Roberto Saviano a In Onda dopo il processo che condanna il boss: “Oggi non lo rifarei, mi hanno rubato la vita”

Sedici anni di processo, una vita blindata, la protezione che diventa prigione. Si chiude definitivamente il capitolo giudiziario che ha visto Roberto Saviano sotto scorta dopo le minacce del boss Francesco Bidognetti e del suo legale Michele Santonastaso. Le condanne sono confermate, ma lo scrittore di Gomorra oggi fa una confessione che suona come un bilancio amaro: "Se potessi tornare indietro, non lo rifarei."
Le parole di Roberto Saviano
Nello studio di In Onda, davanti a Marianna Aprile e Luca Telese, Saviano ricostruisce quei momenti in cui tutto cambiò. "Nel momento in cui tu porti un riferimento di Bidognetti è come se avessi acceso qualcosa", spiega con la lucidità di chi ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze di aver alzato il velo su un sistema criminale che sembrava intoccabile. La lista dei morti che elenca è un memorial di sangue: Don Peppe Diana, il parroco di trent'anni ucciso per essersi opposto ai Casalesi, Federico Del Prete, sindacalista "sparato in faccia", Cangiano, vice-sindaco "sparato alla schiena", Renato Natale, sindaco che aveva osato dire no al clan. "Nessuno s'era opposto", sottolinea Saviano, "perché, arrivati a me, dovevano immaginare tutto questo?"
La protezione che diventa gabbia
"Cosa ci ha protetto? La mediaticità", rivela lo scrittore. Un paradosso che ha segnato la sua esistenza: proprio la notorietà che lo aveva reso un bersaglio lo ha salvato dalla morte fisica, ma lo ha condannato a una morte sociale. "La mediaticità mi ha protetto, ma mi ha messo in gabbia. Come se qualcuno mi avesse detto: vuoi morire o vivere rinchiuso?". È questa la riflessione più dolorosa di Saviano, che oggi guarda a quella scelta con occhi diversi. "Io oggi non lo rifarei. Avrei smesso di fare queste cose". Nelle intercettazioni emerse durante il processo, Saviano ha potuto ascoltare la propria condanna a morte dibattuta come un affare qualsiasi. "Senti che in un incontro votano su di me. Chi dice: se lo facciamo è un problema. Chi dice: se non lo facciamo, gli altri ci considerano deboli. C'è un anonimo che dice: secondo noi non va fatto, ma se lo fate ci dobbiamo essere. E vedi la tua vita così, mentre sopra ti dicono che è tutta una messa in scena".
"Perché vi siete cacati sotto?"
Se potesse incontrare Bidognetti oggi, Saviano avrebbe una domanda precisa: "Perché non avete chiuso la partita? Perché vi siete cacati sotto?". Una provocazione che nasconde la consapevolezza amara di chi ha capito di aver vissuto in un limbo. Una condanna a sua volta: "Dopo sedici anni, penso sia una follia. Dovevo fermarmi prima. Proteggermi in un'altra forma". La giustizia ha fatto il suo corso, le condanne sono definitive, ma per chi ha vissuto sedici anni sotto scorta, la vera domanda rimane: ne è valsa la pena? La risposta di Saviano è netta, dolorosa, definitiva: "Io oggi non lo rifarei".