Mauro Vegni: “Israel diserta il Giro di Lombardia perché sono preoccupati da cosa accade in Italia”

Sabato si corre il Lombardia e lo si fa con un parterre de roi di qualità assoluta, per una edizione che vede al via 24 Team World Tour di primissimo livello e con i migliori campioni del momento, capitanati dal campione del Mondo e d'Europa in carica, Tadej Pogacar e la sua UAE Emirates. Mauro Vegni, storico direttore nonché a capo dell'organizzazione del Giro d'Italia e delle altre classiche di RCS Sport, tra cui proprio il Lombardia si dice più che orgoglioso per l'ultimo suo atto ufficiale prima di lasciare il passo a chi verrà: "Una decisione mia personale, nessuno mi ha chiesto di farmi da parte ma anche giusto un cambiamento. Lascio tutto alla mia squadra, che negli anni ha lavorato ottimamente ed è un gruppo all'altezza".
A Fanpage si è poi soffermato anche sull'altra notizia del momento, l'assenza della Israel Premier Tech, il Team di proprietà israeliana la cui presenza ha scombussolato il mondo ciclistico negli ultimi mesi: "Non lo abbiamo deciso di certo noi, perché non abbiamo né l'autorità né la possibilità. E' stata una scelta concordata da parte del Team. Con il richiamo mediatico che ha da sempre il Lombardia, purtroppo era inevitabile ed è stato opportuno. Ma di certo, escludere o non far partecipare le squadre non è la soluzione a questo tipo di problemi".
Direttore, è soddisfatto di questo suo ultimo Lombardia?
Sono estremamente soddisfatto e orgoglioso, perché gli iscritti in qualche modo fanno da cornice finale a quello che è già di per sé un grande evento. Poi riveste un valore particolare di carattere personale, essendo l'ultimo mio Lombardia.
Ha scelto Lei di fermarsi dopo una vita trascorsa nel ciclismo?
Dopo oltre 30 anni credo che sia giusto fermarsi ogni tanto, nessuno me lo ha chiesto tanto meno imposto. Sono estremamente soddisfatto di tutto il percorso perché la squadra che in qualche modo ho messo in piedi negli anni ha già dimostrato di essere all'altezza di quello che è stato e di quello che sarà.
Direttore, ha fatto notizia ovviamente la non presenza della Israel. Non si può parlare di esclusione, perché non c'è stata alcuna esclusione, corretto?
Perfetto. Non c'è stata nessuna esclusione e chiaramente, come anche loro in qualche modo hanno fatto capire, il tutto è nato perché il Team era preoccupato di quello che stava accadendo in particolare qui in Italia. Per lo stesso motivo avevano disertato anche appuntamenti precedenti. Avendo di fatto in Lombardia una risonanza mediatica mondiale era nella loro intenzione non creare ulteriori problemi oltre a quelli che c'erano c'erano stati.
Quindi conferma che è stato un accordo tra il team e l'asso-ciclisti fondamentalmente.
Sì, il Team era preoccupato, noi pure eravamo in qualche modo preoccupati di quello che stava accadendo. Diciamo che alla fine, il buon senso ha prevalso: di comune accordo abbiamo ritenuto importante per noi e per loro non corre ulteriori rischi. Noi non avevamo il potere di dire no, però fortunatamente loro hanno capito quello che poteva diventare questa loro partecipazione.
Non potevate opporvi voi come organizzazione ma nemmeno l'UCI, corretto?
Sì, noi non potremmo farlo come non poteva farlo nemmeno l'UCI, perché il suo regolamento dice che loro possono e devono partecipare se vogliono. E quindi doveva arrivare direttamente da loro la decisione o da più in alto ancora.
Problemi che hanno costellato l'organizzazione dell'ultima Vuelta. A proposito, Direttore: Lei che idea si è fatto?
Quando ti capita all'improvviso una situazione così, non hai nemmeno la percezione di poter adoperarti per far sì che non avvenga. Poi ogni paese, sia Spagna, sia Italia o Francia, ha le sue modalità di approccio, ma mi è sinceramente dispiaciuto per gli amici della Vuelta, perché quando capita diventa veramente difficile da gestire. Devo aggiungere che hanno avuto la forza e il coraggio di portarla fino alla fine.

Si è anche chiesto da più parti che venisse sospesa, neutralizzata non una tappa ma l'intero Giro. Avrebbe concordato?
No, perché è molto facile gettare la spugna ad un certo punto, e dire "Basta". Poi però, sappiamo tutti benissimo che finendo in quel modo, si sarebbe aperto il fianco sicuramente a un problema per il futuro, un pericoloso precedente. Quindi, ripeto: bravi, hanno avuto la forza di portarla fino a Madrid.
La soluzione per risolvere questa problematica? La Israel sta provando il rebranding, si sta cercando di ridare una nuova identità alla squadra. Ma è la via corretta?
Il rebranding ci sta perché chiaramente è un atto doveroso anche perché se vai a vedere i corridori che sono iscritti in quella squadra, se non vado errato, forse ce n'è solo uno che è di origini israeliane. Per il resto è una Team internazionale, per cui questa situazione bisogna che la debbano chiarire, sdoganandosi, diciamo, dalla loro etichetta di nazionalità.
E a livello di UCI?
Fare qualcosa da parte della Unione Ciclistica diventa davvero difficile. Prendete l'esempio di quello che era successo con la Russia, per il caso Gazprom. In quella situazione si era prima di tutto espresso il CIO. E siccome l'UCI è una federazione affiliata al CIO, se prima il CIO oggi non si esprime sulla questione Israel diventa difficile anche per le federazioni esprimersi. Perché non si ha il diritto né il potere di escludere o di scegliere chi possa partecipare alle gare e chi no.
Di certo però la soluzione non è certo escludere o non fare partecipare le squadre…
Non è di certo la soluzione migliore anche da un punto di vista meramente sportivo. Poi ci sono altre dinamiche delicatissime. Come molto spesso ho già detto una posizione politica di un Governo non è detto che sia uguale alla posizione della gente su certe tematiche. E questo vale sia per la questione Israele, come è valsa per la Russia, e come varrà per altri.

Direttore, c'è stato un momento di reale difficoltà che personalmente ha dovuto affrontare?
Ti devo dire che un paio di cose davvero difficili mi sono capitate. Come è stata ad esempio la Milano-Sanremo del 2013… con quella neve, con i pullman presi in autostrada, portati sul percorso per trovare la maniera di di soccorrere i corridori prima del ridare una nuova partenza… Quella sì, è stata una cosa veramente difficile. Poi c'è stato il periodo del Covid dove noi siamo stati tra i primi a livello europeo a riportare gli atleti a correre: anche quello è stato un momento particolare perché si aveva la precisa percezione di quello che stava succedendo nel Paese.
E a livello di Giro d'Italia?
Devo dire che le cose più difficili da gestire durante i tanti Giri è stato sicuramente il tempo più che i ciclisti o le squadre. Ogni volta quando fai un Giro a maggio il rischio è sempre alto di neve o addirittura di slavine… Mi ricordo nel '95 una slavina quando andavamo in Francia che ci ha in qualche modo travolto sulla strada. Con i corridori non ho mai corso particolari preoccupazioni tanto è vero che nel 2020, quando abbiamo fatto il Giro a ottobre, è stato forse il Giro migliore dal punto di vista climatico.
Quindi bisogna rivedere quando si corre il Giro nel calendario UCI?
No, non voglio dire che dobbiamo portare il Giro a ottobre, il Giro sta bene lì dov'è ma forse con una settimana in più in avanti non sarebbe male, no?
Direttore, invece il momento più bello che le piace ricordare?
Il fatto di aver organizzato una partenza fuori dal Continente: è una cosa che mi resta dentro perché in qualche modo siamo stati i primi e al momento gli unici aver fatto una Grande Partenza di uno dei tre più grandi Giri fuori dal Continente. E poi anche quest'anno, con il passaggio dentro i Giardini Vaticani con la presenza del Papa, non è cosa da poco.
L'unico grande rammarico resta non aver visto la Strade Bianche diventare una Monumento da parte dell'UCI…
Sì, è vero. Però voglio dire: alla fine quello che conta è quello che la gente dice nel mondo, no? Per la gente è una Monumento anche se di fatto non ha l'etichetta: è come un buon vino, anche se non è IGP.

A proposito di buon vino e grandi corse: Pogacar è davvero il più forte ciclista degli ultimi 30 anni?
Difficile fare i paragoni con i tempi e chiaro che cambia il modo di correre, cambiano anche gli aiuti tecnici, le biciclette, il peso, i copertoni, i freni a disco… cambia tutto. Però, sì: è un corridore che fa la prima corsa a febbraio a l'UE Tour e vince e poi viene a fare il il Lombardia e vince. Nel frattempo ci mette in mezzo un Mondiale, ci mette in mezzo un Tour de France e le altre classiche. Ma cosa vogliamo dirgli?
Un fenomeno capace di vincere anche in Ruanda. A proposito come ha giudicato l'organizzazione dei primi Mondiali in Africa?
Posso dire che avevo forti dubbi, però devo dire che all'atto pratico sono rimasto veramente entusiasta di come hanno gestito e organizzato questo mondiale. Sono rimasto entusiasta perché anche i miei che sono andati in veste diversa, mi hanno detto: "Mauro, è una cosa incredibile". C'era una sicurezza spaventosa, molto di più di quello che capita spesso in Europa.
E se la dovessero richiamare sul campo Lei direbbe presente?
Ci potrei pensare ma non con questo tipo di lavoro. Vorrei fare una cosa molto più light, fare la corsa, non pensare più ai problemi dei soldi e organizzativi, godermela. Se ci fosse bisogno potrei dire presente.
Quindi il Suo non è un addio al ciclismo?
Sicuramente è un arrivederci.