratificazione immediata che spinge a cercarne ancora.
Perché il nostro cervello è così attratto dalle notizie negative?
Esiste un bias della negatività di origine evolutiva. Il cervello è programmato per prestare maggiore attenzione alle minacce, un meccanismo ereditato dai nostri antenati che avevano bisogno di riconoscere rapidamente i pericoli per sopravvivere. La tecnologia, invece, è evoluta molto più velocemente della mente umana: siamo ancora "tarati" per un mondo naturale, non per lo stimolo costante dei social.
Il doomscrolling può manifestarsi anche al di fuori dei social?
Sì, anche se sui social è più frequente perché lo scrolling infinito elimina ogni interruzione. Anche telegiornali e siti di informazione possono incoraggiare la ricerca compulsiva di aggiornamenti, ma richiedono un’azione più frammentata, cambiare canale, cercare una pagina, e quindi sono meno progettati per mantenere l’attenzione come fanno le piattaforme digitali.
Quali strategie pratiche possono aiutare a ridurre il doomscrolling?
Una delle strategie più efficaci è pianificare momenti precisi in cui utilizzare i social. Non eliminarli del tutto, perché spesso non funziona, ma stabilire brevi sessioni controllate, ad esempio cinque minuti ogni una o due ore, interrotte da un timer. In questo modo il comportamento passa da compulsivo a pianificato.
Come si può educare i più giovani a un uso più consapevole dei social?
Per gli adulti è più semplice riconoscere l’insorgere di una dinamica disfunzionale, perché hanno vissuto un “prima e dopo”. I giovani invece vivono un mondo in cui i social sono sempre esistiti e possono non accorgersi dei rischi. Per questo è fondamentale lavorare sull’educazione digitale, creare consapevolezza e ristabilire il contatto con la realtà, anche attraverso semplici momenti di interazione diretta tra coetanei.
Il digital detox può essere davvero utile?
Il detox totale può servire solo quando si raggiunge una condizione di intossicazione, ma non risolve il problema alla radice. Se al rientro si riprende a usare i social nello stesso modo, non cambia nulla. È più efficace imparare a maneggiare lo strumento senza diventarne vittime: essere padroni del proprio uso dei social, e non dipendenti da essi.