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Marco D’Amore sulla proposta di legge contro serie come Gomorra: “Ci faremo arrestare in tanti”

Marco D’Amore ha commentato la proposta di legge di Fratelli d’Italia che intende punire chi esalta comportamenti mafiosi, includendo tra gli esempi anche le serie tv.
A cura di Ilaria Costabile
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Durante la conferenza stampa di presentazione di Gomorra-Le Origini, la serie che dal 9 gennaio approderà su Sky, Marco D'Amore che è regista, sceneggiatore e attore della serie ha commentato la proposta  presentata da Fratelli d'Italia, la cui prima firmataria è Maria Carolina Varchi, che intende punire chi "ripropone atti o comportamenti" di personaggi mafiosi con intento "apologetico", ma anche chi "esalta fatti, metodi, princìpi" di stampo mafioso.

Il commento di Marco D'Amore sulla proposta di legge

Marco D'Amore, diventato famosissimo nel ruolo di Ciro Di Marzio nella famosa serie, ha quindi risposto entrando nel merito della proposta di legge, dove sono citati esplicitamente prodotti come "serie televisive che mitizzano personaggi reali o immaginari delle varie associazioni criminali di stampo mafioso". L'attore, quindi, ha dichiarato:

Ci faremo arrestare in parecchi, dovranno allargare di molto le patrie galere. E ricordiamoci che i detenuti pesano sulla spesa pubblica: il nostro è un Paese che ha un debito pubblico importante, quindi non gli conviene. Nei momenti di difficoltà come questo è lì che ancora continueremo cose interessanti, più acide e più resistenti a questa forza che ci viene contro e ci dice di smettere.

L'intervento di Roberto Saviano

Sulle pagine del Corriere della Sera è intervenuto anche Roberto Saviano che, infatti, ha definito questa proposta di legge come "legge omertà", perché "trasforma il racconto del crimine in un sospetto penale senza intaccare il potere criminale, colpendo invece chi lo osserva, chi lo racconta, chi lo rende intelligibile". Lo scrittore, poi, sottolineando come questa legge possa delimitare il campo d'azione di chi scrive, racconta, a dispetto di chi invece avrebbe le competenze per poterne parlare l'ha definita una "gravissima censura mascherata da tutela morale" e poi ha aggiunto: "Trasforma la cultura in una zona sorvegliata, la narrazione in un rischio penale, il pensiero critico in un sospetto". 

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