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Andrea Capobianco: “Quando gesticolo in panchina non penso se piaccio o no. Essere veri rende sempre”

Intervista ad Andrea Capobianco, allenatore della Nazionale femminile bronzo agli ultimi Europei di basket, su pallacanestro e segreti dello sport di squadra.
A cura di Jvan Sica
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Andrea Capobianco, allenatore della Nazionale di basket femminile, questa estate è stato al centro di tanti discorsi, perché il movimento femminile anche grazie a lui sta diventando sempre più importante e anche perché la "sua mano" può aiutare l'intero movimento cestistico nazionale. Per questo motivo l'intervista che ha concesso a Fanpage.it riguarderà tanti aspetti, che vanno anche molto oltre un campo con due canestri.

A diverse settimane di distanza, che sapore ha il bronzo agli Europei, una medaglia continentale che non vincevamo dal 1995?

Ogni giorno che passa, grazie al calore delle persone che incontro, ad alcune manifestazioni a cui partecipo, grazie ad eventi stupendi a cui sono invitato, riesco a realizzare la portata di ciò che abbiamo fatto.

Anche la visita da Mattarella rende l'idea.

Le parole che ci ha dedicato il Presidente Mattarella poi sono di una profondità incredibile, hanno dato a tutte la consapevolezza di aver fatto qualcosa di importante, soprattutto pensando al percorso che si è concluso con un risultato tanto esaltante. C’è stata la valorizzazione di ogni singola giocatrice e di ogni componente dello staff, senso di responsabilità, nel tentativo di superarci in ogni azione grazie alla serietà negli allenamenti, al rispetto e a tanti altri valori che realmente fanno la differenza sia nello sport che nella vita. Il sapore di questo bronzo vi assicuro è buonissimo e adesso il mio lavoro, il mio impegno e quello di tutti è proiettato a riassaporarlo quanto prima. Le parole: ‘Complimenti e auguri per il futuro. Vi aspetto qualche altra volta' con cui il Presidente Mattarella ha chiuso il suo discorso sono un bellissimo augurio e spero veramente di tornare al più presto per rivivere le emozioni strepitose provate quel giorno che resteranno indelebili per tutta la vita.

Ha un piccolo rammarico per la semifinale contro il Belgio, oppure siamo arrivate dove in fondo si poteva arrivare?

Rammarico assolutamente no, mi sarebbe piaciuto vincere ma lo sforzo fatto dalle ragazze sia nella partita, recuperare un break importante, per poi sfiorare l’impresa contro le campionesse d’Europa è già un’impresa. Passare da un -23 punti dell’amichevole di inizio raduno a un finale punto a punto va rispettato e va apprezzato. Il vero dispiacere sono i sette errori difensivi del primo e del secondo quarto che sono valsi 14 punti per una squadra come il Belgio che non perdona nulla.

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È stata davvero una vittoria di gruppo, il contributo anche piccolo di ogni giocatrice è stato evidente. Come riesce a tenere tutte dentro il match e il torneo, con momenti decisivi che vengono da chi magari non ti aspetti in quel momento?

È stata davvero una vittoria di gruppo, in cui ognuno ha potuto esaltare il proprio talento. Ognuna, con le caratteristiche del proprio ruolo, è stata fondamentale. Giocare con la giusta mentalità vuol dire vivere le situazioni in modo che tutti possano e debbano essere un esempio. Quindi l’organizzazione curata nei dettagli, le cure mediche e fisioterapiche fatte con la massima attenzione, professionalità e umanità, lo studio delle partite senza tralasciare assolutamente niente contribuiscono in modo determinante alla formazione del gruppo. Poi ovviamente le atlete hanno fatto il resto e vi assicuro non è poco anzi … direi che sono riuscite a splendere per l’effettivo valore tecnico e umano che hanno.

Qual è la caratteristica che dà la svolta?

È fondamentale l’interiorizzazione del concetto di gruppo da parte di ogni elemento della squadra che, come si è potuto notare proprio agli Europei, accetta la decisione dell’allenatore, esce senza atteggiamenti critici nei confronti delle decisioni adottate, in modo da evitare pressioni negative e dare la giusta carica a chi entra.

Insieme al bronzo europeo della Nazionale maggiore, questa estate ha visto anche il bronzo europeo dell’Under 20 e un sesto posto dell’Under 16 (un po’ amaro). Siamo in una fase di crescita costante. Quali sono i motivi?

Chi ama il nostro sport deve essere contento di questa crescita costante sia nel maschile che nel femminile. Come ho sempre sostenuto, una volta raggiunti risultati con le nazionali giovanili maschili (tra cui 5 mondiali disputati in 10 anni) nel momento in cui ero responsabile tecnico, ritengo fondamentale il lavoro delle società e degli allenatori dei settori giovanili perché grazie al loro lavoro si possono raggiungere risultati importanti. Questa è anche oggi una causa fondamentale della crescita costante che si sta realizzando.

Cosa manca ancora per fare il salto definitivo?

Si sta ritornando a un impegno maggiore nei settori giovanili, ma adesso manca un passaggio che più volte dal 2012 ho ripetuto essere necessario: il momento del passaggio dal settore giovanile alle squadre senior. Mi riferisco al periodo che va dai 19 anni ai 23 anni, in cui non si deve assolutamente interrompere la formazione del giocatore. In altri lavori questo è il momento decisivo, basti pensare all’esistenza delle specializzazioni dopo il periodo universitario e parliamo del mondo della giurisprudenza, del mondo della medicina. E allora perché nella pallacanestro questo periodo non viene ritenuto basilare per lo sviluppo umano e professionale? Quindi è importante come in tutti gli ambiti formativi poter giocare e continuare il percorso formativo. Ecco in questo aspetto, secondo me, dobbiamo migliorare.

Sappiamo che in questa crescita la sua mano è stata decisiva. Come è cambiato il movimento grazie al suo lavoro?

Penso che ognuno abbia il suo ruolo e certamente in questi anni che ho indossato la maglia più bella che si possa indossare, quella della propria Nazione, mi sono sentito e mi sento più responsabile. Ho sempre cercato di andare sui campi e testimoniare quello che so di basket, così come ho sempre cercato il confronto con idee che vengono dallo studio. Allo stesso tempo penso che il movimento migliori solo grazie al contributo di tutti. Bisogna considerare in questo senso un elemento culturale: quello che dobbiamo volere è non essere i migliori a un livello mediocre, ma esserlo al livello più alto possibile.

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A proposito di visioni più generali, se guardiamo lo sport italiano nel complesso si comprende come stia crescendo e il basket femminile è uno dei tanti settori dove iniziamo a dire con costanza la nostra. Ha una sua idea su questo “benessere sportivo” italiano testimoniato dalle 80 medaglie in due edizioni olimpiche estive consecutive?

Sono convinto che l’Italia abbia un’ottima scuola tecnica e parlo di tutti gli sport. Gli allenatori italiani sono di altissimo livello, adesso che l’attenzione si è spostata sulla capacità di far diventare sempre più gli atleti i veri soggetti dei progetti sportivi, si iniziano a vedere risultati sempre più positivi. Il benessere sportivo viene raggiunto grazie all’integrazione di tante componenti e penso che in Italia si stia cercando di lavorare sempre di più su questo aspetto e quindi si riesca a dare all’atleta la possibilità di mettere in campo tutto il proprio talento. Possiamo già notare che mettendo insieme il talento degli atleti, le capacità dei responsabili tecnici, le capacità organizzative dei dirigenti, delle società e delle federazioni sul campo si riescono ad avere risultati positivi. A mio avviso non è un unico fattore che permette il raggiungimento di risultati, ma un insieme di essi e in Italia si sta cercando di migliorare ognuna di queste parti che poi insieme formeranno un sistema.

In realtà siamo in calo drastico nei due sport più popolari della nostra storia, calcio e ciclismo maschile. Ha un’opinione anche per questa tendenza al ribasso in cui navighiamo da anni?

Non conoscendo bene la situazione e ho grande difficoltà a rispondere. Per mia forma mentis parlo solo se conosco la situazione.

Se guardiamo la sua squadra o le altre squadre nazionali del basket femminile, oppure le squadre di volley e le nazionali di atletica leggera, ci si accorge che in questi contesti l’integrazione razziale non solo funziona ma amplifica la forza del movimento. Nel calcio e nel ciclismo maschile appunto non si nota la stessa integrazione, è un caso che siano anche i settori dove stiamo crollando a vista d’occhio oppure, come altri dicono, è solo una questione ciclica?

Non parlerei di integrazione razziale ma semplicemente di dare la giusta possibilità a chi ha le carte in regola per poter partecipare e grazie a questa possibilità e alle capacità di tanti atleti, il livello si sta alzando e cresce l’intera forza del movimento. Dal 2012 ho allenato la nazionale under 18 e ho giocato con tante nazionali che questo processo lo avevano già iniziato. Devo dire che, confrontandomi anche con gli allenatori delle altre nazionali, loro stessi mi raccontavano del miglioramento del movimento, non solo sportivo ma anche sociale, conseguente a questa evoluzione.

Ritornando direttamente al suo mondo, siamo arrivate a un determinato standard di alto livello, ma cosa ci serve per fare un passo ancora più su?

Il miglioramento avviene sempre grazie alla capacità di mettersi in discussione per trovare strade alternative e di livello superiore. Si realizza, se ci si rende conto che è fondamentale quello che succede prima di mettere in campo gli atleti, che sono quindi troppo importanti i presupposti e l’organizzazione per seguire la strada giusta quando gli atleti entrano in campo. Non mi piace affatto l’affermazione: ‘Abbiamo sempre fatto così quindi…', perché la capacità di aggiornamento non vuol dire buttar via il passato ma valorizzarlo, tenendo presente che il mondo si evolve e che gli atleti sono figli del momento, dei contesti in cui si sta vivendo. Per fare il passo in più dobbiamo avere il coraggio di non cadere nella trappola di restare immobili e fermi sulle nostre posizioni e avere voglia di confrontarsi per alzare il nostro livello; bisogna crescere nelle competenze umane e di relazione e nelle competenze professionali e infine cercare di spostare in avanti i limiti.

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Se dovesse scegliere fra: un campionato italiano più competitivo e con maggiori investimenti, una nidiata di giocatrici di buon livello da far crescere o due giocatrici fuori scala che possono trascinare le altre, cosa sceglierebbe?

Sceglierei un campionato più competitivo, con una nidiata di giocatrici che possono crescere ancora e far diventare il campionato ancor più di alto livello. Questo è il sogno, ma tornando con i piedi per terra, penso che tutto dipenda dai progetti e quindi dagli obiettivi che le società si pongono oltre che dalle possibilità obiettive. Maggiori investimenti fanno sempre molto bene ma bisogna sapere dove indirizzarli e come impiegarli. Nella mia vita di allenatore, anche nella massima serie, ho sempre cercato di formare squadre con giocatori giovani e di buon livello da far crescere e sono stato sempre molto contento per i risultati raggiunti e per il livello di gioco espresso.

L’ultima domanda riguarda più la sua immagine che non la sua competenza. Durante le partite lei è sempre molto inquadrato perché ha un modo di stare in panchina, una gestualità e una passione che in qualche modo soprattutto gli altri considerano molto “italiana”. E questa italianità, magari legata a una vecchia idea del nostro Paese, comunque piace molto. Se si fa un rapido sondaggio poi si scopre che anche noi italiani siamo felici di appassionarci alla sua passione. Avendo questo riscontro positivo in generale, ha un’idea su questo oppure lei semplicemente vive il momento e non dà peso a quello che gli occhi degli altri vedono e percepiscono?

Io cerco di essere quello che sono sia quando parlo, dicendo ciò che penso, sia nel mio modo di stare in panchina, con la mia gestualità e con la mia passione e il fatto di piacere in questo modo mi fa capire ancora di più che essere sinceri, essere veri rende sempre. Io voglio vivere il momento con le mie emozioni e con i miei modi di essere in quei momenti e non penso se piaccio o meno. Alcuni commenti mi fanno sorridere ma apprezzo tanto il fatto che venga ammirata la mia sincerità. Far emozionare, creare entusiasmo, cosa che mi è stata ripetuta tanto in questi anni e in questi mesi, far vedere la mia passione e quindi far appassionare mi rende ancora più felice perché le emozioni, l’entusiasmo, la passione appunto danno la spinta giusta per superare le difficoltà, per rendere le cose difficili più facili e per rendere i sacrifici che si fanno accettabili e, pensando ai risultati, piacevoli.

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