video suggerito
video suggerito

Fabio Colangelo: “Sinner rispose a una domanda di Cahill su Fonseca e ci ha preso. Jannik lo sa”

Fabio Colangelo ai microfoni di Fanpage.it: giovani, aspettative e verità sul tennis moderno, con pareri sulle Next Gen, su Sinner, su Sonego e sul modo di raccontare il tennis in tv.
A cura di Marco Beltrami
0 CONDIVISIONI
Immagine

Fabio Colangelo è una delle voci più competenti e rispettate del tennis italiano. Allenatore, opinionista, commentatore televisivo per Sky e uomo di campo, negli ultimi due anni ha vissuto il circuito da dentro, seguendo da vicino Lorenzo Sonego e attraversando in prima persona i ritmi e le pressioni notevoli del tennis moderno. Con lui ai microfoni di Fanpage.it abbiamo parlato di tutto: dalle Next Gen (che Colangelo commenterà a partire da oggi su Sky) e dalle aspettative spesso fuori misura che gravano sui giovani talenti, al confronto inevitabile con l’era irripetibile di Federer, Nadal e Djokovic. Colangelo invita a recuperare memoria e cultura tennistica, a leggere i percorsi con equilibrio e a non confondere le eccezioni con la normalità.

Spazio poi a Jannik Sinner, alla sua forza mentale “fuori dal comune”, alla gestione di una stagione complessa e alla capacità di andare oltre le difficoltà. Ma anche al lavoro dietro le quinte, ai viaggi infiniti, alle scelte di carriera e al modo di raccontare il tennis in televisione, oggi più che mai chiamato a parlare a un pubblico nuovo e trasversale.

Fabio, sei una delle voci più autorevoli delle Next Gen (saranno trasmesse interamente live su
Sky e NOW, sul canale Sky Sport Tennis da oggi): cosa dobbiamo aspettarci e quali sono i giocatori che ti intrigano di più?

"L’unico nome davvero noto al grande pubblico è quello di Tien, ma ci sono anche altri intriganti. L’americano lo avevamo già visto l’anno scorso, quando aveva giocato, e mi era piaciuto, e i risultati ce l’hanno confermato. Poi c'è Basavareddy. L’ho visto giocare qualche volta quest’anno e ti confesso che mi aspettavo qualcosa in più. È giovane, quindi è chiaro che si possano avere aspettative, poi ci sono mille componenti. Però, per come l’avevo visto, pensavo potesse fare un pochino meglio. Resta comunque un ragazzo con tantissimo potenziale e se uno come l’ex allenatore di Medvedev (Cervara, ndr) decide di seguirlo è perché anche lui ci ha visto qualcosa. Non vai a incastrarti con qualcuno se non pensi che possa essere un buon prospetto. Mi interessa vedere anche Landaluce, che finora non ho mai visto dal vivo. Tutti ne parlano molto bene, quindi questi sono i tre nomi che mi intrigano di più, con Tien che sembra il favorito".

Non credi che questo evento, anche a causa della programmazione, passi un po’ in sordina?
"È un torneo che all’inizio, quando l’avevano introdotto, temevo non avesse grande seguito. Invece, secondo me, le edizioni di Milano erano splendide, perché alla fine i più bravi partecipavano tutti. La settimana prima delle Finals funzionava benissimo. Secondo me hanno sbagliato il cambio di data e il cambio di location. Capisco che ci siano dinamiche organizzative, però secondo me farlo sempre in Europa, o subito prima o subito dopo le Finals, sarebbe meglio. Anzi, subito prima sarebbe ideale, perché li fai andare praticamente tutti. Il fatto di aver abbassato il limite a vent’anni ha ovviamente tolto alcuni nomi: quest’anno, per esempio, ci sarebbe stato di nuovo Fils, che ora ha 21 anni. Così perdi partecipanti più riconoscibili".

D’altronde i ritmi sono serrati per tutti, tu puoi confermarlo dopo le ultime due stagioni al seguito di Lorenzo.
"Sono ritmi pesanti per tutti. Il discorso generale del tipo ‘fanno un lavoro bellissimo e sono pagati un sacco di soldi’ è corretto, però è anche qualcosa di molto stancante, perché la gente non deve fermarsi solo alla singola partita. C’è il viaggio, c’è il cambio di fuso orario, ci sono tutti i cambi di superficie che comunque sono traumatici per il corpo. Hai quattro o cinque trasferte molto, molto lunghe. A parte per chi è di casa, c’è tutta la trasferta australiana che è lunghissima, la trasferta negli Stati Uniti, che per chi non vive lì è altrettanto lunga. Poi c’è quella europea, che per chi è in Europa può sembrare ‘di casa’, ma arriva comunque dopo la lunga trasferta americana. A seguire c’è di nuovo il viaggio negli Stati Uniti, poi ancora quello in Cina. E gli americani, a loro volta, devono venire in Europa per quasi un mese per giocare i tornei indoor".

Insomma, non ci si ferma mai e per viaggi lunghissimi.
"Ci sono tantissime trasferte che ti portano in giro per il mondo. Per non parlare dei sudamericani che, a parte i pochi tornei che giocano in casa, sono praticamente sempre fuori. E quindi, per quanto tu possa vivere in hotel stupendi, con tutti i comfort del caso, servito e riverito, non sei a casa. E il corpo non riposa davvero. Certo, ci sono i Masters 1000 da dieci giorni: è vero che giochi una partita ogni due giorni, ma devi arrivare, allenarti, giocare, poi magari hai il giorno di stop, ma non è che il corpo recuperi del tutto: avrebbe bisogno di tempi che, per il tennista, sono veramente pochi".

Proprio Zverev nella scorsa annata forse ha pagato dazio alla tournée sudamericana, non credi?
"È un’idea che un po’ tutti si sono fatti, però io te la ribalto. Se Zverev in quei tornei avesse fatto 750 punti, probabilmente sarebbe arrivato numero uno del mondo e oggi saremmo qui a dire che la scelta di Zverev è stata super. È chiaro che lo diciamo col senno di poi, per come ha giocato e per quello che è successo. Però è anche vero che cambiare continente, cambiare fuso orario, non è il massimo. Questo è un dato di fatto, soprattutto perché poi cambi anche superficie. Se però i risultati fossero stati buoni e si fosse detto ‘Zverev è il numero uno del mondo’, magari quella fiducia se la sarebbe portata dietro. In quei tornei sappiamo benissimo che non c’erano avversari imbattibili, e magari quella sicurezza avrebbe cambiato qualcosa. Di certo non lo ha aiutato, perché come hai detto tu ha cambiato tanto: cemento, terra, un altro fuso orario, poi Stati Uniti, un’altra superficie, un altro fuso orario".

A proposito dei giovani, sulla scia di quanto hanno fatto Sinner e Alcaraz, si tende forse ad aspettarsi troppo da talenti come Fonseca o Mensik oppure stanno facendo già benissimo e bisogna solo avere pazienza?
"Ci sono dei giocatori che non possono essere presi come esempio perché sono un’eccezione. Purtroppo, secondo me, arriviamo dal periodo Nadal-Federer-Djokovic, in cui abbiamo avuto tre fenomeni pazzeschi nella stessa era. C’erano Federer e Nadal, con Nadal che è stato molto precoce, e in pochissimo tempo poi è arrivato anche Djokovic, non giovane come Nadal, ma quasi subito lì a vincere anche lui Slam. Quindi uno si aspetta che adesso debba essere la stessa cosa. Ci sono Sinner 2001, Alcaraz 2003, e quindi ci si aspetta che nel 2005-2006 la situazione esploda subito. Perché è stato così prima con Nadal-Federer-Djokovic. Ma quella non è una normalità, è un’eccezione pazzesca".

Immagine

Inevitabilmente ci vuole un po’ di cultura e memoria tennistica?
"La normalità sono gli anni precedenti. Solo che chi ha iniziato a seguire il tennis da poco, spesso è giovane e quindi l’epoca di Becker, Edberg, Sampras, Agassi e compagnia non se la ricorda o non la conosce proprio. E chi invece si è avvicinato al tennis con Federer, Nadal e Djokovic pensa che quella sia la normalità: due fenomeni, poi arriva il terzo incomodo, poi qualcuno che rompe l’ordine. Secondo me la normalità è quella che ha vissuto il tennis prima: fenomeni che vincono tantissimo, certo, ma con cicli più distribuiti".

La normalità dunque era il pre big three?
"Sampras ha vinto 14 Slam, però ci sono stati periodi in cui Sampras non vinceva. Ne ha vinti un po’ Agassi, un po’ Becker, un po’ Edberg. Ancora prima c’era Lendl, poi Becker, poi Rafter. Quella, secondo me, è la normalità. Invece oggi tutti si aspettano quello che è successo nell’era Federer-Nadal-Djokovic. E quindi si dice: “Ah, ma Fonseca…”. Fonseca vince le Next Gen Finals, va in Australia, prende a pallate Rublev e allora la gente si aspetta che Fonseca possa entrare subito in top ten".

Ci si entusiasma un po’ troppo presto, ma ci vogliono tante componenti per il salto di qualità.
"Se ti ricordi, c’è stato Cahill che, dopo quel risultato, ha chiesto a Jannik: “Secondo te Fonseca come chiude l’anno?”. E Jannik ha risposto: “Nei primi 25”. E Fonseca ha chiuso 24. Non perché sia una magia, ma perché Jannik conosce il tennis e sa che Fonseca ha 19 anni e che, a quell’età, ci sono una marea di difficoltà e di aspettative. Io ero sul campo quando Fonseca ha giocato con Sonego al secondo turno: sembrava di stare al Maracanã. E quel ragazzo ha 19 anni. Fino al giorno prima in Brasile lo conoscevano perché aveva già fatto bene a Rio e aveva vinto le Next Gen, ma il grande pubblico no. Poi giochi contro Rublev, top ten, al primo turno in Australia in un match serale, lo batti nettamente e diventi “il nuovo fenomeno”. Ma addosso ti arriva una quantità enorme di aspettative".

Pensi che manchi un po’ di equilibrio?
"Per me non hanno assolutamente deluso, anzi: secondo me hanno fatto una grande stagione. Lo stesso vale per Mensik. Mensik vince Miami e allora ti aspetti che dopo Miami faccia ancora meglio. Invece fa più fatica. Ma se non avesse vinto Miami e avesse vinto Shanghai, parleremmo comunque di una stagione straordinaria, perché un ragazzo di 20 anni che chiude nei top 20 ha fatto qualcosa di enorme. Secondo me manca equilibrio. È difficile, perché rischio di essere male interpretato, ma è ignoranza nel senso letterale del termine. Non conoscenza. Per la gente “normale”, fino a prima di Sinner, il tennis era: “Ah sì, Federer vince”. E lo sapevano tutti, anche chi non seguiva davvero questo sport. Tutto il resto non lo conoscevano".

Parliamo di te: cosa bolle in pentola dopo la conclusione dell’esperienza professionale al seguito di Lorenzo Sonego?
"Sono state due stagioni splendide e molto intense, per una serie di motivi logistici. Da quando ho iniziato l’anno scorso, a inizio aprile, e per tutto quest’anno, a parte pochissime settimane, le ho fatte praticamente tutte. Sono stati due anni davvero molto intensi. In questo momento non ho la necessità né la voglia di ripartire giusto per ripartire. È un mestiere bellissimo, che mi è piaciuto rifare perché avevo praticamente smesso di farlo. E poi mi è piaciuto molto rifarlo anche perché l’ho fatto con Lorenzo. Il fatto che fosse lui mi ha aiutato a tornare ad avere voglia di fare questo mestiere. Non sono uno che lo deve fare per forza. Ovviamente la cosa perfetta, ideale, splendida non esiste in nessun lavoro. Però non lo voglio fare per forza. Le opportunità che mi si sono presentate non erano così… e io non sono quel genere di persona che deve farlo a tutti i costi. Non perché io sia più bello o più bravo degli altri: ognuno ha le sue priorità".

Anche perché immagino che tu abbia vissuto queste due annate molto intensamente, e poi c’è la tua consolidata esperienza nel racconto del tennis.
"Io ho una famiglia che in questi due anni è stata un po’ sacrificata. Se riparto, è perché riparto con qualcosa che, secondo me, deve valere davvero la pena. Altrimenti, come hai detto tu, per fortuna ci sono le televisioni che hanno fiducia in me e mi fanno lavorare. Il mio lavoro è sempre stato stare in campo. Però quella della TV è una parte che mi è sempre piaciuta e mi ha sempre divertito. Per fortuna ho ricevuto attestati di stima. Il fatto che prima lo facessi con Eurosport e poi sia stato chiamato anche da Sky, e che io sia stato il primo a essere contattato per lavorare con entrambe, è una cosa che mi ha fatto molto piacere".

Il tuo modo di raccontare il tennis è cambiato rispetto a qualche anno fa? Senti di avere una responsabilità importante alla luce dei tanti tifosi che si sono avvicinati per l’effetto Sinner e non solo?
"Parto dal presupposto che io ho sempre cercato, in telecronaca, per una questione anche personale, di seguire un certo approccio. Il tennis l’ho sempre seguito tantissimo in televisione. Quindi nasco telespettatore e, come tutti i telespettatori, ho sempre avuto le mie preferenze: questo mi piace di più, questo meno, per il suo modo di raccontare. Perché è normale, non può esistere un telecronista che piaccia a tutti. A qualcuno può piacere una voce, a qualcun altro un’altra, a uno può piacere molto, a un altro un po’ meno. Il mio approccio è sempre stato questo: cercare di rendere la cosa il più semplice possibile. Io il tennis l’ho praticato da quando avevo dieci anni, è stato il mio mestiere, quindi certe sfumature le colgo in automatico. Ma penso anche a chi guarda da casa. Persino mia mamma, che poverina ha visto il tennis con me per tutta la vita, ovviamente non coglieva tutto allo stesso modo".

Semplicità, chiarezza e capacità di arrivare dritto al punto?
"Ho sempre cercato di essere semplice. Non banale, ma semplice. Essenziale. E oggi credo che questo approccio sia ancora più utile, perché si sta avvicinando al tennis molta gente che il gioco lo conosce poco. E quindi, secondo me, in questo momento l’approccio migliore è proprio quello. Non che sia sbagliato fare una telecronaca super tecnica o super tattica, assolutamente, ma bisogna capire il contesto. È chiaro che negli ultimi anni – quest’anno e mezzo in particolare – ne ho fatte poche per vari motivi. Mi è capitato, per esempio, di commentare Jannik solo a Parigi contro Rublev".

Immagine

È difficile immedesimarsi anche negli spettatori?
"E lì è ovvio che a me interessa far capire il perché delle cose. Non tanto dire che c’è stato un errore tecnico perché il braccio era messo male o la gamba non era al posto giusto. Quello non è fondamentale. È più importante spiegare perché, quando giochi contro Rublev, che è uno dei giocatori più forti del mondo, lo fai sembrare quasi in difficoltà. Rublev magari è appena fuori dai primi dieci, ma resta un top assoluto. E allora bisogna spiegare perché succede questo. Questo, secondo me, è il valore della telecronaca. Poi è chiaro, ognuno deve seguire la propria strada. I colleghi che magari hanno ricevuto critiche o insulti per il loro modo di raccontare, secondo me, hanno comunque fatto il loro lavoro. Non esiste un modo giusto o sbagliato in assoluto. Non si deve cambiare il modo di fare telecronaca solo perché sta arrivando gente che il tennis non lo conosce. Ognuno deve essere coerente con sé stesso".

A proposito di Sinner, come consideri la sua stagione e quanto ti ha stupito? Penso alla sospensione, al Roland Garros, a Wimbledon, a come ha finito. Quanto ti ha entusiasmato?
"Ha fatto una stagione fuori dal comune, perché per tutto quello che ha passato, non solo lo stop di quest’anno ma anche quello che è successo l’anno scorso – e che abbiamo scoperto solo dopo – è qualcosa di enorme. Lui sapeva già dalla primavera quello che era successo, e la forza mentale che ha avuto nel continuare a giocare e nel fare quei risultati, fino a quando la cosa è venuta fuori in maniera quasi noiosa, è incredibile. Parliamo della forza di portarsi dietro qualcosa che non sa nessuno, se non il suo team. E poi, dopo, tutte le schifezze che gli sono ingiustamente piovute addosso da parte di gente ignorante, a volte anche cattiva. Sarebbe bastato andarsi a leggere i documenti. Va bene, la sentenza è arrivata dopo, ma nel momento in cui chi di dovere – chi ha fatto le indagini – ha dichiarato che le cose erano andate in un certo modo e che lui era stato nelle regole, che erano stati tutti nelle regole, gli è comunque arrivata addosso tantissima cacca. E quella, mentalmente, non è una cosa che dimentichi".

È davvero un alieno soprattutto dal punto di vista mentale?
"Io parto dalla prima fase dell’anno scorso, da quando gli hanno detto: “Guarda che è successo questo nel tuo test antidoping”. Da lì in poi, quello che ha fatto è qualcosa di fuori dal normale. Ma per me lui è fuori dal normale, punto. Io magari mi prendo anche gli insulti, perché ogni volta che mi chiedono un pronostico dico sempre la stessa cosa: per me lui è fuori dal normale. Non è una questione di scaramanzia. In questo momento può anche prendersi un altro scivolone, come è successo a Shanghai, se capita qualcosa di particolare. Ma resta fuori dal normale, come la sua forza mentale e la sua capacità e voglia di migliorare. E anche il riuscirci. Stiamo parlando di un atleta eccezionale. Gli dici una cosa e la fa in un attimo. Per questo dico che non mi ha stupito. Per me è uno di quegli atleti – uno o due per generazione – che ti ricordi perché vanno oltre. In Italia lo si paragona a Pantani, a Valentino Rossi. Secondo me siamo lì. Parliamo di un fenomeno a 360 gradi. Non solo perché gioca bene a tennis, ma per tutto il resto".

In chiusura, c’è qualcosa che ti fa spuntare il sorriso quando ripensi alla collaborazione con Sonego? Qualcosa che vuoi condividere con noi?
"Tanto, tantissimo. Sono stati due anni fantastici, come ti ho detto, soprattutto grazie a lui, per il giocatore e per la persona che è. Il giocatore è fantastico, e questo lo sapevamo già anche prima di iniziare a lavorare insieme. Ma poi c’è la persona, con la quale è un piacere passare tanto tempo, così tanto tempo. I momenti sono stati tanti, perché il rapporto è stato – e lo è ancora – molto bello. Ovviamente adesso, lavorando meno insieme, non ci vediamo più tutti i giorni come prima, però il rapporto è sempre stato così: c’era sempre il sorriso, c’era sempre uno scherzo, c’era sempre buon umore".

Ne avete vissute tante, con diverse sfumature e altrettante soddisfazioni.
"Anche l’anno scorso avevamo iniziato in una situazione psicologica complicatissima per i motivi che si sanno, però non c’è mai stato un muso lungo. Non si è qualificato per le Olimpiadi, che per lui erano un obiettivo enorme, e non c’è mai stato un muso lungo. Quest’anno ha fatto una stagione sulla terra battuta purtroppo non felicissima, soprattutto a Roma, che era l’appuntamento a cui tenevamo di più, ma anche in quel caso non c’è mai stato un muso lungo. E questo dice tantissimo. Poi è chiaro che sul campo ci sono stati un paio di momenti molto, molto emozionanti. Il primo quarto di finale Slam porta con sé un’emozione pazzesca. Però, come partita, quella con Nakashima a Wimbledon è quella che mi ha dato le emozioni più forti, perché per come è andata – cinque ore di gioco – è stata quello che è stata".

0 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views