
La prima stagione di Pesci Piccoli era stata un antipasto, un preambolo sì convincente che lasciava però spazio a un dubbio: riusciranno i The Jackal ad andare oltre se stessi? Non perché fosse in discussione l'efficacia del prodotto, che ha funzionato da subito, ma perché l'indiscutibile solidità narrativa della serie si fondava su un vocabolario di riferimenti così familiare ai The Jackal, calato in un universo talmente vicino alla loro quotidianità, da far credere che dietro le gag, i meccanismi comici e le vicende dell'agenzia di comunicazione di periferia si potesse celare, tutto sommato, un rischio ridotto, la scelta scaltra di una partita giocata nel giardino di casa propria, in una zona di comfort.
La seconda stagione di Pesci Piccoli, su Amazon Prime dal 13 giugno, spazza via ogni perplessità quasi con arroganza. Il nuovo capitolo della serie è la rappresentazione dell'ambizione al quadrato. Non cambia lo schema, ma inizia a palesarsi, potente, una fluidità narrativa condita di estro e sano cazzeggio che asseconda la legge non scritta per cui le serie che si candidano a lasciare un segno diano il meglio dalla seconda stagione in poi.

Così in Pesci Piccoli 2 i personaggi si inspessiscono, si colorano di sfumature nuove, gli ideatori Francesco Ebbasta e Alessandro Grespan, che firmano anche la sceneggiatura con Alessandro Bosi e Mary Brugiati, disegnano traiettorie alternative in cui sembrano fioccare le ispirazioni, con i deliri dei vip raccontati in Dix pour cent (Call my agent), una spruzzata di quelle dinamiche chiuse di un contesto d'ufficio inusuale come The Office, il tocco di lucida follia che sembra a tratti ispirarsi a Scrubs. Che poi, in fondo, ognuno vede i riferimenti che preferisce.
Gli ospiti, i talent, non sono ornamentali e in Pesci Piccoli 2 si integrano alla perfezione. La serie cavalca la mitologia di Beppe Vessicchio, pensato come un influencer guru che pare Vessicchio senza esserlo, con la stessa leggerezza con cui cui costruisce su Danilo Bertazzi (il Tonio Cartonio della Melevisione) un episodio delizioso, il quarto, in cui lo spettatore si trova in preda a un costante deragliamento da quel binario che corre lungo la linea sottilissima di separazione tra il ridere e il piangere.

La scrittura di Pesci Piccoli 2, d'altronde, insiste ininterrottamente su un repertorio generazionale che i The Jackal hanno saputo raccontare meglio di chiunque in questi anni, semplicemente perché ne sono la perfetta incarnazione. Nel gioco di specchi tra personaggio e persona, Ciro Priello, Aurora Leone, Fabio Balsamo e Gianluca Fru sono, senza se e senza ma, i cosplay perfetti dei millennials (Fru e Aurora sarebbero fuori da questa classificazione anagrafica, ma fatico a pensare non se ne sentano parte almeno un po'). Martina Tinnirello, anche in questa seconda stagione nel cast, bene si incastra all'interno di questo mosaico.

L'impostazione fortunata di questa seconda stagione decostruisce il postulato secondo cui solo uscendo fuori da sé si possano raccontare cose nuove. Pesci Piccoli 2 è una notevole prova di maturità dei The Jackal, che hanno resistito alla tentazione di tradire se stessi, a rischio i inseguire una forzatura, capendo che analizzarsi, oltre a essere un processo che riesce loro benissimo, fosse un'opera non ancora esaurita e soprattutto non autoreferenziale. Guardandosi dentro possono raccontare il proprio tempo fatto di miti e traumi, di Tv generalista, di kolossal imparati a memoria e tracce invisibili ma evidenti di quel Festival di Sanremo che resta uno dei loro cavalli di battaglia. Per guardare altrove c'è ancora tempo.
