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Fausto Rossi: “Del Piero alla Juventus mi chiamava, io provavo vergogna. Ho gelato Messi e Neymar”

Fausto Rossi racconta la sua carriera a Fanpage.it: dal vivaio della Juventus alle sfide con Messi e Neymar, tra sogni, cadute e rinascite, dentro e fuori dal campo.
A cura di Sergio Stanco
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“I calciatori non sono supereroi, ma uomini come tutti gli altri, con le loro debolezze, i loro problemi, i loro pensieri e, a volte, è impossibile riuscire a lasciare tutto fuori dal campo. Si rapporta tutto a quanto si guadagna, ma i soldi non sono niente quando perdi i genitori o quando hai problemi di salute. E, poi, non tutti i calciatori guadagnano cifre importanti, ci sono ragazzi in Serie C che non arrivano a fine mese, spesso non vengono neanche pagati”. Fausto Rossi è stato per anni uno dei maggiori prospetti a livello di calcio giovanile: prodotto del florido vivaio bianconero, con la Juve ha vinto due tornei di Viareggio e conta anche un “argento” nell’Europeo Under 21 nel 2013 con un’Italia tra le più forti in assoluto della storia delle nazionali giovanili (quella di Verratti, Immobile, Insigne e molti altri). Dopodiché, ha cominciato a girovagare in prestito, arrivando fino in Spagna, per giocare contro Neymar, Messi, Cristiano Ronaldo e Modric (tra gli altri), ma senza mai tornare alla base, prima di staccare definitivamente il cordone ombelicale con “Mamma Juve”.

Qualche infortunio, qualche brutto pensiero (approfondiremo in seguito), qualche scelta sbagliata e quella che sembrava una carriera destinata ai più grandi successi, si è trasformata in un onesto percorso, con qualche soddisfazione, ma anche con qualche rimpianto. “Questo è il calcio – racconta l’ex bianconero a Fanpage.it – ma è inutile guardarsi indietro. L’importante è trovare la felicità in quello che fai. Ho coronato il mio sogno e, oggi, sono papà di due splendidi bimbi, li accompagno agli allenamenti, a 34 anni gioco ancora a calcio in una società professionale, anche se non professionistica (nel Fossano in Eccellenza piemontese, n.d.r.) e sono contento così. Anche se – devo dire la verità – a volte in questi anni è stata dura…”.

Allora Fausto, visto l’indirizzo preso da questa chiacchierata, stravolgiamo un po’ la scaletta: qual è stato il momento più bello da calciatore?
“Ce ne sono tanti, dal periodo nelle giovanili vissuto con grande stabilità grazie alla mia famiglia, ma ovviamente anche con grande entusiasmo. L’entusiasmo di chi stava vivendo un sogno. Fino ai primi successi, all’esperienza in Spagna desiderata da sempre: giocare contro fenomeni come Messi, Neymar, Cristiano Ronaldo, Griezmann, Modric, Xavi e molti altri. Per me, che non sono mai stato un colosso, la Liga è stata sempre un punto di riferimento. Esserne protagonista, è stato speciale”.

Le delusioni fanno parte del calcio: quali sono state le più cocenti?
“L’Europeo Under 21 perso contro la Spagna – al momento – ci ha fatto molto male, ma con il tempo abbiamo apprezzato quanto di buono avevamo fatto. Quella squadra era eccezionale: Immobile, Verratti, Insigne, Gabbiadini, Biraghi, Caldirola, Florenzi e molti altri compagni hanno fatto una carriera ad altissimi livelli, a testimonianza della forza di quella squadra. E poi la Spagna (di Morata, Isco, Thiago Alcantara e molti altri, n.d.r.) era davvero un avversario top. Le delusioni vere sono quelle relative alle mancate promozioni col Brescia (sconfitta nelle semifinali play-off per la A contro il Livorno nel 2013, n.d.r) e del Vicenza (finale play-off per la Serie B contro la Carrarese nel 2024, n.d.r.). Quelle sono batoste difficili da digerire, perché sai di aver dato tutto ma non è bastato. E poi hai proprio la sensazione di un cerchio che non si è chiuso, di un ciclo che è finito senza la degna conclusione”.

Fausto Rossi con Florenzi e Thiago Alcantara in finale agli Europei U21.
Fausto Rossi con Florenzi e Thiago Alcantara in finale agli Europei U21.

Parliamo anche dei periodi duri a cui accennavi in precedenza…
“C’è stato un momento in cui ho pensato di smettere: dopo il Valladolid e il Cordoba in Liga, sono tornato in Italia per avvicinarmi a casa anche per ragioni familiari. Le cose a Vercelli e Trapani non sono andate come speravo e, allora, per rilanciarmi, ho pensato che tornare all’estero potesse essere una buona opzione. È arrivata l’offerta del Craiova in Romania: il mister era Devis Mangia, che avevo avuto in Under 21, e c’era anche la possibilità di giocare in Europa League. Purtroppo, dopo sette partite, mi sono infortunato gravemente. Contemporaneamente, sia mia mamma che mio papà si sono ammalati di tumore. Sono tornato a casa con la convinzione di smettere, ne avevo già parlato con il mio procuratore. In quei momenti è davvero dura riuscire a mantenere lucidità…”.

E, poi, cos’è successo?
“Il resto della mia carriera, lo devo a mia mamma. Ero tornato dalla Romania per farle visita perché era malata e le ho detto che volevo smettere. Lei mi ha spinto a continuare: “Sogni di fare il calciatore fin da bambino – mi ha detto – perché rinunciare proprio ora? Non ti preoccupare per noi, non mollare proprio ora”. È stato davvero un insegnamento importante da parte sua, vista la situazione. Poi, è arrivata l’offerta della Reggiana, dove ho trovato Mister Alvini che mi ha dato fiducia al 200% e, da lì, è ripartito tutto…”.

E dal mondo del calcio hai mai ricevuto una mano?
“E’ molto più solidale di quanto non si pensi. Quando da giovanissimo ho varcato la soglia dello spogliatoio della Juve, tutti – ma proprio tutti – si sono messi a disposizione. Parliamo di campioni di primissimo livello che, con un’umiltà fuori dal comune, consigliavano non solo me, ma tutti i giovani appena arrivati. Consigli che sono stati utilissimi per la mia carriera e ancora oggi ricordo con piacere”.

Quella era la Juve di Buffon, Del Piero, Camoranesi, Trezeguet, Cannavaro, Chiellini e molti altri: chi era il più carismatico?
“Ovviamente parliamo di campioni assoluti, tutti con una spiccata personalità, ma Del Piero aveva davvero un’aura speciale. Era capace di trainare il gruppo senza parlare, semplicemente dando l’esempio. Un Capitano con la c maiuscola, in campo e fuori”.

Fausto Rossi in campo con la Juventus.
Fausto Rossi in campo con la Juventus.

Qualche altro consiglio ricevuto che è stato decisivo per la tua carriera?
“Non solo per la carriera, ma per la vita. All’inizio, nel Vicenza, seppur per poco (otto giornate di campionato nel 2011-2012, n.d.r.) ho avuto la fortuna di incontrare un maestro come Silvio Baldini. È stato fondamentale per me in quel momento, perché oltre ad essere un allenatore visionario, ha una sensibilità umana fuori dall’ordinario. In quel momento stavo soffrendo molto per la malattia dei miei genitori, che qualche anno dopo ho perso nel giro di due mesi, e lui mi è stato molto vicino. Oltre a concedermi permessi ogni qual volta ne avessi bisogno, mi ha dato consigli che ancora oggi mi porto nel cuore: “Ricordati che tutti hanno i loro problemi – mi ha detto – troverai sempre qualcuno con una croce più grande della tua. Non bisogna mai piangersi addosso, ma trovare sempre la forza di reagire”. Sono contento che oggi la Federazione gli abbia dato l’opportunità di lavorare con l’Under 21 e sono sicuro che i nostri giovani ne trarranno beneficio. A fine ciclo, sono certo che si renderanno conto di esser stati fortunati ad averlo avuto come allenatore. Usciranno arricchiti da questa esperienza, non solo tatticamente, ma anche umanamente”.

Secondo te, se ai tuoi tempi ci fossero state le Under 23, la tua carriera sarebbe stata diversa?
“Non lo so, non credo che sia solo una questione di Under 23. Io sono andato a farmi le ossa in Serie B dopo la Primavera e mi è servita tanto quell’esperienza. Ecco, forse un anno di Serie C al posto dell’ultimo di Primavera – visto che ne ho fatti tre – avrebbe aiutato, ma non so se sarebbe cambiato così tanto, perché il livello della nostra squadra era davvero forte. Secondo me oggi i calciatori sono avvantaggiati perché il calcio giovanile si è evoluto: parlo non solo delle Under 23, ma anche della Youth League (la Champions League delle giovanili, n.d.r.) e del nuovo campionato Primavera, molto più selettivo. Ti faccio un esempio: la Juve ha introdotto un supporto psicologico per i calciatori fin dalle giovanili: questo è un aspetto fondamentale, perché ricordiamoci che parliamo sempre di ragazzi di diciotto anni, che a volte si trovano in situazioni più grandi di loro”.

La Juventus Under 23 nello specifico sforna grandi talenti, ma poi spesso vengono venduti: scarsa fiducia o strategia economica?
“Mi sembra più una strategia economica, perché poi alla fine i giocatori forti trovano comunque modo di emergere. Sappiamo tutti quanto i conti siano importanti nel calcio di oggi e spesso è più semplice trovare occasioni di mercato per un giovane, piuttosto che per un giocatore affermato. Anche questo è il calcio moderno”.

Torniamo ad oggi: l’esperienza nel Fossano in Eccellenza è la dimostrazione che dal calcio è davvero difficile staccarsi?
“Certamente è difficile, e lo sarà sempre di più andando avanti, ma nel mio caso è stata una scelta consapevole. Avevo offerte in Serie C o D, ma sono amico da tanti anni di Gian, il Presidente (Gianfranco Bessone, Amministratore delegato della Balocco, n.d.r.), e gli avevo promesso che prima o poi sarei venuto a giocare qui. Avrei potuto farlo anche tra qualche anno, ma – come ho detto in precedenza – credo che essere felici sia più importante. Io qui lo sono, perché c’è un ambiente molto professionale, si fanno le cose seriamente e poi mi permette di stare vicino alla mia famiglia. Inoltre, ho già cominciato il corso da Direttore Sportivo, perché è questo che voglio fare “da grande”. Non significa che questo sia l’ultimo anno, vorrei decidere io quando smettere e, fin quando mi sentirò bene come oggi, vorrei respirare ancora il profumo del campo e l’aria dello spogliatoio”.

Fausto Rossi impegnato contro Neymar ai tempi del Valladolid.
Fausto Rossi impegnato contro Neymar ai tempi del Valladolid.

Allora, visto che il prossimo mestiere sarà quello del talent scout: su chi ti sentiresti di scommettere per il futuro?
“Adesso forse è facile dirlo, ma io ho sempre creduto fortemente in Nicolò Cambiaghi e sono felicissimo della sua convocazione in Nazionale. Penso, per altro, che sia solo un punto di partenza, perché neanche lui ha percezione delle sue potenzialità. È sottovalutato perché magari non segna tanto, ma quell’aspetto lo sta migliorando e lo migliorerà ancora, è solo questione di acquisire confidenza. Con un po’ più di consapevolezza può andare veramente lontano, perché gioca e calcia con entrambi i piedi, ha forza nelle gambe e dribbling, è umile e disponibile. Pensa che siamo stati compagni alla Reggiana (anno 2020/2021, n.d.r.) e appena l’ho visto mi son detto: “Questo è un fenomeno”. Infatti, l’ho segnalato immediatamente al mio procuratore, che ancora oggi mi ringrazia (ride, n.d.r.)”.

Quindi, prima di appendere le scarpette al chiodo e di sedersi alla scrivania da Direttore, regalaci tre fotografie della tua carriera che non possono mancare nel tuo album…
“La prima è quella della mia famiglia. Mio papà e mio fratello sono sfegatati tifosi del Toro, mentre la parte della famiglia di mia mamma è tutta per la Juve. Io sono entrato nel settore giovanile bianconero fin da piccolo e quella maglia me la sono sempre sentita addosso. Il ricordo è quello degli scherzi con mio papà e mio fratello che non sono mai riusciti a tifare per me e mi dicevano: “Oggi segna, mi raccomando, però perdi”. E, poi, puntualmente, ogni volta che giocavo il derby a livello giovanile, segnavo. E allora ero io a tornare a casa e prenderli in giro. Momenti indimenticabili. Comunque, ho sempre avuto grandissimo rispetto per la storia del Torino, non sono mai riuscito a vederlo come un avversario, perché sono amante del calcio: sono andato a Superga a rendere omaggio, credo che la tifoseria del Toro sia tra le più appassionate d’Italia e mi è sempre piaciuto l’attaccamento alla maglia dei giocatori e dei tifosi”.

Fotografia numero due…
“Scelgo l’esperienza in Spagna, in un campionato che mi è sempre piaciuto e che, ai tempi, era davvero uno dei migliori al Mondo, se non il migliore. Porterò sempre con me il gol vittoria con il Valladolid contro il Barcellona (8 marzo 2014 risultato finale 1-0, n.d.r). Era il Barcellona di Messi, Neymar, Xavi, Busquets, Piqué e tutti gli altri. A fine partita ho scambiato la maglia con Neymar, non male direi (ride, n.d.r.). In quegli anni ho giocato contro i migliori giocatori al Mondo, tra cui Modric, un punto di riferimento per un centrocampista come me. Vederlo giocare ancora oggi al Milan è uno spettacolo, si vede che è di livello superiore, lui non gioca a calcio, lo immagina in anticipo. Meraviglioso”.

Ultima istantanea…
“Io che ho sempre sognato di vestire la maglia della Juve come il mio idolo Del Piero e lui che, appena arrivato, mi prende sotto la sua ala e mi riempie di consigli. Mi ricordo quando mi diceva: “Vieni che proviamo le punizioni”. E io che per vergogna preferivo prendere un pallone, sedermi sopra e ammirare lui che le calciava. Anche perché, sinceramente, lui su dieci ne metteva dentro nove. Era meglio che stessi seduto a guardare… (ride, n.d.r)”.

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