Ongarato e gli spari sui ciclisti: “Senza video passavamo per pazzi. Sulle strade odiano i ciclisti”

Alessandro Petacchi vinceva in volata, Alberto Ongarato gli apparecchiava il treno per lo sprint vincente. Una scena vista e rivista centinaia di volte sulle strade del ciclismo professionistico a cavallo tra gli anni 90 e i primi del 2000. Oggi, a distanza di anni "AleJet", nei panni di Team Manager e Ongarato in qualità di vice Presidente, sono di nuovo insieme per tirare la volata ai ragazzi d'oggi e possibili campioni del futuro, nella Continental veneta SC Padovani 1909.
Società ciclistica salita alla ribalta delle cronache purtroppo per un folle fatto di cronaca, accaduto sulle strade venete e che ha visto vittime un gruppo giovanissimi corridori tesserati: un auto ha accostato il gruppetto, dal finestrino è spuntata una pistola e sono stati sparati due colpi d'arma. Solo per mera fatalità il dramma è stato solo sfiorato, con tutti i ragazzi illesi seppur scioccati da una vicenda che ha superato ogni limite e ha riacceso i fari sull'annosa problematica della sempre più difficile convivenza tra corridori, ciclisti e automobilisti. Proprio con il vice Presidente della SC Padovani 1909, Alberto Ongarato abbiamo discusso di quanto accaduto mentre dal Comando Provinciale di Verona i Carabinieri hanno confermato l'identificazione e il fermo dell'autore dello scellerato gesto: si tratta di un 25enne su un'auto tedesca. I carabinieri gli troveranno la pistola a salve nell'abitacolo dell'auto, occultata sotto il pianale del bagagliaio.
Alberto, proprio mentre stiamo parlando i Carabinieri cui avete sporto denuncia hanno appena comunicato di aver identificato e fermato l'autista.
Ah, si sa chi è stato?
Una ragazzo di 25 anni, del posto. Al momento non si sa di più, ma l'hanno identificato.
Bene, per fortuna. Poi vedrai che verremo a sapere per bene chi è, l'importante è che si sia subito provveduto, perché quanto accaduto non ha precedenti.

Intanto proviamo a ricostruire un po' quanto è accaduto: quando l'hai saputo dov'eri, come hai ricevuto la notizia?
Io non c'ero, non ero in ritiro con quei ragazzi. Mi hanno chiamato Konychev e Paiola [due direttori sportivi presenti quel giorno, mdr] che stavano con i ragazzi. Adesso io sto rientrando dall'estero, non ho ancora parlato con loro ma fra poco lo farò perché quanto accaduto va oltre ogni logica e le conseguenze possono anche essere importanti da un punto di vista mentale.
Per fortuna, è stato tutto ripreso: da dove nasce quel video che poi è diventato la prova di quanto successo?
Nella sfortuna siamo stati fortunati noi e sfortunato lui che ha fatto sta sciocchezza perché c'era in programma proprio quel giorno, con l'aiuto di un videomaker che segue un po' tutta quanta la squadra di fare una giornata dedicata alle foto e video per gli sponsor, con gli atleti, da utilizzare poi durante l'anno. Quindi è solo per quello che c'era la ripresa perché l'ammiraglia era davanti ai ragazzi circa 500 metri insieme al videomaker e un drone con cui stavano registrando.
Quando hai saputo quello che era successo, che reazione hai avuto?
La prima cosa che tu pensi è che possa essere più leggera di quanto ti dicano… Nel senso che sì, chi esce in bicicletta può trovarsi ultimamente sempre di più tra queste persone che ce l'hanno a morte con i ciclisti. Quindi uno come me che da quando ha smesso nel lontano 2011 continua ad andare sempre in bici, diciamo è quasi abituato a queste cose. Ma all'inizio non stai a pensare esattamente cosa sia successo. Poi analizzando un po' tutto e sentendo i ragazzi ti rendi conto che il fatto è gravissimo.
Cosa vi hanno raccontato i ragazzi coinvolti?
Tanta paura perché che fosse una pistola vera o finta l'hai saputo solo dopo: i ragazzi quando hanno visto tirare giù il finestrino e vista spuntare la pistola, e quando hanno sentito lo sparo, la prima cosa che hanno pensato è stato di schivare il colpo, di salvarsi.
Come stanno adesso i corridori?
Non ho ancora avuto il tempo fisico di vederli, sto raggiungendoli apposta per capire le loro reali condizioni, perché fino adesso abbiamo sempre cercato di tenerli un po' tutelati, non facendo parlare nessun ragazzo con nessun giornalista. Abbiamo voluto gestire la cosa dall'interno perché è un po' delicato anche sotto l'aspetto processuale e legale, anche se tutto ha avuto una risonanza enorme. Adesso parleremo a fondo con i ragazzi nei prossimi giorni. Però insomma mi hanno detto che sono tranquilli. Chiaro, l'accaduto è grave, ma alla fine va a colpire un movimento che purtroppo alla fine è abituato a queste cose, anche se non con questa gravità.
E' vero che se non ci fosse stato quel video a vostro supporto, non sarebbe scattata nessuna denuncia?
Se non ci fosse stato quel video, difficilmente avremmo avuto l'occasione di poter denunciare un fatto del genere. Non avendo prove, sai, magari si passava per dei pazzi: la tua parola contro la mia. E poi generalmente le squadre, i ciclisti generalmente lasciano perdere.
In che senso? Che sono maggiori le volte che non si denuncia di quelle in cui si va fino in fondo?
Sì, almeno se non c'è qualcosa di grave, anche se personalmente non sono d'accordo. Dovrebbe diventare un'abitudine sana quella di dire "Bene, io so di avere ragione e quindi denuncio". Perché in quel momento la squadra non aveva nessun torto. "Tu mi crei un problema, io ti denuncio", questo dovrebbe essere l'abitudine di ogni ciclista

E perché secondo te non si fa? Paura? Mentalità sbagliata?
Ti dico una cosa che può fare riflettere. Quando correvo io tutte le squadre professionistiche si allenavano in Italia. Sì. Si allenavano in Liguria, poi dalla Liguria sono passati ad allenarsi sul Lago di Garda. Dal Lago di Garda sono passati in Toscana, e via dicendo. Ora non c'è più nessuna squadra che si allena in Italia, vanno tutti in Spagna e chiediamoci il motivo: c'è un'altra cultura, ci sono altre strade, c'è rispetto reciproco tra ciclisti e automobilisti. Sono stato diversi giorni, ho girato tanto e non mi sono mai imbattuto in alterchi o problematiche. Anche in gruppi di 10, 15, 20 ciclisti con le macchine a seguito, mai una discussione. Tanto che mi sa che andremo anche noi in Spagna.
In che senso, trasferisci la squadra fuori dall'Italia?
Noi dovremmo fare un ritiro dal 29 al 14, in Spagna, e un altro ritiro, a Riccione. Ma sto pensando se andare a Riccione o disdire tutto e trasferire ogni allenamento fuori dall'Italia.
Però rivedendo le immagini, tutto è successo su una strada tutt'altro che trafficata, i ragazzi erano in ordine a bordo strada, come te lo spieghi?
Probabilmente avremo a che fare con un ragazzino, perché se ha 25 anni ha compiuto una bravata, ma quanto fatto non va giustificato mai. A maggior ragione come dici tu quando non c'era alcun presupposto per dare fuori di testa. Noi abbiamo scelto apposta quel percorso, perché si conoscono bene le strade, perché sappiamo che altrimenti può diventare pericoloso per i ragazzi. Quindi abbiamo cercato appositamente percorsi giusti: è capitato proprio un qualcosa che non doveva capitare.
Ma adesso come si fa a ritornare alla normalità?
Io per primo mi metto nella testa dei ragazzi e mi auguro che alla fine al giorno d'oggi questi fatti non creano gran scompiglio come poteva venire in passato. Nel senso che il ragazzo è talmente concentrato nel suo che non si rende conto che è stata una pazzia. Ma non lasciamo nulla al caso: abbiamo un incontro a breve con il nostro mental coach, anche per capire eventualmente come hanno reagito i ragazzi. Che sono dei professionisti, anche se giovanissimi. Non posso immaginare cosa sarebbe accaduto a degli amatori.
E cosa sarebbe accaduto?
Un disastro. Vedi, come dice sempre Pinarello bisogna distinguere tra corridori e ciclisti: il corridore lo fa di mestiere, abitua la mente e l'occhio ad anticipare i problemi. Anche se vai a 35-40 all'ora individui per tempo le situazioni, un incrocio, un'auto che fa cose strane. Se fosse accaduto a un gruppo di ciclisti, quindi amatori che girano per passione, come minimo tutti si sarebbero schiantati sull'asfalto sbandando per lo spavento.

Anche di fronte al fatto che potrebbe essere una bravata di un ragazzino, andrete fino in fondo?
Noi siamo costretti ad andare fino in fondo perché deve essere preso d'esempio quello che è successo. Talmente grave la cosa, che di peggio c'è solo quando si investe qualcuno. Però è un avvenimento che mi auguro, ripeto, sia solo una sciocchezza di un ragazzo, che non possa succedere ancora. Però siamo costretti a andare a fondo perché, ripeto, è un precedente che deve essere fermato subito.
Avete ricevuto in questo senso anche il supporto immediato della Federciclismo che si è costituita parte civile.
Sì, loro come federazione ci appoggiano in tutto e questo è importante per noi ma anche per tutto il movimento.
Quanto avete sentito il mondo del ciclismo vicino?
Tantissimo. Già dalla sera stessa che era uscita la notizia abbiamo avuto solidarietà da parte di tutti. Ma questo è il bello del ciclismo. Perché al di là che la domenica siamo tutti rivali e ognuno fa la sua corsa, chiaramente, quello che ho notato, è che c'è in questo ambiente totale solidarietà. Anche dal di fuori: la città di Padova, l'assessore, il sindaco, la Regione Veneto, ci hanno contattato subito. La federazione uguale.
E i tanti messaggi d'odio che sono apparsi a margine di questa vicenda?
Chiaramente c'è sempre qualche cretino che scrive sempre cose, questo episodio ha tirato fuori anche il peggio delle persone, un sottobosco di odio, di cattiveria, di insofferenza. In qualsiasi settore, ci sono sempre quelli che devono attaccare, vedere complotti, mostrano una totale mancanza di giudizio, di mentalità. Anche se in Italia abbiamo fatto passi da gigante, la strada è ancora lunga… Io faccio 40.000 km in macchina e 5.000 km in bicicletta e mi rendo conto quando sono in macchina che per i ciclisti a volte è un pericolo e a volte lo sono loro per gli altri. Le strade, le ciclabili, le infrastrutture, in Italia, purtroppo, sono quel che sono…
