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Australian Open

Il video di Sinner e la borraccia è il segreto del successo: questo è il massimo del suo nervosismo

La freddezza dell’azzurro è stata una delle chiavi del successo contro il campione serbo. C’è un momento del match che ne è la riprova: più che uno scatto dovuto alla tensione, è stato un accenno di frustrazione per quel match point sprecato, perché aveva accarezzato il sogno di battere Djokovic per 3-0.
A cura di Maurizio De Santis
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Un colpetto a una borraccia e un'altra scagliata sulla panca. Appena un gesto di stizza. È durato un attimo il ‘nervosismo' di Jannik Sinner. Il tempo di un'imprecazione che gli è scoppiata dentro durante la pausa ed esplosa con quella mimica liberatoria.

Più che uno scatto dovuto alla tensione, è stato un accenno di frustrazione per quel match-point sprecato, perché aveva accarezzato il sogno di battere Djokovic per 3-0 in semifinale degli Australian Open dopo avergli inferto due sonori ceffoni all'autostima con un tremendo 6-1, 6-2. Lo avrebbe schiantato, sentiva di poterlo fare, che avrebbe chiuso il match in tre set (invece ha dovuto faticare ancora un po', fino al quarto) e l'avrebbe fatta finita lì perché contro Nole nulla puoi sbagliare.

C'era andato davvero vicino. Ma il terzo set gli è sfuggito al tie-break del 2-1 che ha rimesso in partita il serbo. Per Novak è stato come il canto del cigno, a Jannik ha dato la carica per tornare in campo e riprendersi tutto, subito, annichilendo ogni possibilità di rimonta dell'avversario portandosi sul 3-1 decisivo.

Chi pensava che quell'episodio potesse incidere sull'equilibrio psicologico dell'azzurro e segnare una svolta nel match s'è sbagliato. Il successo dell'alto-atesino è stato anzitutto ‘di testa', come si dice in gergo. Sembrava un robot impassibile, programmato per vincere. Niente avrebbe potuto scalfire la freddezza della personalità allenata anche a questo.

Del resto, ha avuto buoni maestri… a cominciare proprio dal tennista serbo di cui in passato aveva spesso sofferto i ‘trucchetti' di gioco, la tattica psicologica scandita da risate beffarde, perdite di tempo, gesti plateali, chiacchiere e contestazioni con gli arbitri e quant'altro possa far parte del repertorio di un campione che non è solo più forte sul campo e sulle gambe. Ma lo è anzitutto dentro. E te lo fa pesare.

Questa volta, no. Le cose sono andate diversamente. Jannik non è più il ragazzo-allievo al quale mettere un braccio intorno al collo come atto di bonaria consolazione. Aver battuto Novak già in altre occasioni di recente gli ha dato fiducia. E oggi Sinner è apparso una specie di terminator al quale spari addosso ma si fa nulla, si ricompone e riprende la caccia mentre l'avversario arranca e si lascia sopraffare dall'angoscia.

La racchettata data da Djokovic per rabbia a un microfono ambientale durante un cambio di campo ne è stata la riprova tangibile. Lo hanno visto tutti: da un lato Jannik che sbaglia un punto ma tira dal cilindro un colpo da grande tennis, sia nello scambio oppure servendo un ace micidiale; dall'altro il numero al mondo scioccato e dominato, la tigre ferita che s'agita e ruggisce ma sente che sta per essere sopraffatta.

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L'ultima volta che aveva perso alla Rod Laver Arena era stato nel 2018, quando Sinner (attuale n°4 al mondo) nemmeno immaginava fin dove sarebbe arrivato in carriera. Da quel momento Djokovic aveva messo ben 33 tacche di vittorie consecutive sul muro. Oggi ci ha tirato una riga sopra, inchinandosi alla superiorità del giovanotto che s'è fatto uomo e lo ha battuto.

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