Francesco Maestrelli: “Vita da tennista, mi alzo alle 7 e lavoro fino alle 18. Le spese sono grosse”

Francesco Maestrelli ha tutte le carte in regola per tentare il salto di qualità. Il 23enne toscano si è tolto delle belle soddisfazioni nel 2025 ed è pronto per provare a diventare una presenza costante nei tornei del circuito ATP dopo gli ottimi risultati a livello Challenger. Un ragazzo pulito e dai valori importanti che ha raggiunto la 138ª posizione in classifica chiudendo con il successo a Bergamo. Quello è stato uno step importante per la sua carriera, visto che si è trattato del primo trionfo sul cemento indoor.
Vuole crescere anche su questa superficie il ragazzone classe 2002 che a Fanpage si racconta con grande sincerità, parlando di lavoro quotidiano, programmazione, differenze tra Challenger e ATP, gestione fisica e mentale, ma anche delle difficoltà economiche e dei sacrifici legati al circuito. Il tutto soffermandosi anche sul legame con la famiglia e della sua passione per il Pisa.
Francesco, com’è andata l’off season e quali sono i tuoi programmi nell’immediato?
"Abbiamo iniziato a spingere subito forte. Andrò prima a Hong Kong, dove ci sarà il torneo ATP, e poi mi sposterò a Melbourne appena avrò finito per fare le qualificazioni degli Australian Open".
Hai chiuso con il botto trionfando nel Challenger di Bergamo, una stagione comunque importante. Cosa porti dietro, oltre ai meri risultati? Qual è la cosa che ti ha fatto acquisire più fiducia?
"Penso che questo sia un risultato che arrivi un po’ da lontano, nel senso che ci siamo dati fiducia sul cemento, una superficie che non mi aveva mai portato tanti risultati. Però stavamo vedendo che, giocandoci e lavorando molto anche sulle mie intenzioni, sull’essere un pochino più propositivo e sullo sfruttare anche la mia componente fisica, le cose potevano funzionare".

La tua fisicità infatti può rivelarsi un fattore importante sul veloce.
"Sono un giocatore alto, che serve molto bene ma che ama anche cambiare, muoversi, quindi potrebbe essere un’ottima combinazione per le superfici veloci. Ci siamo dati fiducia e abbiamo lavorato molto su questi aspetti. All’inizio i risultati arrivavano e non arrivavano: ho vinto qualche partita facendo vedere cose buone, ne ho perse alcune con aspetti non proprio positivi. Però poi, nell’ultima settimana stagionale, è andata in crescendo. Mi sono ritrovato a giocare a un livello veramente alto, non solo come sensazioni, ma proprio come qualità di gioco".
Su che cosa in particolare stai lavorando, in vista della prossima stagione?
"Stiamo lavorando sullo stabilizzare il servizio, che è un’arma che può essere veramente devastante se riesco a trovare sempre più continuità. Stiamo lavorando molto anche sul dritto, che a volte è il mio colpo un pochino meno naturale e che quindi, quando ci sono condizioni particolari, “balla” prima. In sintesi, dunque, si spinge sul servizio, sul primo colpo, sulla transizione, sul prendere più volte la rete. Comunque sono rapido, quindi se riesco a prendermi bene il campo e a essere un pochino più offensivo, a volte mettendo anche i piedi dentro al campo e guadagnandomi la possibilità della volée, riesco a portare a casa molti punti. Nonostante il mio gioco a rete possa essere migliorato tantissimo, sicuramente questi sono gli aspetti su cui stiamo lavorando: transizione, propositività e gioco offensivo".
Chi frequenta i Challenger si rende conto che esiste un livello di tennis altissimo anche fuori dal circuito principale. Voi giocate tutti benissimo, chi più chi meno, anche dal punto di vista estetico e qualitativo. Ma allora qual è la differenza? Cos’è che ti fa fare davvero il salto di qualità?
"C’è un livello, per me, incredibile: un giocatore stabile nei Challenger non ha nulla da invidiare, a livello tecnico, estetico e di efficacia, a un giocatore ATP. Chiaramente c’è una differenza in termini di continuità, di costanza e anche di abitudine a giocare partite di un certo tipo contro determinati avversari. Questa abitudine, appunto, credo faccia tutta la differenza del mondo".
Sicuramente la costanza di confrontarsi nei tornei ATP poi è un’altra musica per tanti motivi.
"Non è la stessa cosa avere 50 o 100 partite all’anno magari in stadi grandi, dove devi fronteggiare pressione e un ambiente diverso, rispetto a chi gioca spesso nei Challenger, che per quanto stiano crescendo restano a volte più piccoli. Lì è quasi più facile concentrarsi solo sul gioco e sui punti. Direi quindi questo: un giocatore ATP ha un livello più costante e si perde meno durante l’anno, mentre un giocatore Challenger rischia di avere un po’ più di alti e bassi".

A tal proposito, tu che sei in un periodo di transizione dai Challenger al circuito principale, hai sentito un cambiamento dei ritmi nel tennis? Da una parte Alcaraz, che si è lamentato, dall’altra Sinner, più pragmatico. Al di là di loro, qual è la tua esperienza?
"Io ho una carriera ancora molto breve. Nei due anni precedenti a questo ho sempre giocato tantissimo, rincorrendo i punti per entrare nelle qualificazioni Slam, che per noi rappresentano uno scalino enorme. Essere dentro o fuori cambia tantissimo, soprattutto dal punto di vista economico. Anche solo la partecipazione alle qualificazioni Slam ti permette di programmare la stagione e finanziare un’attività con delle persone al tuo fianco che ti aiutano".
Inevitabilmente però questo comporta delle scelte anche drastiche?
"Ho sempre giocato molto per rincorrere questo obiettivo, ma il proposito di quest’anno e dei prossimi è quello di abbassare un po’ il numero di tornei per potermi allenare e migliorare certe cose, che quando sei sempre in competizione non è facile fare. Il calendario è molto fitto: a volte ci sono tornei che, in certi momenti, sembrano stonare un po’. Ci sono settimane con pochissimi tornei e liste durissime, e altre con tornei meno competitivi. La classifica non fa il giocatore, ma c’è una differenza tra una entry list che chiude a 150 e un Challenger che chiude a 100: se non esistesse il ranking non sarebbe così. A me piacerebbe avere anche degli spazi durante l’anno in cui il circuito si fermasse un po’ per permettere di rifiatare, ma non mi schiero né da una parte né dall’altra (di chi si lamenta e chi dice che è tutto ok, ndr)".
Spesso si tende a vedere lo sportivo come una figura privilegiata. Quanto è dura in realtà la vostra vita?
"Il nostro sport non sempre è facile da capire. Le persone si fermano all’immagine: uno sport appariscente, bello da vedere. Ma è un lavoro a tutti gli effetti. Io la mattina mi sveglio alle sette e mezza, alle nove sono in palestra e finisco la sera alle sei. Non ha niente da invidiare a qualsiasi altro lavoro, con la differenza che noi lavoriamo con tutte le nostre energie, fisiche e mentali. È un lavoro come un altro, chiaramente noi lavoriamo con tutte le nostre parti, perché comunque ci vuole una componente mentale, una componente fisica, e ci portiamo anche un po’ al limite sotto questi aspetti qua".
E dal punto di vista economico?
"Chiaramente a livello economico, soprattutto quando uno riesce a ottenere determinati risultati, ne giova. Perché purtroppo, che si voglia o che non si voglia, questo sport qui richiede che tu vinca. Perché se tu vinci hai molti più soldi, hai un personaggio che comunque è sempre più in vista e puoi avere determinati altri vantaggi. Ti si apre un po’ il ventaglio dei benefit. Parlando per me, se faccio un paragone con i ragazzi della mia età, in media è normale che io abbia delle entrate ottime. Però quello che probabilmente le persone non sanno è che comunque abbiamo anche delle spese che sono grosse, perché comunque io ho un imprinting dato da un padre commercialista, quindi ho sempre i conti sotto mano. È come se volessi sempre tenerli in pari: cioè, se io spendo questo, devo avere questo".
Questo comporta anche dei rischi se i risultati non arrivano?
"Se tu non hai l’obiettivo del pareggio e non riesci a centrarlo, c’è il rischio di andare sotto se vuoi fare un’attività completa, con allenatore, preparatore, c’è tutto il rischio. È chiaro che poi, quando ottieni certi risultati, riesci a pagare tutto e riesci a sostenere certe spese. Però non dobbiamo neanche dimenticarci che comunque uno che è 150 del mondo, 200 del mondo, 100 del mondo deve comunque fare attenzione. Poi chiaramente, se parlo con quelli più in avanti in classifica, ci sono tanti soldi e stanno molto bene, come è giusto che sia. In sintesi, fra una cosa e un’altra stiamo bene, però non è che guadagniamo un milione di euro l’anno. Dobbiamo anche fare certe cose fuori dall’attività internazionale per provare a guadagnarci qualcosa e a finanziare tutto".
È difficile oggi non lasciarsi “contaminare” dal contesto, anche nello sport; tu però sembri riuscire a mantenere certi valori e certi affetti, nonostante distanze, viaggi ecc.?
"Io ho avuto un’educazione molto rigida, non dico severa, ma comunque i miei genitori mi hanno educato molto bene e ci tengono. Sin da quando ero più piccolo mi hanno sempre trasmesso l’importanza di avere un comportamento educato. Poi, anche di carattere, sono un ragazzo molto semplice: non ho bisogno di chissà cosa per essere felice, non ho uno stile di vita particolarmente impegnativo. Io mi sento uguale oggi a come ero cinque anni fa. È chiaro che la mia vita è cambiata, perché fare il professionista ti richiede di stare almeno 40 settimane all’anno fuori casa".
Mi sembri molto legato alla tua famiglia, con loro hai celebrato il successo a Bergamo?
"Il rapporto che ho con i miei genitori è un rapporto molto bello. Non sono un ragazzo molto estroverso, quindi l’affetto e l’amore che provo per i miei genitori e i miei parenti non sono uno che li dimostra molto a parole. Io l’affetto lo traduco nel condividere qualcosa di bello che sto vivendo. Per esempio, la finale a Bergamo: avevo piacere che la condividessimo insieme. Però non sono smielato, capito? Non è che abbraccio e bacio tutti. Però poi, quando vedo i miei genitori dopo un bel risultato, come è successo l’ultima settimana, mi commuovo. Perché non li vedo praticamente mai, loro non mi vedono quasi mai dal vivo, quindi condividere questi momenti è spettacolare".
Siamo in chiusura, ma non posso evitare una digressione calcistica. So che sei tifoso del Pisa e percepisco una certa sofferenza…
"Eh sì, come fai a non soffrire? È un periodo un po’ così, ma considerando anche le aspettative iniziali, non è andata male finora. Io spero che la lotta sia quella di soffrire fino alla fine, perché vorrebbe dire che stiamo lottando. Non vorrei che facessimo il fanalino di coda. C’è sofferenza perché, per forza di cose, la squadra — senza offendere nessuno — è inferiore a molte altre del campionato. La cosa che però mi rende molto felice è che il gruppo è unitissimo. Quando vedi giocare il Pisa, vedi undici che vanno tutti dietro al pallone insieme. Poi purtroppo la qualità degli altri spesso è superiore".
Sembri molto appassionato e competente.
"Non puoi capire quanto ci tenga a restare in Serie A: abbiamo aspettato 34 anni. Secondo me questo è l’anno in cui si tribola di più, perché la società ha fatto scelte forse non totalmente orientate alla salvezza, cercando anche giovani. Io avrei fatto un mix un po’ più esperto, ma mi auguro che alla fine ci salveremo. Almeno lottare fino in fondo. E poi il derby con la Fiorentina… mamma mia".
Ultima domanda: quali sono state la cosa più bella e la cosa più brutta del tuo 2025?
"La parte più brutta l’ho vissuta dopo l’infortunio: un periodo in cui ho fatto veramente fatica a esprimermi e sembrava quasi che fossi peggiorato. La parte più bella è chiaramente la fine dell’anno: il terzo torneo vinto in stagione, il modo in cui ho vinto, un’atmosfera a cui non sono abituato, 4.000 persone in uno stadio, con tutte le persone a cui voglio bene. Quella è sicuramente l’immagine più bella del mio 2025. A livello personale, la cosa più bella è stato l’amore che ho sentito durante tutto l’anno, la fiducia in me come persona, sia dalle persone con cui lavoro sia dalla mia fidanzata, soprattutto. Lei ha fatto un po’ da collante tra me e la mia famiglia, perché quando le cose non vanno bene tendo a chiudermi. La parte più brutta resta l’infortunio. È una fase che odio, ma fa parte del percorso".